Etica e scienza: il gioco delle parti

I progressi della biologia e della medicina negli anni recenti, e in particolare quelli di biologia e genetica molecolare, hanno comportato una escalation dei problemi applicativi ed etici che ha largamente superato le previsioni più fantascientifiche. I problemi applicativi, va notato sia pur solo di sfuggita, hanno spesso notevoli ricadute etiche: per esempio, il razionamento (di diritto o di fatto) degli interventi medici di costo via via più elevato non deriva soltanto dalla crescente sproporzione tra la domanda e la limitatezza delle risorse, ma anche (forse soprattutto) dal fatto che gli interventi di più elevato contenuto tecnico-scientifico raramente si possono effettuare al meglio al di fuori di “centri di eccellenza” che non possono proliferare più di un tanto. Quindi, buona parte dei potenziali candidati a questi stessi interventi debbono o rinunciare del tutto o accontentarsi di prestazioni di livello meno eccelso.
Qui va preliminarmente notato che problemi complessi e contenziosi spesso dirompenti si trovano in molti campi assai diversi l’uno dall’altro, dalla chirurgia dei trapianti a quella fatta per motivi non strettamente terapeutici, dalla riservatezza dei dati clinici ed epidemiologici agli interventi, spesso di carattere non medico, di cui hanno bisogno soggetti con problemi particolari, come nel caso delle malattie mentali e delle tossicodipenze. Tuttavia la biologia e la genetica molecolare hanno messo a punto modelli e metodi che consentono un cammino più spedito che non in altri campi, coinvolgendo spesso interessi istituzionali ed economici di notevole entità (per es. quelli che ruotano attorno al progetto Genoma Umano), colpendo la fantasia dei non addetti ai lavori per i loro “incontri ravvicinati” con le origini e gli intimi meccanismi della vita, e perciò occupano di fatto una parte consistente del palcoscenico. Esse sono quindi sottoposte a uno scrutinio minuzioso, quasi nevrotico-ossessivo, spesso altamente conflittuale, sia all’interno che all’esterno del mondo scientifico e medico.

L’informazione al pubblico

Una seconda osservazione preliminare riguarda il modo di trattare le questioni scientifiche e non (in particolare quelle etiche) nelle sedi della comunicazione e dell’informazione rivolte ai non addetti ai lavori. Sino a tempi recenti, infatti, il modello generalmente imperante è stato il cosiddetto “deficit model”: cioè un modello che presenta la conoscenza scientifica come non problematica (o almeno non altrettanto problematica quanto altri tipi di conoscenza) e quindi assegna al pubblico un ruolo sostanzialmente passivo. Tale modello, già da tempo in difficoltà, è oggi in piena crisi di nervi a causa della crescente complessità degli intrecci tra i vari tipi di problemi, dalle controversie tecnico-scientifiche alle posizioni inconciliabili in materia di ricadute etiche, sociali, economiche e politiche. Tale crisi ha reso evidente il conflitto tra chi preferisce che il dato scientifico venga comunicato soprattutto per i suoi aspetti di certezza (o almeno di relativa certezza) e chi invece reclama che il dialogo con il pubblico debba soprattutto soffermarsi sulle moltlepici incertezze. Per illustrare questo secondo atteggiamento lasciamo la parola al presidente dell’autorevole Istituto Carnigie di Washington, il quale il 17 aprile 1996, parlando al colloquio annuale su “Politica della scienza e tecnologia” dell’Associazione americana per il progresso delle scienze, così si è espresso:
”… Un’altra cosa che potremmo fare è di smettere di parlare con certezza su cose incerte. Gli scienziati non fanno questo tra loro; è irrispettoso e ottuso farlo quando si parla a non scienziati… Se il pubblico non comprende la probabilità e quindi il rischio, è il nostro mestiere di insegnarglielo, piuttosto che torcerci le mani deplorando la sua ignoranza (…) Di fronte all’incertezza, dobbiamo essere onesti ed espliciti”.
Questo secondo approccio, ovviamente condivisibile in linea di principio, deve navigare tra lo Scilla dell’ignoranza del pubblico in materia scientifica – ampiamente documentata da diverse indagini in vari paesi, anche tra coloro che più si mostrano entusiasti dei progressi della scienza e in particolare di quella biomedica – e il Cariddi delle strumentalizzazioni dell’incertezza. Su tali strumentalizzazioni, infatti, spesso si sostengono gli interessi economici e corporativi. Riguardo a questi secondi, si noti per inciso, è infatti spesso conveniente far prevalere le esigenze dell’offerta su quelle della domanda: ma su tale autoreferenzialità che impedisce di soddisfare i bisogni reali, o almeno stravolge le priorità, non si può parlare più a lungo in questa sede.

