La doppia elica? Un colpo di fortuna. Galileo intervista James Watson

james watson doppia elica
National Cancer Institute (NCI) [Public domain], via Wikimedia Commons

“In biologia, gli oggetti importanti si ritrovanosempre a coppie”. James Watson pare alludere ad almeno due casi in questa frase inserita in un passaggio-chiave del suo La doppia elica, il famoso (e controverso) resoconto autobiografico sulla scoperta della struttura del DNA apparso nel 1968. La prima coppia è ovviamente rappresentata dalle due catene intrecciate dell’acido desossiribonucleico, la cui sequenza di basi codifica il messaggio genetico. Ma la seconda coppia indica proprio i due ricercatori che sgomitavano al Cavendish Laboratory dell’Università di Cambridge per scoprire il segreto della vita. Il venticinquenne James Dewey Watson, appunto, americano di Chicago. E il trentasettenne Francis Harris Compton Crick, inglese. E’ il 1953: l’anno che segna la nascita della biologia molecolare.

La doppia elica è la metafora ideale per rappresentare la vita di questi due scienziati dall’intelligenza sfacciata e un po’ cialtronesca, bruciati dal demone del successo, che hanno raggiunto fama imperitura con un guizzo di genialità non casuale. Tra cinquecento anni i loro nomi verranno ricordati nei libri di scienza come oggi ricordiamo quelli di Copernico e di Galileo. Anche se la coppia non aspira certo alla medesima grandezza. “E’ stata la struttura del DNA a creare Watson e Crick”, riconoscerà uno di loro con sinceri

La divisione del doppio filamento

Il doppio filamento Watson-Crick si dividerà dopo il 1962, quando i due ricercatori riceveranno il premio Nobel per la medicina assieme al collega e rivale Maurice Wilkins. Il biologo Watson insegnerà ad Harvard prima di sedersi sulla poltrona di direttore e poi di presidente del Cold Spring Harbor Laboratory, sulla spiaggia di Long Island, NewYork, riportando in auge un centro di ricerca avviato verso il declino.

Il fisico Crick, che in gioventù costruiva per conto dell’Ammiragliato mine magnetiche destinate alle navi tedesche, contribuirà alla decifrazione del codice genetico prima di trasferirsi in California, al Salk Institute, dove continua tuttora a speculare sul cervello e sulla coscienza dell’uomo. Pur lontani, i filamenti Watson e Crick si riappaiano periodicamente, grazie ai legami idrogeno delle loro basi azotate: adenina con timina, guanina con citosina, secondo la formula magica svelata in quella nota di 900 parole pubblicata da Nature il 25 aprile 1953, che suggeriva già – con finta modestia – il meccanismo di replicazione del DNA.
“Ho visto Francis l’altra settimana a San Diego. Continuiamo a pensare in modo molto simile, noi due. Anche adesso, dopo tanti anni…”. Jimmy Watson parla a bassa voce, inframmezzando battute e risatine. “Come se si rivolgesse al taschino della sua giacca”, dicevano i suoi studenti. Una caratteristica che stava per costargli la cattedra a Harvard, ricorda il relatore della sua tesi a Bloomington, nell’Indiana, l’italiano Salvador Luria. Lui pure premio Nobel, scomparso qualche anno fa.

Età ed eccentricità

Watson è stato l’ospite d’onore alla Conferenza europea sul sequenziamento del genoma del lievito che si è svolta di recente [1996, ndr] a Trieste. Una sorta di icona vivente della biologia molecolare. Magro, dinoccolato, più vecchio dei suoi 68 anni. Aveva con sé la terza moglie Liz, vent’anni meno di lui, conosciuta trent’anni fa. Una di quelle giovani e belle ragazze che lo distoglievano dai suoi modelli stereochimici. Ricordate che cosa scriveva nelle ultime righe della Doppia elica, un libro che ha il sapore dell’iniziazione scientifica? “Ma ora ero solo, e guardavo le fanciulle dai lunghi capelli di St.-Germain-des-Prés, sapendo che non erano per me. Avevo venticinque anni ed ero troppo vecchio, ormai, per permettermi di fare l’eccentrico”.
Bugie, tutte bugie. Watson non ha mai smesso di fare l’eccentrico, il ragazzo terribile. Ora simpatico, ora irritante. In gioventù detestava la chimica e la matematica, in laboratorio era un mezzo disastro. Ma aveva capito – lui ancor più di Crick – che la chiave della vita era racchiusa in quel misterioso segmento dei cromosomi chiamato gene, che molti ancora si ostinavano a credere fosse fatto di proteine.

Il bricolage di Watson e Crick

Watson e Crick non si sporcarono le mani in laboratorio. Preferirono affidarsi a un bricolage di informazioni raccolte dai libri, da chi ne sapeva più di loro, dalle lastre di diffrazione dei raggi X ottenute dai colleghi. Discutevano in continuazione, tra loro e con gli altri ricercatori. E costruivano modelli su modelli – in metallo, in cartone – della struttura del DNA, analizzandone angoli e legami. Fino alla rivelazione finale della miracolosa molecola a doppia elica: una struttura troppo bella per non essere vera, “elegante come il Partenone per il rapporto aureo contenuto nelle sue splendide proporzioni”, osserva oggi il biologo molecolare italiano Vittorio Sgaramella.

