Storni, la guerra senza fine

Cannoni a gas, granate, petardi e una varietà di mezzi pirotecnici, fucili laser, veleni e altre sostanze chimiche. Sono solo alcune delle armi utilizzate nella guerra che da decenni si combatte contro gli storni. Questi uccelli, straordinariamente adattabili, da moltissimi anni hanno imparato a sfruttare con successo le opportunità di vita create dalla società umana, e a convivere al suo fianco, nelle città come nelle campagne.

Non è difficile incontrarli nelle fredde serate invernali. Basta passeggiare al tramonto per le strade di molte grandi città europee o americane, come Londra, Parigi, Roma o Denver. E lo spettacolo, guerra a parte, è affascinante: gli storni, riuniti in assembramenti che possono arrivare a decine di migliaia di uccelli, compiono spettacolari evoluzioni nei cieli urbani, disegnando geometrie sorprendenti che si intrecciano in un carosello perfettamente armonico. Ogni giorno, puntualmente, arrivano in città all’imbrunire dopo aver trascorso la giornata nelle campagne alla ricerca di cibo e oscurano il cielo riuniti in grandi stormi. L’indomani, alle prime luci dell’alba, tornano nei campi.

Ma chi è lo storno (Sturnus vulgaris per gli ornitologi), da dove proviene, come vive e perché sceglie un ambiente innaturale come la città per trascorrere la notte? Si tratta di un passeriforme di medie dimensioni, lungo una ventina di centimetri, dal becco lungo e robusto e dal piumaggio scuro, ricco di splendenti riflessi metallici picchiettati di bianco durante la stagione invernale. Originario delle regioni orientali dell’Asia, nel corso dei secoli si è diffuso su buona parte di questo continente, nella Penisola Arabica, in tutta l’Europa e nel bacino del Mediterraneo.

Questa espansione è dovuta al progressivo miglioramento climatico che ha interessato tutto l’emisfero boreale negli ultimi millenni, e anche ai cambiamenti ecologici prodotti dallo sviluppo umano, che hanno sottratto alle foreste enormi porzioni di territorio per far posto ai campi e ai pascoli. Ciò ha creato un ambiente ottimale per questo uccello, particolarmente adattato a vivere su terreni scoperti e poco alberati. Lo storno infatti possiede ali triangolari specializzate nel volo in zone aperte, zampe robuste e un becco che gli consente di nutrirsi un po’ di tutto. Inoltre, a seconda della stagione e del tipo di risorse disponibili, questo uccello è in grado di modificare fisiologicamente il proprio apparato digerente per trarre il massimo dell’energia dal cibo.

Ma la grande capacità adattativa dello storno non si esaurisce qui. Questa specie infatti nidifica all’interno di cavità naturali o artificiali. Ciò consente di allevare una prole molto più numerosa rispetto ad altri uccelli che costruiscono il nido all’aperto.

Il fatto di essere un animale che vive in gruppi molto numerosi è un altro punto forte della sua strategia adattativa. Quando si è in tanti si riduce notevolmente il rischio di finire preda di rapaci o di altri predatori, e ci si può nutrire meglio. A turno, ci sono sempre delle sentinelle attente, e si può reagire con forza maggiore se si viene attaccati (i vantaggi del gruppo valgono in natura per molte specie, la nostra compresa).

Questi e altri fattori, che hanno decretato il successo dello storno in natura, hanno però creato una serie di problemi alla società umana.In alcune regioni questo uccello è considerato un vero e proprio flagello per i danni provocati alle coltivazioni. E perciò viene combattuto con metodi da guerriglia: gas tossici, dinamite sotto i dormitori (le aree utilizzate per la sosta notturna), veleni, sostanze che ne compromettono l’integrità del piumaggio.

Tali sistemi però non sono riusciti ad aver ragione di questo scomodo coinquilino alato. Lo storno infatti ha una mortalità naturale annua del 50% – in pratica muore ogni anno un uccello su due per cause naturali – e un numero eccezionalmente alto di individui. Per questo non risente del tasso di mortalità inflitto dall’uomo, che invece di sommarsi si sostituisce alle cause naturali di morte.

E’ questo il motivo per cui oggi si preferisce sfruttare sistemi di controllo che tendono ad allontanare gli uccelli dalle aree maggiormente a rischio mediante sistemi “biologici” e incruenti, come specifici richiami d’allarme registrati o “spaventapasseri” di vario genere.

Questi trucchi, pur efficaci, devono essere utilizzati con molta intelligenza, perché gli uccelli vi si abituano facilmente. Una volta scoperto che si tratta di un “bluff”, ogni sistema diventa inefficace.

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