Valutazioni etiche proprie e improprie

Qui va evidenziato un altro intreccio tra problemi scientifici ed etici che può dar luogo (anzi, già ha portato) a dannosi equivoci. Nel campo delle delle biotecnologie e in particolare in quello dell’ingegneria genetica, non ha senso invocare invariabilmente la valutazione bioetica sia per nuovi sviluppi che possono riflettersi in modi nuovi sui futuri destini dell’uomo o dell’ambiente naturale, sia per sviluppi che, pur battendo strade diverse da quelle tradizionali, non creano problemi etici diversi da quelli già sviscerati in precedenza (se risolti o meno in maniera soddisfacente, questo è un altro discorso).
In buona parte, per esempio, l’ingegneria genetica fatta sulle piante e sugli animali di allevamento, così come quella mirata a versioni più maneggevoli e affidabili di farmaci già disponibili, da un lato esige di modificare i criteri tradizionali di valutazione tecnico-scientifica degli effettivi rapporti beneficio/rischio e beneficio/costo, dall’altro però non comporta alcuna valutazione etica ex novo rispetto a quelle già fatte (o scansate) per sviluppi già consolidati (la selezione delle caratteristiche desiderate nelle piante e negli animali, la messa a punto di nuovi agenti terapeutici).
L’affermazione, quindi, che tali sviluppi creano problemi etici nuovi è, nel migliore dei casi, una complicazione inutile: e questo, soprattutto se si mira a fare della valutazione etica un sostituto della valutazione tecnico-scientifica che ancora produce sostanziali incertezze.Il problema del confondimento tra aspetti scientifici etici e sociali, riproposto altrove con esempi specifici per la biologia e genetica molecolare si può esemplificare citando un esempio che attraversa successivi periodi storici con diverso grado di sviluppo tecnico-scientifico e con diversi orientamenti sul piano etico e socio-politico.
Quando nel 1859 vennero portati in Australia alcuni conigli europei (Orictolagus cuniculus) con la speranza che l’attecchimento di questa specie non aborigena e proverbialmente prolifica potesse migliorare la condizione economica dei coloni, i tempi non erano maturi per porsi questioni vuoi di carattere scientifico (ma l’esperimento non andrà a finire come quello dell’apprendista stregone della favola e della disneyana Fantasia?) vuoi di carattere etico (ma soffriranno i soggetti di questo esperimento? ma saranno danneggiate le comunità umane nelle generazioni successive in caso di successo incontrollabile?).
Oggi i conigli naturalizzati australiani sono un esercito imponente e l’uomo ha fallito svariati tentativi di sterminare queste innocenti bestiole divoratrici di pascoli e raccolti. L’ultimo di tali tentativi sembra fatto apposta per evidenziare da un lato gli aspetti faustiani del progresso tecnico-scientifico, dall’altro le ricadute negative che possono venire dalla priorità concessa alla valutazione etica e socio-economica in una situazione di incertezza sul piano tecnico-scientifico. In breve, nel 1991 si è introdotto a titolo sperimentale, su di un’isola a poca distanza dal continente australiano, il micidiale Calicivirus della malattia emorragica del coniglio. Successivamente, constastato che tale virus si era “imprevedibilmente” trasferito per conto suo sul continente, si sono “aggiustate” le valutazioni di rischio per anticipare quel trasferimento programmato e sistematico dell’agente patogeno che originariamente era stato subordinato alla valutazione delle ricadute nella situazione circoscritta dell’isola.
E ora, sulle pagine di Nature, Science e altrove, fioccano le prese di distanza degli esperti di vari paesi i quali sottolineano le molteplici incertezze sui rischi dell’operazione: cioè sulla effettiva specie-specificità del virus, la cui “storia naturale” ancora contiene molti punti oscuri (per esempio, la mortalità tra i conigli infettati `é troppo elevata per una malattia endemica “di lungo corso”, quindi `é probabile un “salto” recente da un’altra specie al coniglio), e inoltre sui modi e vie di trasmissione che potrebbero facilitare il passaggio ad altre specie. Ma per il bene della patria e dell’economia si è ritenuto di passare sopra a tali sottigliezze, adottando proprio quel “deficit model” che deve scotomizzare le incertezze.

