Ecco l’idrogeno 3, la colla dell’universo

Ci sono voluti trent’anni per scovarla, ma alla fine è stata trovata: si tratta dell’idrogeno 3, la molecola che innesca le reazioni chimiche nel cosmo. Era ben nascosta, tanto che per vederla è stato necessario un telescopio collocato sulla cima di una montagna hawaiiana. Nell’ultimo numero di “Nature” Thomas R. Geballe, del Joint Astronomy Center, e Takeshi Oka, dell’Università di Chicago, spiegano come sono riusciti a osservarla.

La presenza nello spazio di questa particolare molecola di idrogeno era stata ipotizzata nel 1961 e subito le era stato attribuito un ruolo fondamentale nella chimica degli spazi interstellari. Le sue caratteristiche la rendevano infatti un candidato ideale per l’innesco delle reazioni chimiche che portano alla formazione di molecole complesse. Molecole che gli astronomi cominciarono a rivelare negli anni Settanta.

L’idrogeno 3+ è composto da tre atomi dell’elemento chimico più semplice. Ogni atomo di idrogeno contiene un protone e un elettrone. In condizioni normali l’idrogeno molecolare è costituito da due atomi di idrogeno. Ma nello spazio interstellare è possibile che a legarsi insieme siano tre atomi. In questo caso, però, uno degli elettroni che orbitano intorno ai nuclei si perde. La molecola quindi non è più neutra dal punto di vista elettrico. Le tre cariche positive dei suoi protoni sono compensate dalle cariche negative di due soli elettroni. Ed è proprio la carica positiva dell’idrogeno 3+ a farne una specie di “colla” per molecole. Infatti, anche se ha una struttura molto stabile, reagisce assai facilmente con gli altri atomi e li lega tra loro.

La sua alta reattività rende l’idrogeno 3+ una molecola abbastanza rara, dato che quasi sempre il suo formarsi è seguito da reazioni che lo legano ad altri elementi. Anche per questo non è presente nell’atmosfera terrestre. C’è però chi è riuscito a produrlo in laboratorio. Il primo a farlo fu uno dei due scienziati che ora hanno scoperto l’idrogeno 3+ nelle nubi interstellari. Takeshi Oka, nel 1980, sintetizzò la molecola e ne studiò lo spettro elettromagnetico, cioè le emissioni e gli assorbimenti di radiazione caratteristici di ogni sostanza.

Una volta ricostruito l’identikit dell’idrogeno 3+, Oka e colleghi l’hanno dunque cercato nello spazio. E l’hanno trovato, nella ionosfera di alcuni pianeti e nei resti della stella esplosa nel 1987, nota come “Supernova 1987A”. “Ma le tracce che furono viste allora”, dice Flavio Scappini, ricercatore dell’istituto di spettroscopia molecolare del Cnr di Bologna, “anche se attribuibili all’idrogeno 3+, erano molto deboli. Purtroppo la misurazione non si può più ripetere perché i resti della supernova sono ormai dissolti nello spazio.”

La recente scoperta di idrogeno 3+ in due nubi interstellari sembra però fugare ogni dubbio. La comunità scientifica aspetta di conoscere in dettaglio i dati raccolti da Geballe e Oka ma è anche pronta a celebrare un grande risultato. “Se la scoperta venisse confermata”, dice Scappini, “si tratterebbe della più importante in assoluto nel campo dell’astrochimica. Sarebbe la conferma che tutta la chimica degli spazi interstellari si basa su questo ione”.

Tuttavia rimane il dubbio che le tracce di idrogeno 3+ siano fioche. Non è un caso che la scoperta sia avvenuta solo dopo aver migliorato il già potente telescopio a infrarossi Ukirt (United Kingdom Infrared Telescope), collocato sulla montagna Mauna Kea, alle Hawaii. E’ importante però aver messo a punto uno strumento tanto sensibile da rivelare l’idrogeno 3+. Dopo averlo puntato su AFGL2136 e W33A, questi i nomi delle due nubi interstellari osservate, gli scienziati dirigeranno Ukirt su altri oggetti astronomici. Non più per verificare l’esistenza di idrogeno 3+ ma per valutarne la quantità e finalmente capire il suo ruolo nella chimica cosmica.

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