Ipazia, martire della scienza

Nel 2007 il matematico Michael A. B. Deakin della Monash University a Melbourne in Australia pubblicò un libro dal titolo “Hypathia of Alexandria, mathematician and Martyr” (Prometheus Books, NY). Nella prefazione così scriveva: “Immaginate un tempo quando il più importante matematico vivente era una donna, peraltro una donna molto attraente, e una donna che era contemporaneamnte il migliore astronomo del mondo di allora.
Immaginate che abbia condotta la sua vita ed il suo lavoro professionale in una città così turbolenta e problematica come sono oggi Beirut o Baghdad. Immaginate che questa donna matematica abbia raggiunto la fama non solo nel suo campo specialistico, ma anche come filosofo e pensatore religioso, capace di attrarre un largo numero di seguaci. Immaginate lei come una vergine martire ma non per la sua Cristianità, ma da parte dei Cristiani perché non era una di loro. E immaginate che il colpevole della sua morte sia stato accolto tra i santi più onorati e significativi della Cristianità.
Non avremmo dovuto sentirne parlare? Non sarebbe dovuto succedere che in ogni libreria fosse stato possibile comprare una sua biografia? La sua vita non avrebbe dovuto essere nota a tutti? Potreste pensare che avrebbe dovuto essere così, ma non è questo il caso. Ed è questa la ragione per la quale ho scritto questo libro.
E fu la insegnante riverita di Sinesio di Cirene che si convertì al Cristianesimo e collaborò a formulare la dottrina Cristiana della Trinità, utilizzando le idee neoplatoniche che aveva appreso da lei”.

In realtà di Ipazia, qualcuno aveva parlato, almeno gli storici e i matematici conoscono il suo nome. “Un giorno fatale, nella sacra stagione della quaresima, fu strappata dalla sua carrozza, spogliata e trascinata alla chiesa e uccisa da Pietro il lettore e da una turba di selvaggi spietati e fanatici. Le fu staccata la carne dalle ossa con gusci d’ostrica, e furono abbandonate alle fiamme le sue membra ancora palpitanti. L’inchiesta sul delitto e la sua giusta punizione furono fermate con opportuni donativi; ma l’assassinio di Ipazia ha impresso una macchia indelebile sul carattere e sulla religione di Cirillo Alessandrino”.
Chi scrive queste parole è il famoso storico inglese Edward Gibbon nella sua monumentale “History of the Decline and Fall of the Roman Empire”(Storia della decadenza e caduta dell’impero romano, Einaudi, 1967) i cui volumi vennero pubblicato tra il 1766 e il 1788. Sta parlando di Ipazia, della sua tragica morte, a proposito della quale aggiunge in una nota che “gusci d’ostrica erano sparsi sulle rive del mare, posso dunque attenermi qui al senso letterale, senza rifiutare la versione metaforica di tegole; non so se Ipazia fosse ancora viva, probabilmente gli assassini non se ne curarono”.

Ipazia eroina cinematografica

Chi era Ipazia e perchè viene uccisa in questo modo così tremendo? Ce lo racconta “Agorà”, film presentato l’anno scorso al festival del cinema di Cannes dal 23 aprile nelle sale italiane. Diretto da Alejandro Amenabar, sceneggiato dal regista insieme con Mateo Gil, con Rachel Weisz nella parte di Ipazia e tra gli attori Max Minghella, Oscar Isaac e Ashraf Barhum, è un filmone di più di due ore, che presenta una ricostruzione fedele della città di Alessandria, e masse di comparse. Insomma, una grande produzione per un drammone d’altri tempi. Un film molto retorico, non molto riuscito, troppo didascalico, in cui l’unica novità è la ferocia dei cristiani che cercano di distruggere il pensiero libero, la libertà di ricercare, e soprattutto, la provocazione di una donna che afferma di cogliere la verità e di credere nella filosofia e nella scienza. Un filmone che avrebbe potuto essere molto più essenziale, metaforico, simbolico e invece diventa un fumettone romantico.

