Chi si ricorda il teorema di Menelao?

Alcuni teoremi matematici, come altre espressioni del pensiero, seguono spesso la triste parabola che li vede per un certo periodo di gran moda per poi decadere nella più totale dimenticanza. I più sfortunati vengono sacrificati sul micidiale altare del minimo sforzo, come è il caso del teorema di Menelao, una volta essenziale per risolvere decisive questioni astronomiche, ora inutile dal momento che quelle questioni possono essere risolte facilmente con strumenti nuovi e più facili.

Perché il teorema di Menelao?

Eppure, anche per un lettore moderno, il teorema di Menelao ha certamente un grande interesse per almeno due motivi. Il primo, legato alla nascita della trigonometria, spiega la ragione profonda che ha ha determinato l’abbandono della teoria delle corde, già sviluppata da Ipparco e poi da Tolomeo, in favore della teoria, certamente meno naturale, delle funzioni trigonometriche seno e coseno. Fatto credo di un certo rilievo culturale, visto che la trigonometria viene oggi insegnata in tutte le scuole, magari senza che si sappia il motivo per cui si preferisce considerare la mezza corda del doppio arco (cioè il seno di quell’arco) anzichè la corda tout court.

Il secondo motivo di interesse è legato al fatto che il teorema di Menelao si inserisce in un nuovo contesto geometrico che, per la prima volta e in modo cosciente, sviluppa per via assiomatica deduttiva una “geometria curva”, sulla scia della geometria euclidea, con i suoi “angoli”, ” triangoli” ecc., che approderà nel secolo XIX alle così dette “Geometrie non-euclidee”. La contrapposizione Euclide-Menelao (o se si vuole piano-sfera) permette di evidenziare in modo semplice ed esplicito la “relatività” della geometria, spazzando via volumi e volumi di inutili speculazioni filosofiche e pseudo scientifiche sul “valore assoluto della geometria Euclidea” . Fatto credo, anche questo, di un certo rilievo.

Lo scopo di questa breve nota è di riesumare queste idee presentando al lettore il materiale in forma ipertestuale, in modo che egli possa scegliere un percorso di lettura adeguato alle proprie conoscenze e alle proprie esigenze di approfondimento, senza che ciò richieda, a chi sia interessato ai dettagli e alle dimostrazioni, molti prerequisiti. Mi pare che la matematica si presti bene, per la sua struttura logico deduttiva, a questo nuovo mezzo che consente di offrire contenuti più avanzati, e in forma più divertente, rispetto ad un articolo di giornale. E’ questo un esplicito tentativo metodologico che si oppone a chi sostiene che sullo schermo di un computer non sia possibile comunicare una idea che occupi, per la sua spiegazione, più di tre righe.

La geometria curva

Poiché è meno nota l’utilità applicativa della “geometria curva” cominciamo col ricordare l’interesse che essa aveva, tra gli scienziati alessandrini del IV e III secolo a.C., nella descrizione scientifica degli astri e dei loro movimenti. Il punto di partenza consiste nel definire, in modo preciso, uno schema di riferimento capace di descrivere l’universo. Le stelle e tutti gli astri del cielo vengono proiettati sulla superficie di una grande sfera matematica (la volta celeste) il cui centro è occupato dall’osservatore. Le stelle vengono così a corrispondere a punti di questa teorica superficie.

Il passo successivo, fondamentale, consiste nel definirel’”allineamento” di tre punti sulla sfera. La definizione è ovvia e naturale: tre stelle ci appaiano allineate quando i tre raggi con cui le vediamo stanno su uno stesso piano, cioè quando i tre corrispondenti punti della sfera si trovano su un piano che passa per il suo centro (l’osservatore). O ancora, in termini più astratti, quando i tre punti si trovano su un cerchio massimo, cioè un cerchio, tracciato sulla sfera, il cui raggio è il massimo possibile, e ciò accade quando il piano sul quale si trova questo cerchio passa per il centro della sfera. Ecco allora che risulta naturale e utile pensare alle stelle come ai punti di una sfera sulla quale le “rette” sono rappresentate da cerchi massimi e, come conseguenza, sviluppare una nuova geometria “a due dimensioni” con i suoi “segmenti”, i suoi “triangoli” , “angoli” ecc, con gli stessi metodi che aveva usato Euclide per la geometria piana.

Questo è il programma che sviluppa Menelao nella sua opera “Sphaerica” divisa in tre libri, pervenuta fino a noi in una traduzione in latino di una precedente versione araba. La traduzione è curata da Halley e pubblicata a Oxford nel 1758. E’ a questa edizione cui ci riferiremo in questo articolo.

