Rischio contatto

“La trasmissione dei virus responsabili dell’influenza aviaria avviene solo a seguito di uno stretto contatto con le specie animali infette”. I ricercatori lo ripetono ormai da settimane cercando di contenere l’allarmismo, e così sottolinea anche Isabella Donatelli, virologa dell’Istituto Superiore di Sanità, da tempo impegnata nello studio di questi virus. A rischiare di più, in Italia, sono quindi allevatori, veterinari, addetti alle disinfestazioni degli allevamenti e macellatori, categorie di lavoratori di cui Donatelli ha verificato le condizioni di salute in uno studio retrospettivo che verrà pubblicato il 1° ottobre su Journal of Infectious Disease.Oggetto del suo studio 983 campioni di sangue prelevati da addetti al settore avicolo impiegati in allevamenti del Nord Italia, aziende in cui si era verificata la presenza di influenza aviaria, causata da virus di sottotipo H7, fra il 1999 e il 2003. L’analisi dei dati ha portato a individuare nel sangue di sette soggetti la presenza del virus H7N3. “Abbiamo così dimostrato per la prima volta scientificamente che virus influenzali aviari a bassa patogenicità (che non causano cioè sintomi gravi, al più una congiuntivite), appartenenti al sottotipo H7, sono in grado di infettare l’essere umano, inducendo una risposta immunitaria specifica”, ha dichiarato Donatelli. Un allarme nell’allarme? “No. Questo non significa che il passaggio dall’animale all’essere umano sia certo e imminente”, tranquillizza la ricercatrice. “E ancor meno che si verifichi la trasmissione fra umani. Perché ciò accada devono accadere molte cose contemporaneamente: un individuo deve essere infettato sia da un virus animale che da uno umano, deve avvenire la ricombinazione dei due e il risultato deve essere proprio un virus altamente patogeno”. Un evento raro, quindi, a cui però l’Italia si sta preparando con grande impegno di risorse. Il decreto presentato dal ministro della Salute Francesco Storace al Consiglio dei Ministri dello scorso 16 settembre, e in quella sede approvato, parla di 50 milioni di euro per l’acquisto di medicinali antivirali, di 35 milioni di dosi di vaccino opzionate presso le aziende che lo produrranno, il potenziamento dei carabinieri dei Nas (aggiunta di 96 unità), dei servizi veterinari (assunzione di 60 medici veterinari e 50 operatori), l’istituzione di un dipartimento di sanità veterinaria e di un centro di coordinamento per le malattie animali. “La nostra rete di controllo veterinaria è fra le migliori in Europa e ormai nei nostri allevamenti non circola più alcun virus”, dice ancora Donatelli. “Gli uccelli migratori, però, rappresentano un pericolo perché è molto difficile tenerli sotto controllo. Bisogna impedire che avvenga il contatto fra gli esemplari selvatici e quelli domestici e in secondo luogo con l’essere umano”. Un pericolo che aumenta con l’attività venatoria: i cacciatori, infatti, vengono a contatto diretto con esemplari morti o feriti senza possibilità di controllarne lo stato di salute.Per questo il Wwf chiede a gran voce, accanto a provvedimenti legati a possibili campagne di vaccinazione a tappeto e a controlli sull’importazione di pollame dall’estero, il divieto di caccia ai migratori: “l’unico efficace intervento capace di influire immediatamente sulla diffusione del virus”, come ha dichiarato il presidente Fulco Pratesi.L’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica, per esempio, ha già emanato una circolare per mettere in guardia i ricercatori addetti all’inanellamento degli uccelli migratori dalla possibile infezione, ma nulla è stato finora detto dalle autorità a proposito del rischio corso dai cacciatori. In Russia, a scopo precauzionale, è stato decretato il divieto di caccia ai volatili nelle sette regioni interessate dall’infezione, mentre in Olanda (unico Paese europeo ad aver registrato nel 2003 un contagio) ha decretato l’obbligo di mantenere al chiuso i volatili d’allevamento per impedirne qualsiasi contatto con gli esemplari selvatici potenzialmente infetti.

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