Il film inizia nel 391 quando ad Alessandria Ipazia insegnava nella biblioteca a Sinesio, Oreste e altri giovani. E mette in scena da subito la contrapposizione fra il padre Teone, che non vuole i cristiani, i portatori di croce estremisti, tra i suoi discepoli e Ipazia, che invece dice a tutti gli studenti che sono fratelli. I giovani cristiani vengono frustati da Teone e confortati da Ipazia, che insegna loro il sistema di Tolomeo. Si passa poi a raccontare come i cristiani fanatici, rappresentati tutti vestiti di nero come fossero dei moderni estremisti, vogliano distruggere la biblioteca annessa al tempio di Serapide, dove Ipazia, pur assediata, continua a parlare di Aristarco di Samo e della possibilità che il Sole sia fisso e non la Terra. I Romani se ne lavano le mani e così Teone; Ipazia e i giovani studiosi cercano di portare fuori dalla biblioteca il maggior numero di pergamene. Ma tutto viene distrutto, le opere radunate al centro della biblioteca e bruciate. E della biblioteca si farà una stalla.

Mentre le lotte fra le diverse fazioni religiose continuano a funestare Alessandria, Ipazia continua a studiare, a sperimentare: il gusto della sapienza è più forte di tutto. E interrogata sul perchè non creda in Dio, risponde: “credo nella filosofia”. Finchè, potere della fiction, Ipazia ha la rivelazione: la Terra si muove intorno al Sole, vi sono due fuochi intorno ai quali si muove lungo un’orbita ellittica. Ha scoperto una delle leggi di Keplero! Più di milleduecento anni prima. Infine, i sicari cristiani la denudano, la lapidano e il suo corpo è fatto a pezzi.

Un’ultima annotazione. In una delle scene iniziali del film Ipazia fa un bagno in una vasca, aiutata da uno dei suoi discepoli. Primo piano del  sedere dell’attrice che la interpreta. Scena che poi spiega il finale del film con l’allievo divenuto un cristiano estremista.
Vedremo presto, per par condicio, un film su Pitagora che ci mostrerà il fondo schiena del famoso matematico uomo?

Libertà alla cultura, libertà alle donne!

1 commento

  1. (Aggiornamento: Firenze, 30 Luglio 2010)

