Cronaca di un clone annunciato

(Credits. via Wikipedia)
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Dolly ha appena sette mesi, ed è già finita sulle pagine dei giornali di mezzo mondo. Il suo merito? Quello di essere una pecora clonata, cioè una copia geneticamente identica a un esemplare adulto di sei anni. Dalla mammella quest’ultimo, i ricercatori scozzesi del Roslin Institute di Edimburgo, in collaborazione con la casa farmaceutica Ppl Therapeutics, hanno prelevato una cellula, ne hanno estratto il nucleo, e lo hanno inserito in un ovulo privo del nucleo originale. Questo embrione così “ricostruito” è stato poi impiantato nell’utero di una pecora-ospite, che ha portato a termine la gestazione.

E così, cinque mesi dopo è nata Dolly, un agnellino femmina di 6,6 chilogrammi, in buona salute, e soprattutto identica, dal punto di vista genetico, alla pecora dalla quale era stata prelevata la cellula mammaria.

Per la ricerca in biologia si tratta di un risultato di importanza fondamentale, che apre le porte a una serie di conseguenze, di ordine scientifico oltre che etico. E’ vero, negli anni scorsi alcuni esperimenti analoghi erano stati condotti su esemplari di rana. Tuttavia gli individui clonati non avevano mai raggiunto lo stadio adulto, ed erano morti quando ancora si trovavano nella fase di girino. Dolly, invece, è viva e vegeta. La sua nascita segna una tappa fondamentale nello sviluppo di tecniche in grado di replicare individui geneticamente identici. Ecco come Ian Wilmut, a capo del gruppo di ricerca scozzese, ha risposto alle domande di Galileo.

Dottor Wilmut, cominciamo dalla rilevanza puramente scientifica del vostro lavoro. Perché questo passo è così importante per la biologia genetica?

“Lo sviluppo di un feto parte dalla suddivisione di un’unica cellula, cioè l’uovo fecondato. Nelle primissime fasi le cellule dell’embrione sono tutte uguali, successivamente esse subiscono profondi cambiamenti e danno origine ai differenti tessuti di un individuo. Finora si era pensato che introdurre in un ovulo il nucleo di una cellula prelevata da un tessuto già differenziato, non permettesse di ripercorrere tutte le fasi dello sviluppo embrionale, dare cioè origine a un individuo completo e vitale. Con il nostro lavoro abbiamo invece dimostrato per la prima volta che è possibile generare un agnello partendo dalla cellula di una pecora adulta. E’ questo il punto di grande interesse per i biologi, un punto che apre un campo completamente nuovo di ricerca. Ma la nostra tecnica ha anche importanti risvolti applicativi, per esempio apre nuove prospettive per la produzione di alcuni medicinali”.

Perché avete scelto proprio la pecora per effettuare i vostri esperimenti? Pensate che questa tecnica possa funzionare anche con altri mammiferi?

“La pecora è un animale di cui conosciamo bene i meccanismi di riproduzione e di sviluppo embrionale. Quindi era l’animale più semplice e comodo per iniziare questi studi. Non sappiamo ancora se il nostro metodo si possa applicare anche ad altri animali, ma siamo convinti che potrebbe funzionare per esempio con i bovini o i maiali”.

E magari anche con gli esseri umani?

“Anche in questo caso non lo sappiamo. Ma è possibile che un metodo di clonazione simile funzioni anche con esemplari della nostra specie. Naturalmente parlo da un punto di vista strettamente tecnico. Quando si tratta dell’uomo non si possono dimenticare le implicazioni etiche e morali”.

Comunque, anche nel caso degli animali da allevamento, la clonazione solleva parecchi problemi etici. Per esempio c’è il rischio di ridurre drasticamente lo scambio di materiale genetico che avviene normalmente con la riproduzione. E questo è un fattore determinante per la sopravvivenza a lungo termine di una specie. Cosa ne pensa?

“Certamente il rischio c’è. Già l’inseminazione artificiale, se impiegata senza le dovute cautele, potrebbe ridurre lo scambio di materiale genetico tanto da mettere a rischio le specie da allevamento. Ma ciò non avviene, sebbene l’inseminazione artificiale sia impiegata ormai comunemente. Il fatto è che gli allevatori hanno imparato a usarla in modo corretto. La stessa cosa dovrà succedere per la clonazione. Quando, e soprattutto se, questa tecnica sarà disponibile su larga scala – non prima di 10 o 20 anni in ogni caso – bisognerà essere attenti a sfruttarne solo i vantaggi. Il nostro istituto ha già avviato programmi di ricerca per studiare come impiegare la clonazione senza mettere a rischio la sopravvivenza delle specie”.

Che vantaggi potrebbe invece dare la clonazione all’industria farmaceutica?

“Vi sono farmaci basati su alcune proteine che vengono prodotte da animali transgenici, cioè da animali il cui corredo genetico è stato modificato dall’esterno inserendo le “istruzioni” per sintetizzare quelle particolari proteine. Sono farmaci impiegati per esempio contro l’emofilia, l’enfisema, la fibrosi cistica o che aiutano a cicatrizzare le ferite dopo un’operazione chirurgica o un incidente. Con il nostro metodo si potranno ottenere molti esemplari di un identico animale transgenico, quindi avere risultati più prevedibili e più veloci impiegando meno animali”.

Ai vostri studi hanno partecipato anche i ricercatori della Ppl Therapeutics, appunto una delle società leader nel settore dei farmaci ottenuti da animali transgenici. Che importanza hanno avuto le possibili ricadute commerciali nel portare avanti le vostre ricerche?

“Il nostro progetto è iniziato oltre 10 anni fa, la Ppl si è associata solo da un anno. La filosofia del nostro istituto è di capire prima di tutto gli aspetti scientifici del problema, poi di avanzare nuove idee per possibili applicazioni. Anche la clonazione della pecora rientra in questo modo di procedere”.

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