L’opera di Menelao inizia, (come è per gli elementi di Euclide) con le definizioni. La prima di queste dice:

I. Triangolo sferico è lo spazio compreso tra archi di cerchio massimo sulla superficie della sfera

Questo è l’atto di nascita della geometria “curva” che sarà poi ripresa e sviluppata solo alla fine del XVIII secolo da Gauss in tutta la sua generalità, dando vita alla “geometria intrinseca” su una qualunque superficie curva (non solo il piano, come aveva fatto Euclide, o la sfera come aveva fatto Menelao). Quelle idee diventeranno poco dopo, con Riemann , i germi della moderna geometria differenziale dove la superficie (spazio a due sole dimensioni) viene sostituita da uno “spazio curvo” a tre o più dimensioni ancora, nel quale “spazio” Riemann indica come calcolare distanze, angoli, e come sviluppare la nuova geometria. Oggi queste idee sono ben lungi dall’essersi esaurite ed anzi hanno trovato un ampio spazio, a partire dalla teoria della relatività generale di Einstein, nella fisica teorica e rappresentano rami fruttuosi della ricerca matematica contemporanea.

In questo articolo tentiamo di illustrare uno dei teoremi principali della “Sphaerica” [Lib. III PROP. I. THEOR.] , noto come teorema di Menelao cercando di illustrare le coseguenze cui si accennava . Il teorema ha una versione piana alcune volte chiamata col nome di “regula sex quantitatum ” e una versione “curva” (sulla sfera).

Regula sex quantitatum
Se un triangolo N , L , M è tagliato da una trasversale non passante per i vertici, nei punti E, Q , A sui lati NM, ML, LN rispettivamente, allora il prodotto dei rapporti semplici costruiti sui tre lati è uno. Vale cioé la regola:

Ricordiamo che se tre punti A , B , P sono allineati, si chiama rapporto semplice dei tre punti il rapporto k tra la lunghezza del segmento AP con quella del segmento BP, o meglio lo scalare k che esprime il vettore AP come multiplo del vettore BP.

L’analogo risultato nella geometria della sfera, così come è riportato da Halley, recita testualmente:

Teorema di Menelao

Siano dati sulla superficie della sfera due archi di cerchio massimo N M E , N A L , internamente ai quali tracciamo altri due archi (di cerchio massimo) E Q A , L Q M che si incontrano nel punto Q : dico che

In questo enunciato appare per la prima volta la funzione “sinus ”: ciò che modernamente intendiamo per seno trigonometrico di un angolo. In questo caso, quando scriviamo “sinus (NE)” l’angolo in esame, se O è il centro della sfera, è quello formato dalle semirette ON e OE (o, se la sfera è di raggio unitario, sinus (NE) significa il seno dell’arco NE misurato in radianti). L’etimologia della parola sinus (come lo stesso Halley ci avverte) è piuttosto complicata. Difatti la locuzione greca , che ritroviamo in Tolomeo e che probabilmente risale alla versione originale (andata perduta ) dell’opera di Menelao, usa per il seno di un angolo, la lunga locuzione:

che letteralmente significa “il sotto del doppio della circonferenza ….” cioè la corda sottesa dal doppio arco. -fig2.gif->

Più precisamente, il “sotto” del doppio di circonferenza AB è il “sotto” dell’arco AC cioè la corda AC. Dunque: il “sotto” del doppio di circonferenza AB coincide con

-form3.gif->

La formula precedente la ritroviamo nell’Almagest [Libro I . prop.13 pag. 68], essenzialmente, nella forma seguente:

-form4.gif->

Dopo la distruzione di Alessandria e della sua enorme biblioteca molte delle opere greche fortunosamente salvate dalla distruzione, tra cui certamente l’Almagest di Tolomeo, penetrarono nei circoli scientifici indiani e vennero da loro variamente rimaneggiate e riscritte in versi come le grandi epopee poetiche induiste. E’ in quella visione poetica ed allegorica dove, richiamando l’immagine dell’arco e delle frecce, nascono i termini oggi di uso comune in matematica, quali appunto “arco”, “corda” ecc. riferiti alla geometria delle circonferenze.In particolare la parola sanscrita “jiva” che significa “corda di un arco” traduce la locuzione greca

-form4.gif->

Un problema nasceva però dal fatto che il teorema di Menelao e tutto ciò che da esso ne segue, stabilisce delle relazioni di proporzionalità non tanto tra le corde di un arco quanto, piuttosto, tra le corde del doppio arco, cioè tra i seni dell’arco. Poichè quindi questa espressione “corda del doppio arco” interveniva sempre nelle principali regole, fu coniato il termine abbreviato “jya” al posto della frase “ardha jiva”. Quando gli arabi intrapresero la traduzione dal sanscrito delle opere astronomiche indiane, non riuscirono a trovare nei loro dizionari, nessuna parola che significasse “jya” e così la tradussero con la parola “jaib” che aveva un suono simile ma anche un significato: nella lingua araba “jaib”, infatti significa “cavità, tasca”. Quando, infine, si arrivò a tradurre dall’ arabo al latino, la parola “jaib” aveva assunto un ben preciso significato , fu tradotta col termine latino “sinus” che appunto vuol dire “cavità”.