    Gentilissima Signora,

    nel film “AGORA'” su IPAZIA – JOHN TOLAND, Ipazia, Editrice Clinamen, Firenze, 2010 – mancano assolutamente i riferimenti ASTROLOGICI: ed è gravissimo!!! Le scuole neoplatoniche dei primi secoli non erano guidate in tale modo. Il film è stato comunque culturalmente molto utile, se pur, da un punto di vista artistico, criticabile. Comunque ne andrebbero messi in scena altri riguardanti argomenti simili. L’ utilità del film avrebbe potuto essere evidenziata anche da MARINO discepolo di PROCLO, poiché egli racconta che Proclo stesso (Marini Vita Procli, 30: cfr. PROCLUS, Théologie platonicienne, livre I, par H.D. Saffrey et L.G. Westerink, Paris, Les Belles Lettres, 1968, pp. XXII – XXIII), per aver custodito devotamente in casa sua la il Crocifisso, avrebbe poi rischiato di fare la stessa fine di Ipazia se non fosse riuscito statua della dea Atena, dal momento in cui i cristiani la buttarono giù dal Partenone per metterci a fuggire. Così erano diventate molte sette cristiane una volta finite le prime comunità apostoliche, cioè seguaci della dottrina della DIDACHE’ che dava ai PROFETI, quindi anche se LAICI, pari dignità sacerdotale che ai VESCOVI: problema al quanto imbarazzante che si cercò ben presto di eliminare e quindi ancor prima dell’eliminazione della comunità dei DONATISTI. Alcuni interventi all’epoca del CONCILIO VATICANO II (1963) sembrarono però indicare di dover tornare a queste primissime comunità in cui la grazia di profezia, legata anche all’esercizio di una scienza (per Dante si tratta della scienza della pagana FILOSOFIA DI PITAGORA e, similmente, della cristiana MORALE FILOSOFIA del nono cielo acqueo, cristallino e di Maria), sembrava riproponibile. A quei tempi (1963-1976) MONS. ENRICO BARTOLETTI, l’ “alter ego” di Paolo VI e, in certo qual senso il maestro di monsignor ALBINO LUCIANI, e già favorevole ad accettare una legge dello Stato a favore del divorzio coniugale, personalmente sono sicuro che volesse seguire anche questa linea aperta ad un nuovo profetismo e quindi alla sacralità del vero Filosofo laico, o scrittore, o autentico poeta ed artista, specialmente poi se martire, come, appunto, IPAZIA. Il Bartoletti avrebbe certamente elogiato Ipazia quale esempio di comportamento per un cristiano. Del resto a me ricordava, elogiandolo, il futuro risorgere, annunciato da Giove a sua figlia Venere, delle torri della Novella Troia: “Non temer, Citerea (Venere mattutina, Lucifero), … sorgeran le torri de la novella Troia” (VIRGILIO, Eneide, Annibal Caro, lib. Primo, 416-421). Ma come certi cristiani durante i primi secoli non tolleravano la presenza delle scuole neoplatoniche di Atene, di Alessandria e di Roma (non so se per invidia), così io ritengo che, analogamente, oggi la stessa specie di cristiani non sopportino di discutere che il viaggio descritto da Dante con la DIVINA COMMEDIA, avvenga nel 1301 proprio ad elogio degli influssi astrali, e quindi non affatto nel 1300 come generalmente viene detto e scritto. Chi oggi ama Ipazia, vada avanti nello studio della Commedia, 1301 (cfr. grafici e documenti anche su FACEBOOK – Foto – di GIOVANGUALBERTO CERI).
    Tutta la direzione della CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, C.E.I., in cui erano presenti il CARDINALE ANTONIO POMA e MONSIGNOR ALBINO LUCIANI poi eletto papa su indicazione anche di Paolo VI, negli anni dal 1972 al 1976 era stata fortemente influenzata dalle idee di Monsignor Enrico Bartoletti a favore: di un nuovo profetismo; dalla libera ed autentica ricerca artistico-filosofico laica (Ipazia) anche per il fascino sapienziale che essa esercitava sulla scia di THOMAS MERTON (cfr. Problemi dello spirito, parte terza, Arte sacra e vita spirituale); e dell’impegno a combattere la corruzione, le tangenti, e gli appalti: Cfr. lettera inviatami dal Bartoletti in data 22 settembre 1963 (face book – foto). Tutta la direzione della CEI (1974) era orientata ad accettare questa linea culturale e religiosa, così mi disse il Bartoletti a Roma: per cui, dopo la morte di papa ALBINO LUCINI, se si fosse voluto prendere un’altra strada post-conciliare, non ci sarebbe stato altro modo che puntare su un papa straniero. E così, per me, avvenne. Con il Bartoletti non solo non ci sarebbe stato alcun tentativo di censurare il film su Ipazia, ma lui stesso ne avrebbe caldeggiati altri, magari meglio realizzati da un punto di vista artistico e spirituale.

    Fino a Dante, e perciò anche nelle antiche scuole neoplatoniche di Atene e di Alessandria, non esistevano comunque semplici lezioni astronomiche senza riferimenti all’astrologia tolemaica e, conseguentemente, senza l’identificazione, quanto meno, dei quattro umori, UMIDO, CALDO – fecondi e attivi e perciò nobili e montanti- , e SECCO e FREDDO – distruttivi e passivi e perciò volgari e volgenti – (Tetrabiblos, I, V, 1-2; I, VIII, 1-2). Anche Dante incentra, sia il viaggio della Commedia, che gli altri episodi simbolici della Vita Nuova e del Convivio sui quattro umori esercitati dagli astri durante il loro moto (rivoluzioni sinodiche, o aspetti dei pianeti in rapporto col Sole) e peculiarmente sugli umori umido e caldo in quanto, appunto, nobili e montanti (Convivio, IV, XXIII). Vedere il Link: http://www.youtube.com/watch?v=wV4vEG15yjA). Che gli storici e i letterati non ne parlino, e non vogliano prenderne atto, non significa affatto che la realtà non fosse allora immaginata nel modo da me evidenziato, cioè tutta sussumibile sotto questi quattro umori che, per questo, erano ritenuti universali (Cfr. Par., XXXIII, 7-9). Le opere di Dante (Commedia, Vita Nuova e Convivio) sono tutte immerse nell’ASTROLOGIA pur trovandovi gli esegeti, ma solo i più esigenti, solo delle note astronomiche. Il fenomeno sfiora il ridicolo ma così è!