Scienza, etica e “natura umana”

La biologia molecolare e le spiegazioni che essa offre dei processi vitali hanno riacutizzato una vecchia discussione che, oltre ai risvolti strettamente scientifici, epistemologici e pratici, ha anche una rilevanza notevole sul piano etico e sociale. Al vecchio interrogativo che appare nel celebre quadro di Gauguin- donde veniamo, chi siamo, dove andiamo- la scienza positivistica aveva dato una risposta secca e dura, sostenendo la necessità di “ridurre” tutti i processi vitali (comprese quindi le regolazioni comportamentali, le funzioni mentali, il mistero della conoscenza) ai meccanismi fisici e chimici che ne sono il substrato. Questa posizione riduzionista (più specificamente, fisiologico-meccanicistica) si avviava a esser superata man mano che si andava chiarendo come ai successivi livelli di crescente complessità, sia nella filogenesi che nella ontogenesi, “emergessero” proprietà e funzioni non prevedibili in base alle caratteristiche degli elementi costitutivi e alle loro proprietà funzionali.
La biologia e la genetica molecolare, fornendo una messe di informazioni e spiegazioni sui processi vitali a dir poco insperata per qualità e per quantità, hanno rimesso in questione il delicato equilibrio tra approcci riduzionisti e non riduzionisti nel lavoro scientifico. E questo, non solo in campo biologico e medico, ma anche nelle scienze umane, come le varie branche della psicologia e addirittura della sociologia, dell’antropologia, dell’etica e della politica. Questo ha avuto ripercussioni particolarmente significative in campo etico, essendo per definizione l’etica -o almeno quella di ispirazione non esclusivamente trascendentale -la disciplina che tenta di desumere dalla “natura umana” il sistema di regole atto a ottimizzare, a tutti gli effetti, i rapporti tra le persone e i gruppi umani.
In una fase ancora precoce di questo revival riduzionista si pensi al “dogma centrale” di Crick, secondo cui tutta l’informazione per tutti i caratteri degli esseri viventi si trova nel “codice” molecolare del genoma, al modello epigenetico di Monod, che legge nel patrimonio genetico di ogni dato organismo tutte le successive tappe del suo destino, al determinismo biologico “duro” in campo comportamentale della sociobiologia di Wilson e al “gene egoista” di Dawkins la funzione dei fattori non genetici nella produzione della complessità` degli organismi, Homo sapiens compreso, sembrava avere un ruolo poco più che ancellare (assecondare o assistere il ruolo dei geni-padroni o geni-dirigenti). E questo, fra l’altro, ha rappresentato un insperato salvagente per una vasta gamma di interlocutori antimaterialisti, i quali hanno recuperato spazio per sostenere la scarsa rilevanza dell’approccio biologico nella comprensione della “natura umana”.
Negli anni più recenti, la situazione si è andata riequilibrando, e la stessa biologia e genetica molecolare hanno contribuito, insieme ad altre discipline, a fornire preziosi elementi atti a rompere il cerchio del determinismo ultrariduzionista. Quotidianamente, infatti, si constata come i fattori cosiddetti fissi (cioè appunto il patrimonio genetico originario di un dato organismo) e una moltitudine di fattori casuali (soprattutto ma non soltanto quelli ambientali) concorrano nelle successive tappe dello sviluppo a produrre una sterminata varietà di fenotipi ciascuno, ovviamente, consentito dal genoma dell’organismo, ma in buona parte non prevedibile in base alle caratteristiche del genoma stesso.
Tale ridefinizione delle funzioni e proprietà emergenti nel cammino verso la complessità (il discorso appena accennato per i processi ontogenetici potrebbe ripetersi, mutatis mutandis, per i processi filogenetici o evolutivi) ancora stenta a produrre sul piano etico le ricadute liberatorie che le competono. Vi è infatti una evidente inerzia nella sopravvivenza di una impostazione manichea del dibattito, che a un estremo suona le trombe dei “gradi di libertà” scarsi o nulli rispetto all’nformazione recata dai geni, che caratterizzano determinate componenti del fenotipo (come per esempio il colore degli occhi). All’estremo opposto suona le campane della grande varietà dei fenotipi che si possono produrre a partire da un dato genotipo. Tra l’altro il determinismo genetico-epigenetico più rigido si ritrova nel furioso dibattito riguardo alla natura dell’embrione, consentendo di sostenere che l’uovo appena fecondato è già persona umana di pieno diritto.

Si può brevettare la vita, e a quali condizioni?