La dimostrazione del Teorema di Menelao presuppone l’analogo teorema piano, la “regola delle sei quantità”, di natura più elementare che doveva essere ben nota, probabilmente allo stesso Euclide, e del quale Menelao non riporta neanche la dimostrazione. Noi offriamo, invece, al lettore tre dimostrazioni ognuna delle quali ne mette in luce aspetti diversi. La prima è una dimostrazione affine che usa tecniche vettoriali e che consente anche di dimostrare la validità dell’inverso del teorema di Menelao piano; la seconda è una dimostrazione analitica che usa il metodo delle coordinate e che permette di generalizzare il teorema al caso di poligoni con un numero qualunque di lati; la terza, che ha un carattere più elementare è quella che troviamo nell’Almagest [Libro I Capitolo 13] a precedere la dimostrazione del teorema sferico.

-fig3.gif->
E’ interessante notare il modo in cui inizia quel capitolo dove Tolomeo precisa immediatamente l’uso astronomico che si vuol fare del teorema di Menelao: “Il nostro prossimo obiettivo è quello di determinare il rapporto tra l’arco dell’equatore celeste, l’arco dell’eclittica e l’arco di cerchio massimo dal polo all’equatore”. In altri termini, Tolomeo cerca una relazione tra i lati del triangolo sferico rettangolo che ha come cateti la declinazione e l’ascensione retta e come ipotenusa un arco di eclittica.

La dimostrazione del teorema di Menelao che quà riportiamo è quella che si trova nella versione latina di Halley della Sphaerica ed è molto istruttiva perchè mostra come entra in scena, per la prima volta, la corda del doppio arco, questo nuovo importante personaggio della matematica, che a partire da questo teorema, assumerà un ruolo ben più importante della più semplice corda di un arco.

-fig4.gif->
Dal teorema di Menelao è facile ricavare le formule di base per la trigonometria sferica. Se, ad esempio, consideriamo un triangolo sferico A Q Z , rettangolo in Q, detto a* l’angolo sferico tra il “cateto” QZ e l’ “ipotenusa” AZ, abbiamo la seguente formula risolutiva per i “triangoli rettangoli”

La dimostrazione della formula risolutiva si ottiene facilmente, applicando il teorema di Menelao ad un opportuno triangolo sferico.

Notiamo che questa formula di geometria sferica, come il teorema di Menelao, sembra ottenersi dalla sua analoga relativa alla geometria del piano, sostituendo le lunghezze dei segmenti con i seni trigonometrici degli archi corrispondenti. Questa osservazione assumerà, nello sviluppo delle geometrie non euclidee, grande importanza potendosi pensare la geometria euclidea come un caso particolare di una geometria più generale che la comprende, la geometria sferica. In questo contesto la cosa appare particolarmente chiara se consideriamo il piano come limite di una sfera di centro fissato e di raggio infinito. Facendo tale limite l’”allineamento si conserva” di modo che il limite di un triangolo sferico diventa un triangolo piano. La cosa può essere ulteriormente precisata con semplici operazioni di passaggio al limite.

-fig5.gif->
Comunque, anche senza queste osservazioni, abbiamo un analogo “curvo” del teorema dei seni, che fornisce, per un qualunque triangolo sferico le analoghe relazioni:

-form6.gif->

La prova del “teorema dei seni” si ottiene, come nel caso piano, tracciando le altezze e usando la formula risolutiva (F) applicata ai triangoli rettangoli che in quel modo vengono generati.

Tolomeo, come abbiamo detto, usa la stessa formula (F) per calcolare la declinazione del Sole sapendo l’angolo percorso sull’eclittica a partire dall’equinozio di primavera. Se quest’angolo è, ad esempio, di 30 gradi ( cioè il Sole sta uscendo dalla costellazione dell’Ariete per entrare in quella del Toro), valutando come fa Tolomeo, l’inclinazione a* del piano dell’eclittica sul piano equatoriale di 23 gradi, 51 primi e 20 secondi, la declinazione d del sole risulta data dalla relazione

sin (d) = sin (30°)sin (a*)

che in termini di corde diventa

2Crd arc (2d) = Crd arc (60°)Crd arc (2a*).

Usando ora la tavola delle corde (cioè una tavola che fornisce per ogni angolo a partire da mezzo grado, fino a 180° di mezzo grado in mezzo grado, la lunghezza della corda sottesa), precedentemente calcolata [Almagest, Libro I Capitolo 11], Tolomeo trova:

Crd arc (60°) = 1 e Crd arc (47°42’40”)= 0.8088

e quindi arriva all’equazione

Crd arc (2d) = 0.4044

che, usando ancora, all’inverso, le tavole delle corde, gli permette di valutare l’angolo 2d=23°19’59’’. Calcoli analoghi gli permettono di fare una tavola completa con la declinazione del Sole relativa ad un percorso a* qualunque.

E’ dunque la formula risolutiva (F) che serve a Tolomeo per le sue applicazioni astronomiche e il caso vuole che questa stessa formula possa ottenersi diversamente senza alcun bisogno del non facile teorema di Menelao, usando proprietà di base del prodotto vettoriale. E’ in questa seconda maniera, senz’altro più facile, che la formula viene presentata nei manuali moderni, così che del teorema di Menelao, diventato “inutile”, si perde traccia e con lui si perde anche la possibilità di una accurata ricostruzione della genesi di alcune idee basilari della matematica.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here