    Il problema della teorizzazione del movimento ELLITTICO dei pianeti messo in evidenza da Ipazia, a migliore giustificazione delle loro apparenze in cielo, è importante, ricorda la passione per la ricerca dei neoplatonici, ma la loro passione per la ricerca stessa andava ben oltre questo semplice aspetto astronomico-gravitazionale a noi tanto caro. Essi erano ancor più impegnati nel problema della spiritualizzazione dell’anima: problema i cui tentativi di risoluzione venivano ugualmente sottoposti ad osservazione scientifica, empirica, sia pure sotto il profilo della soggettività, cioè, diremmo noi, di una “scienza universale dell’anima in generale” (E. HUSSERL, La Crisi delle scienze europee, § 69).

    I pianeti ontologicamente influenti erano inoltre i primi cinque in base a CLAUDIO TOLOMEO, ma anche a Dante, e andavano gerarchicamente dalla Luna a Marte (Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte). La Luna si immaginava, non a caso, assai vicino alla Terra e alla sua fertilità e l’angelo signore di questo primo e più basso cielo, o pianeta, non per caso è GABRIELE. Le gerarchie angeliche della cultura cristiana sono ovviamente parto della mentalità di rimonta verso l’Uno, verso il Bene, del mondo platonico e neoplatonico. Non per caso furono meglio messe a fuoco da DIONIGI L’AREOPAGITA (Atene, I secolo d.C.), come testimonia anche Dante (Par., XXVIII, 130-132) e perciò tali gerarchie già indicando l’angelo Gabriele quale signore del cielo della Luna la quale, per la maggior parte della gente, così scrive Tolomeo, attraverso il suo novilunio (umido) e plenilunio (caldo), influenza positivamente la fecondazione degli animali e la semina delle piante (Tetrabiblos, I, III, 14). Questo, per senso, era il mondo neoplatonico.
    Ritornando alla neoplatonica Ipazia, sulla Terra esisterebbe, per la Tradizione esoterica, un problema riguardante SATANA: cioè la non volontà di resurrezione quale conseguenza indiretta degli influssi di incarnazione esercitati dalla Luna sulla Terra.
    Al contrario Marte, essendo assai più vicino al più alto dei cieli, ed essendo lontanissimo dalla Terra, darebbe luogo al problema riguardante LUCIFERO: cioè la non volontà di incarnazione.
    Il cielo della Luna già presiede alla GRAMMATICA che permette all’essere umano di iniziare ad incarnarsi nella cultura. Il cielo di Marte presiede invece alla MUSICA che permette all’essere umano di affrontare la morte con convinzione, cioè col superamento di essa stessa: Marte-Musica-Martirio-Morte. Nella sua piena completezza Marte inclina dunque al versamento del sangue per la verità, mentre la Luna inclina al poter fare incarnare Colui che sarà all’altezza di questo compito, di questa verità-realtà ontologico-vissuta (Convivio, II, XIII, 8; Commedia, Par., XIV, 103-108). Lo ripeto, questo, per senso, era il mondo neoplatonico da cui Dante fu fortemente influenzato, forse seguendo anche l’arabo Avicenna, o l’ebreo Abramo Ibn Ezra (Avenare).
    Ontologicamente, per arrivare a tanto, bisognerà però che prima l’anima discenda dagli influssi dei cieli superiori alla Luna e che si estendono fino al cielo di Marte, per così incarnarsi sulla Terra. Le aspirazioni dell’anima dovranno vincere la luciferina e simbolica non volontà di incarnazione presente nei cieli superiori: ed è qui che essa può essere aiutata dagli influssi della Luna andando però incontro poi, una volta incarnatasi sulla Terra, alla satanica non volontà di resurrezione. Ma a risolvere questo ulteriore problema interverrà la potenza di Cristo.
    LUCIFERO e SATANA appaiono dunque anche come due campi di forza opposti e necessari, quindi scientificamente utili, alla maturazione dell’uomo completo qualora riescano cristicamente a crocifiggersi l’uno sull’altro.
    Quando allora il nostro allievo dedica ad Ipazia, nell’agorà, la sua musica è simigliante al cielo di Marte e sottostà perciò al problema della non volontà di incarnazione, ovviamente. Ipazia l’ha capito, e se l’ha capito, quale docente della Scuola, cosa vorrà ancora insegnargli? Potremmo anche ipotizzare che Ipazia non sia mai esistita, però, essendo stata costruita la sua storia, essa stessa dimostrerebbe, a più forte ragione, che il problema di questi delitti, o assassini, o martirizzazioni, esisteva.
