Il mistero dei fossili cinesi

Sono stati ritrovati in Cina, e somigliano a granelli di sabbia: sono minuscoli frammenti fossili datati 570 milioni di anni, dunque risalenti al periodo Precambriano. Fanno parte della cosiddetta Formazione di Doushantuo, uno dei siti di fossili più ricchi del mondo. Ma da tempo la comunità scientifica si arrovella per capire cosa fossero in realtà questi granelli: embrioni di animali? O forse batteri? La risposta, secondo i paleontologi dell’Università di Bristol e del Museo Svedese di Storia Naturale di Stoccolma che li hanno trovati, non sarebbe nessuna di queste. Secondo due studi, pubblicati su Science e sui Proceedings of the Royal Society, si tratterebbe di microrganismi unicellulari non classificabili nel regno dei procarioti né in quello animale.

Il loro aspetto aveva portato inizialmente a pensare che si trattasse di embrioni animali, morti durante la divisione cellulare. Le strutture osservate al loro interno, molto simili a nuclei cellulari, sembravano indicare proprio questa provenienza. D’altra parte, secondo altri ricercatori, si sarebbe potuto trattare di fossili di Thiomargarita, batteri giganti in grado di ossidare lo zolfo. Questi procarioti, che esistono tuttora, quando osservati in forma fossile possono apparire simili ad altri organismi e dunque inizialmente trarre in inganno.

Per sciogliere il dubbio, i ricercatori hanno usato una tecnica di tomografia microscopica a raggi X che producesse immagini tridimensionali delle strutture interne. Foto tanto precise da riuscire a cogliere particolari di appena pochi decimillesimi di centimetro, e consentire di osservare quelli che sembravano essere i singoli nuclei all’interno delle cellule. Degli oltre 450 fossili analizzati, 14 presentavano strutture simili. In uno dei campioni, inoltre, tre delle otto strutture esaminate avevano la tipica forma allungata che si osserva dopo la replicazione cellulare.

“Siamo rimasti affascinati nell’osservare la divisione cellulare preservata dalla fossilizzazione”, ha spiegato Stefan Bengtson, paleontologo del Museo Svedese di Storia Naturale di Stoccolma. “Osservando come avviene questo processo abbiamo avuto conferma che non si potesse trattare di batteri. Tuttavia ci siamo resi conto subito che quelli studiati non erano neppure organismi animali, i cui nuclei tendono a perdere i loro contorni durante la divisione cellulare, mentre questo processo non era visibile nei fossili, le cui membrane rimanevano abbastanza nette”. Inoltre, mentre si riproducevano, le cellule non sembravano differenziarsi in tessuti specializzati.

Quando gli scienziati sono riusciti ad osservare i granelli più da vicino, hanno notato che quelle che sembravano essere cellule in stadi di sviluppo più avanzati non lo erano affatto. Erano invece una sorta di contenitori dalle spesse membrane, pieni di centinaia di migliaia di cellule più piccole. Sulla base di questa osservazione, hanno ipotizzato che le creature fossero simili agli attuali mesomicetozoi, microrganismi unicellulari che non sono né batteri né animali. Questi esseri si riproducono creando delle minuscole spore, racchiuse da un involucro che si apre al momento giusto per diffonderle nell’ambiente circostante. Quando le piccole cellule si sistemano nel giusto habitat cominciano a creare un nuovo involucro e il ciclo di replicazione ricomincia.

Questo, secondo i ricercatori inglesi e svedesi, spiegherebbe tutte le caratteristiche dei fossili. Ma l’interpretazione non convince tutto il mondo accademico. “Molti dei microrganismi considerati dai miei colleghi nascono effettivamente come una singola grande cellula che si divide al suo interno, protetta da una membrana piuttosto spessa”, ha spiegato Iñaki Ruiz-Trillo, biologo dell’Institut de Biologia Evolutiva di Barcellona, commentando gli studi. “L’idea dunque non è sbagliata. Solo che ci sono molti altri organismi che si comportano in maniera simile, compresi alcuni tipi di funghi. Per quello che ne sappiamo si potrebbe trattare dunque di altri tipi di fossili”.

Anche dall’Università di Cambridge arrivano alcune perplessità. “È prematuro scartare l’ipotesi che si tratti di organismi pluricellulari”, ha detto Nicholas Butterfield, paleobiologo dell’università inglese. “Per esempio ci sono caratteristiche che accomunano questi fossili ad alcuni tipi di alghe, come le Volvox. Queste sono ancora organismi con più cellule, ma di tipo molto meno complesso di quelli che conosciamo oggi”.

Riferimenti: Science doi: 10.1126/science.1209537 
Proceedings of the Royal Society B doi: 10.1098/rspb.2011.2064

Credits immagine: Museo Svedese di Storia Naturale di Stoccolma 

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