Il primo australiano? Un artista

Da oltre un decennio si discute accanitamente. Si discute su un tema che ci riguarda da vicino: le origini della specie umana moderna, quella che si è autodenominata Homo sapiens. Da tempo, specialisti di diversa estrazione, paleoantropologi e genetisti umani, archeologi del Paleolitico e linguisti, esperti di datazioni e paleoecologi, si erano schierati su fronti contrapposti. Ma ormai nell’ambiente degli addetti ai lavori si respirava un’aria nuova. Sembrava infatti superata la contrapposizione fra i due modelli estremi della “continuità” regionale (o multiregionale) e dell’”origine” africana recente (o diffusionista).

Negli ultimi anni, si sono andate progressivamente affermando posizioni per così dire intermedie, anche se sbilanciate verso il modello diffusionista. I dati a disposizione convergevano cioé verso un’origine di Homo sapiens in Africa, intorno a 150-200 mila anni dal presente, seguita da diffusione geografica della nuova specie, con fenomeni più o meno intensi di mescolamento genetico (ibridazione) con le popolazioni arcaiche già da tempo adattate ai diversi contesti regionali. In Africa, per esempio, le popolazioni arcaiche e quelle moderne si sarebbero potute più facilmente mescolare fra loro, in altre regioni (come forse in parte del continente asiatico) si sarebbe assistito a ibridazioni di varia entità giustificando evidenze di continuità regionale fra il “prima” e il “dopo la cura” mentre in altre ancora (come in Europa) vi sarebbero stati gradi modesti o nulli di assimilazione dei più antichi abitatori (il Neandertal) da parte dei nuovi (i Cro-Magnon). Soprattutto in Europa, dopo i 35 mila anni fa, la vincente ondata di novità anatomiche si accompagnò inoltre a manifestazioni culturali mai viste in precedenza: tra esse l’arte, prima espressione di pensiero e comunicazione simbolico-rituale.

Le nuove informazioni che ci arrivano in questi giorni dall’Australia sembrano sconvolgere il quadro precedentemente acquisito e il convincimento di molti. Rappresentazioni “artistiche” tra le quali le 3.500 “coppelle” incise sulla grande parete di arenaria del sito di Jimmium, antiche di 75 mila anni e documenti della presenza umana verso i 150 mila anni fa aldilà dell’ampio braccio di mare che separava l’antica terra di Sunda da quella di Sahul (l’attuale “quinto continente”), non erano previste nel contesto delle ormai consolidate conclusioni ispirate dal modello diffusionista.

Che vi fossero degli artisti (cioè uomini “moderni”) nel Northern Territory australiano prima di 70 mila anni fa, semplicemente retrodaterebbe l’arrivo di Homo sapiens in quella regione. Ma che uomini, forse altrettanto “moderni”, fossero capaci di attraversare il mare a nord dell’attuale città di Darwin (ironia del nome!) ben oltre 100 mila anni fa, pone in dubbio che questi stessi uomini si fossero originati in Africa all’incirca nella medesima epoca (millennio più, millennio meno). Si riapre dunque la possibilità che in Estremo Oriente vi sia stato un processo di continuità regionale: che cioè Homo sapiens si sia originato lì e, al tempo stesso, in Africa o altrove: con parallela, sorprendente sincronia.

Oltre oceano, dalla sua cattedra universitaria nel Michigan si sente già esultare Milford H. Wolpoff, principale e più accanito sostenitore della teoria multiregionale. Aveva ragione lui? O forse uomini non ancora pienamente moderni ovvero “arcaici” sul piano strettamente biologico erano già in possesso di uno “stato della mente” da Homo sapiens, prima dell’arrivo delle popolazioni anatomicamente moderne di remota origine africana?

Al momento lo scetticismo è d’obbligo. Le datazioni assolute su cui si basano le esplosive novità australiane potrebbero non essere precise. E’ vero che sulle tecniche cronometriche (come quella della termoluminescenza, qui utilizzata) poggia buona parte delle nostre conoscenze in materia di archeologia preistorica; ma è anche vero che c’è bisogno della ripetizione di “esperimenti” di questo genere per potersi affidare serenamente a un dato che è in palese contrasto con quanto finora noto. In ogni caso, impariamo ancora una volta che in paleoantropologia non possiamo sperare di vivere di certezze. E questa che è un’ovvietà, se vogliamo parlare di scienza rende il gioco della ricerca delle origini dell’uomo ancora più attraente. Il risvegliarsi di uno degli enigmi di sempre, rinnovato dalle nuove scoperte australiane, è uno stimolo a saperne di più per il mondo degli specialisti, ma anche per tutti coloro che sono attratti dal nostro passato, chiave di accesso per capire il presente e provare a immaginare il futuro dell’umanità.

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