    Quando dunque Ipazia contraccambia, nella storia, didatticamente l’omaggio fattole dal suo allievo, regalandogli il suo fazzoletto macchiato del suo mestruo, intanto il simbolo è ovviamente quello del cielo della Luna, mentre il consiglio non potrà essere che quello di doversi anche lui meglio incarnare. Dunque Ipazia, seguendo i significati astrologici, per il suo regalo legato alla Luna, consiglierebbe all’allievo di incarnarsi meglio, più completamente, oltre che di continuare, ovviamente, a dedicarsi alla musica. E siamo qui all’inizio e alla fine (Luna-Marte) del tragitto ontologico dell’essere umano in base agli influssi dei pianeti.
    Anche Gesù Cristo si incarnò attraverso gli Uffici del signore del cielo della Luna: l’ANGELO Gabriele, che sarebbe perciò un grave errore ontologico-scientifico chiamare ARCANGELO, come invece si legge anche in alcuni testi promossi dalla CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA e anche, con stupore, nel famoso commento di NATALINO SAPEGNO alla COMMEDIA: cfr. Commenti a PARADISO: Par., IX, 138; XIV, 36; XXIII, 94-103; XXXII, 94 -112. Dante anzi in un punto specifica proprio Gabriele quale “angelo” (XIV, 36): perché gli esegeti non fanno mente locale?
    CHI HA PAURA DEL CORPO DELL’UOMO? CHI NON AMA IL CLASSICISMO.
    La nostra “Regina Benedetta Virgo Maria” (Vita Nuova, XXVIII, 1) rimase incinta di Gesù Cristo proprio a quello che avrebbe dovuto essere il suo primo MESTRUO. Essa rimase infatti incinta di Gesù, seguendo la Tradizione, all’età di tredici anni (Convivio, II, V, 4) per l’intervento del “grande legato missus a Deo”, l’angelo Gabriele signore del cielo della Luna che, non solo in quell’occasione, poteva guardare negli occhi la nostra Regina innamorato sì da parer di foco (Par., XXXII, 103-105). Un bel privilegio. Infatti così recita la liturgia della Santa Notte della Natività: “ex utero ante Luciferum genui te”. Il generato da quell’utero, Gesù Cristo, da un punto di vista simbolico riguardante l’ontologia vissuta, sarà poi messo da Dante, ovviamente, nel cielo di Marte e della Musica: “… ché ‘n quella croce lampeggiava Cristo” (Par., XIV, 104). Desta perciò sorpresa che alcuni commentatori, constatato che Ipazia ha voluto contraccambiare l’attenzione musicale a lei rivolta regalando il suo mestruo, abbiano potuto concludere che essa stessa potesse essere una prostituta, o accostata a un qualche genere di “ESCORT”.
    È perciò banale, o riduttivo, affermare che l’ EUROPA HA RADICI GIUDAICO-CRISTIANE. Meglio sarebbe riconoscere, con Dante, che l’ EUROPA HA RADICI PAGANO-CLASSICO-CRISTIANE (Virgilio e san Bernardo di Chiaravalle): il giudaismo essendo implicito al cristianesimo (Cristo era giudeo e la Bibbia comprende vecchio e nuovo testamento), mentre la cultura egiziana e caldaica è implicita al paganesimo classico (Cfr., con Ipazia, C. Tolomeo, Tetrabiblos, I, XXI, 1; I, III, 18; I, II, 15; II, XI, 3). L’Occidentalità del pensiero, essenzialmente, è tutta qui racchiusa e perciò per simboleggiare tutta l’occidentalità dell’Europa bisogna affermare che l’ EUROPA HA RADICI PAGANO-CLASSICO-CRISTIANE. Non bisogna essere invidiosi della saggezza degli autori pagano-classici se vogliamo salvare la nostra Civiltà, poiché il mondo orientale, oggi, sulla natura del corpo dell’uomo (fisico, psichico e spirituale), potrebbe empiricamente, cioè da un punto di vista comportamentale, arrivare a dimostrare di saperne più di noi e l’umanità, intuitivamente ed istintivamente,a questo punto lo seguirebbe per via della sua maggiore autenticità.