Infine vi è un aspetto pratico delle ricadute della biologia e della genetica molecolare che è oggi al centro di forti tensioni: è ammissibile “brevettare la vita ?”. Pur con notevoli differenze tra i diversi paesi che in Europa si riflettono in quotidiani conflitti sulle condizioni alle quali l’Unione Europea può concedere un brevetto sovranazionale sussistono alcuni principi generali ai quali deve sottostare il riconoscimento di un brevetto, cioè della “proprietà intelletuale” di una scoperta o di una invenzione e della competenza dei potenziali benefici economici.
Un primo principio è che un brevetto non può sancire una “appropriazione indebita” di una scoperta o invenzione già realizzata in precedenza, non brevettata e quindi diventata patrimonio comune. Tuttavia tale questione è spesso ardua da dirimere, come si è visto nel caso del brevetto accordato negli Stati Uniti per la polimerasi degli acidi nucleici e del successivo contenzioso acceso dal diniego del brevetto in sede europea. Si tratta di un mercato che si misura in miliardi di dollari, quindi non sorprende che si trovino principi delle scienze biologiche e giuridiche pronti a sostenere l’una cosa o il suo esatto contrario.
Un secondo principio è che per la scoperta o invenzione che si intende brevettare, deve essere dimostrata l’utilità in campo applicativo, o almeno una probabilità consistente di futura utilità. Anche qui la biologia molecolare contiene significativi esempi di vivace contenzioso a causa delle notevoli differenze tra gli oggetti proposti (si consideri ad esempio la differenza che passa tra una qualunque sequenza di DNA e un “costrutto” fatto di vari tratti di sequenze e dotato di una specifica funzione; negli Stati Uniti si è brevettato anche il primo tipo di oggetto, in innumerevoli esemplari, suscitando altrettanto innumerevoli proteste in varie parti del mondo).
Un terzo principio, che tenta il compromesso tra le valutazioni tecnico-scientifiche e quella di altra natura, è che un brevetto non deve scontrarsi con una serie di diritti e di esigenze che tutte insieme potrebbero definirsi “salvaguardia del benessere/ordine sociale”. Comprensibilmente, il contenzioso sull’applicazione di questo principio a singoli casi o, su di un piano più ampio, alle varie categorie di oggetti, è il contenzioso più aspro: il caso-limite, appunto, è quello della “brevettabilità della vita” (per esempio, di nuove specie animali create per via genetico-ingegneristica), una brevettabilità contestata sotto il doppio profilo dei rischi ancora ignoti e del principio che ogni forma di vita deve restare patrimonio comune, indipendentemente dal tipo di oggetto che si mira a brevettare.
Qui si deve anche notare che in diversi casi il contenzioso verte sulla interpretazione e applicazione di più d’uno dei principi appena delineati. Per esempio, già nel1989 vennero usate cellule ematopoietiche staminali del sangue prelevato dal cordone ombelicale, come alternativa al trapianto di midollo in un caso di anemia di Fanconi (il paziente, si noti, dopo sette anni è ancora in vita). Ciò malgrado, un brevetto per l’uso di cellule staminali del sangue del cordone ombelicale è stato successivamente brevettato nell’Unione Europea, mentre è oggetto di vivace contenzioso negli Stati Uniti. Qui l’obiezione al brevetto è almeno duplice: non solo può configurarsi la “appropriazione indebita” di qualcosa che è già di fatto bene comune, ma appare anche violato un importante principio etico-sociale che è stato definito dalla Associazione Internazionale per i Trapianti. Questa sostiene che nessuna parte del corpo umano deve essere commercializzata e che la donazione di organi o cellule deve essere libera e anonima. Sulla base di tale principio, il gruppo europeo per i trapianti Eurocord ha deciso di accollarsi l’onere di una azione legale contro il brevetto.

Peso contrattuale dei non addetti ai lavori

Qui deve chiudersi, malgrado le inevitabili omissioni e le definizioni troppo affrettate, questa panoramica sugli intrecci tra problemi scientifici e di altra natura che caratterizzano molti sviluppi della biologia e della medicina, e che spesso diventano difficilmente trattabili nell’ambito della biologia e genetica molecolare. Solo all’interno delle singole attività, sotto la guida di esperti di volta in volta competenti, ci si potrà rendere conto della natura e dell’entità di questi problemi e quindi della difficoltà di elaborare sistemi di regole che risultino efficacemente applicabili. Ciò permetterà di evitare da un lato la genericità aperta a tutte le interpretazioni (il che delega di fatto tutti i problemi importanti alla magistratura competente nella “interpretazione autentica” caso per caso), dall’altro la formazione di griglie talmente rigide da soffocare ogni sviluppo.
Il pubblico chiamato a confrontarsi con le molte incertezze e le relative divergenze di opinione, anche se non può concorrere a tagliare i nodi delle controversie più strettamente tecnico-scientifiche, deve acquistare la consapevolezza del suo diritto di piena informazione; quindi, del suo diritto/dovere di partecipare ai processi decisionali, per vie istituzionali o altre, sulle questioni che investono il destino di tutti. Il partito che si oppone a un tale indirizzo resta forte e ha spesso argomenti forti: di questo passo, sostiene, non avremmo l’aspirina, non si sarebbe mai tagliato il canale di Panama, e via di seguito. Ma c’est la vie, si direbbe in Francia. Allo scientifico ordine del modello guglielmino-bismarckiano non si potrà tornare, non vogliamo tornare.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here