Galileo intervista James Watson

I biologi molecolari sono un po’ come i fisici delle particelle: smontano e rimontano i loro puzzle in un riduzionismo assoluto, senza badare a quella complessità oggi di moda. Eppure, professor Watson, non tutto il nostro destino è nascosto nei geni…

“Beh, no. Siamo una mescolanza di geni e di ambiente. Ma modificando l’ambiente non si compensa certo l’effetto dei geni. Possiamo avere scuole migliori, ma questo non cambia la nostra capacità di apprendere la matematica. Nell’Unione Sovietica ci avevano provato, nella convinzione che in una società comunista tutti gli uomini sarebbero stati uguali. Ma non funzionò. Allo stesso modo oggi c’è gente che non è disposta ad accettare l’evoluzione…”.

Per tre anni, dall’89 al ‘92, Watson ha diretto il centro americano per il Progetto Genoma Umano, impegnato a mappare i centomila geni contenuti nei 46 cromosomi della nostra specie. Un progetto per cui Watson si era battuto in prima persona, accanto a Renato Dulbecco. Ma alla fine venne costretto alle dimissioni dai contrasti insorti con Bernadine Healy, la responsabile degli NIH, i National Institutes of Health. Una storia poco chiara di brevetti e di pacchetti azionari di compagnie biotecnologiche giudicati incompatibili con la posizione di Watson.

Il suo sostegno al Progetto Genoma Umano è forse ora venuto meno, professor Watson? Si è aggiunto anche lei a chi critica un megaprogetto diventato forse troppo costoso e pretenzioso?

“Tutt’altro. E resto convinto che i soldi stanziati non sono affattotroppi. Al contrario: semmai non ce ne sono a sufficienza. Ho lasciatoil progetto solo per i disaccordi con il direttore degli NIH. Eravamo assolutamenteincompatibili. Ma lei era il boss, il mio capo. E così ho preferitoandarmene. Sono felice di averlo fatto”.

Qualcuno dice che lei, professor Watson, non riesce mai a instaurare buoni rapporti con le sue colleghe scienziate. Al tempo della doppia elica ebbe forti contrasti con Rosalind Franklin, poi morta di cancro a soli 38 anni. Quattro anni fa gli scontri con Bernadine Healey…

“Ma no, non è vero… Ho un certo numero di studentesse, al Cold Spring Harbor Laboratory, e non mi pare di avere problemi con loro. Piuttosto, in quei due casi, erano semmai le donne ad avere i loro problemi. Direi che erano autocratiche…”

Lei si è sempre espresso in maniera molto dura contro l’eugenetica, la selezione genetica degli individui. Ma sostiene anche la piena liceità dell’aborto, terapeutico e no. Due posizioni difficilmente conciliabili?

“Non direi. La parola eugenetica non mi piace, è vero.In suo nome sono state fatte cose terribili negli Stati Uniti, e ancora peggiori in Germania. Ma perché non dovremmo cercare di controllare il destino genetico degli esseri umani? Alcuni individui nascono con destini nefasti, e io penso che vada fatto quanto è in nostro potere per evitare la nascita di persone con malattie genetiche incurabili. La loro esistenza è una tragedia terribile per le loro famiglie”.

Professor Watson: negli anni in cui lei ha scoperto la struttura della doppia elica molti fisici erano interessati ai primi passi della biologia molecolare: Delbruck, Gamow, Schroedinger, e lo stesso Crick, ovviamente…Oggi esiste la medesima attenzione per la biologia, tra i fisici teorici?

“No, la situazione oggi è diversa. Allora i fisici erano interessati a problemi biologici fondamentali, quali appunto la natura e la funzione del gene, che è un problema tutto sommato abbastastanza semplice, risolvibile anche per la sola via concettuale. Oggi invece le ricerche sono molto più sperimentali che teoriche. E i fisici non possono più dare un contributo importante alla biologia molecolare. Come invece avvenne con George Gamow, che contribuì a svelare il codice genetico, attraverso il quale il DNA fabbrica le proteine. Oggi, semmai, i fisici teorici si occupano di come l’informazione viene raccolta nel cervello. E il cervello è talmente complicato che i fisici vi possono trovare tutto lo spazio che vogliono per i loro modelli teorici…”.

E’ il momento dei ricordi. Spunta il nome di Erwin Chargaff, il chimico della Mitteleuropa che alla Columbia University di New York aveva accertato come nel DNA la quantità di adenina sia equivalente alla timina e quella di guanina equivalente alla citosina. Una scoperta che avrebbe potuto spalancargli le porte della doppia elica. E invece Chargaff si vide soffiar via la vittoria da quei due irriverenti parvenus del Cavendish, ai quali riservò velenosi sarcasmi nella sua autobiografia “Il fuoco di Eraclito”. Ma neppure Watson risparmia pesanti giudizi su Chargaff, oggi novantunenne: “He’s a nasty and bitter man. E’ un uomo perfido e amaro. Aveva capito l’accoppiamento tra le basi del DNA, ma non aveva considerato la struttura tridimensionale della molecola. Sta lì il segreto della doppia elica”.

Jim l’onesto o Jim il fortunato, dunque?

“Volevo intitolare ‘L’onesto Jim’ il mio libro sulla doppia elica per replicare a chi mi attaccava. Ma in fin dei conti è vero: sono stato fortunato a scoprire la struttura del DNA. Linus Pauling aveva commesso un errore inspiegabile, immaginando una tripla elica. Ed era il più grande chimico dei suoi tempi… Grazie a quell’errore la spuntammo noia Cambridge. Sì, lo ammetto: sono stato molto fortunato”.

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Crediti foto:National Cancer Institute (NCI) [Public domain], via Wikimedia Commons

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