    I due campi di forza della NON VOLONTA’ (non volontà di incarnazione per chi si trova in cielo, e a più forte ragione in quello della musica; e non volontà di resurrezione per chi si trova sulla Terra in conseguenza degli influssi della Luna), per tentazione reciproca danno luogo, ontologicamente, alla Croce di Cristo che, se intesa come simbolo di scienza, diventa e simboleggia la contemporanea volontà di incarnazione e di resurrezione. Questa è la Croce di Cristo. Cristo, ovvero l’Uomo che insegna la strada della deità, deve diventare infatti potente di incarnazione e di resurrezione: da qui, appunto, la CROCE DI CRISTO come simbolo, ormai trascurato, di una scienza della soggettività in generale e dell’evoluzione della persona. Questa traiettoria esistenziale risulta anche dagli insegnamenti, ancorati alla Tradizione, del Filosofo e romanziere francese RAYMOND ABELLIO (cfr. R. ABELLIO, LA STRUCTURE ABSOLUE, Essai de phénoménologie génétique, coll. Bibliothèque des Idées, Gallimard, Paris, 1965, pp. 23, 244, 333-353, 358, 440, 450-462, 469-475, 519. A pagina 349 egli così scrive, p.e., : “Il cielo è il germe di una terra ideale, ma esso, in quanto luciferino, dovrà incarnarsi sulla Terra. Non può restare germe. Il campo simbolico di forza luciferino che sta in cielo e quello satanico che viviamo qui sulla terra rendendola un’Inferno, non si conoscono però come tali e, da qui, l’impotenza a crocifiggersi l’uno sull’altro mancando loro, momentaneamente, una sufficiente reciproca tentazione”, p.349).
    Il contraccambio del regalo, MUSICA CONTRO MESTRUO, fatto da IPAZIA punterebbe dunque, considerandolo sotto questo profilo esoterico-scientifico, alla maturazione del suo allievo e, più in generale, alla realizzazione futura di una terra ideale: la pagana NOVELLA TROIA promessa da Giove a sua figlia Venere mattutina e perciò UMIDA E CALDA (VIRGILIO, Eneide, libro primo, 254-260; Annibal Caro, 416-421) e, ugualmente, alla realizzazione della cristiana NUOVA GERUSALEMME TERRESTRE.
    Ipazia, sotto il profilo scientifico-spirituale, cioè della ricerca della verità è, paradossalmente, già più cristiana dei cristiani e del suo allievo, e dunque non per caso è lei a versare il sangue per la verità, ad essere martire: Marte-Musica-Martirio-Morte e quindi assai vicina a Cristo crocifisso. Scrive Dante: “In forma dunque di candida rosa / mi si mostrava la milizia santa / che nel suo sangue Cristo fece sposa;” (Par., XXXI, 1-3).
    IPAZIA “ESCORT”.
    Ipazia per alcuni sarebbe stata una “ESCORT”? In altre parole una donna pronta a ripetere quasi a memoria le lezioni di importanti docenti di Teologia neoplatonica?
    In questo nostro frangente cattolico-culturale italiano apparentare Ipazia ad una “escort” potrebbe confondere però le idee, il senso che effettivamente ebbe la sua vita, che poi è quello che dovrebbe contare. Essa fu sacra.
    Essere un docente universitario di alto lignaggio, oppure famoso, indubbiamente è una cosa commendevole, però essere una martire è cosa ben diversa, assai più difficile e moralmente ben più impegnativa, per cui sarebbe d’obbligo per tutti dire: “GIÙ IL CAPPELLO!” Il sangue versato, è sangue versato, e in ogni circostanza. I discorsi ben altra cosa e assai più facile e debole. Il fatto che un debole possa criticare, o fare impallidire, un forte a me intimamente dispiace.
    Ipazia non fu disposta a farsi adescare da credenze maggiormente di moda, o meglio remunerate, e quindi Essa fu, ontologicamente (ontologia vissuta) una vera donna di Filosofia, cioè all’altezza di dare buoni consigli ad una Civiltà in fieri. Per me il cristianesimo è superiore al paganesimo classico, però bisogna vedere di quale cristianesimo parliamo. A qualificare l’essere umano non valgono solo i discorsi e i libri pubblicati con successo quanto, soprattutto, il comportamento. Il letterato mai potrà essere esistenzialmente superiore al martire. All’ intellettuale, a volte, piacerebbe, ma non è così, non è giusto. L’intellettuale appartiene al cielo di Mercurio (dialettica) e, semmai, a quello del Sole (ampliamento di coscienza), il martire, invece, al superiore Marte. Inoltre i martiri, anche se pagani, per me cristiano, seguace di Dante, hanno gli stessi poteri dei nostri santi martiri, per cui, dilà, potrebbero anche offendersene: e, nel mondo-dilà, pagano e cristiano, la stima nostra di viventi verso di loro sembra contare, avere un peso.
    E’ interessante ricordare come Dante MALEDICA nel Convivio quei cristiani che non vedono nella paganità classica la spinta necessaria per diventare autentici cristiani. Egli sta dunque dalla parte di Ipazia mentre così scrive: “Maledetti siate voi (cristiani traviati), e la vostra presunzione, e chi a voi crede” (Convivio, IV, V, 9).

    Non si può studiare il medioevo e la classicità, come anche gli egizi e i caldei (Tetrabiblos, I, XXI, 1; I, XXI, 8; I, II, 15; I, III, 18; II, XI, 3), solo riempiendosi la mente di avvenimenti, di episodi storici e di cronaca e di date poiché tale indirizzo è parziale, intimamente deludente, e infine finisce per impoverire lo studente e la cultura. Per studiare con autentico profitto culturale le epoche passate bisognerà invece cercare prima di tutto di impadronirsi delle scienze di allora, delle epoche di cui intendiamo riferire poiché è di esse stesse che ha vissuto l’umanità di cui vogliamo riferire. Per il progresso esistenziale della nostra civiltà è interessante il vissuto di queste epoche a noi lontane e non l’esibizione mnemonica di dati spesso manualistici. Il compito è difficile, faticosissimo e rischioso ma possibile, comunque ineludibile.
    Scriveva EUGENIO GARIN che l’università delle Scienze Umane, sotto questo profilo, fa pena. Io ho condiviso il suo sentimento e ho cercato di porre alcuni qualificanti rimedi con lunghi, continuativi e faticosissimi studi. Il risultato didattico è però rimasto inascoltato. Oggi mi domando: Perché?
    Con un saluto.
    Firenze, 30 luglio 2010,

    Giovangualberto Ceri
    Tel. 055 – 650.55.37 –
    cell. 333.396.1191

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here