Così il cervello gioca a poker

Quando si gioca d’azzardo contro un computer, è inutile qualsiasi bluff: bisogna solo affidarsi alla bravura e, più spesso, alla fortuna. La considerazione è ovvia e i milioni di italiani dediti alle scommesse venerano moltissimo la dea bendata. Meno ovvio, però, è quello che accade nel nostro cervello a seconda che dall’altra parte del tavolo verde via sia un nostro simile o dei chip di silicio. Ci sono circuiti neuronali, infatti, che entrano in gioco solo quando è in ballo l’interazione con altre persone. 

A dimostrarlo, in uno studio pubblicato su Science, è un gruppo di ricerca coordinato da McKell Carter della Duke University, negli Stati Uniti. Organizzando partite a poker, i ricercatori hanno scovato un’area dalla cui attività è possibile predire le mosse di un giocatore, ma solo se compete con un avversario in carne e ossa. 

È sempre più evidente che, in ambito sociale, il funzionamento del cervello umano è molto più raffinato e flessibile di quanto si pensasse. La sua competenza sociale, cioè, è molto elevata: l’essere umano è perfettamente in grado di leggere i segnali, le strategie e le motivazioni degli altri per programmare al meglio le sue azioni, e le mosse di un avversario, che tenga in mano 5 carte o meno, influenzano il suo  modo di ragionare. La riprova arriva dallo studio dell’équipe di Carter, che ha osservato con risonanza magnetica funzionale (fMri) il cervello di 18 volontari – giocatori principianti – impegnati in una partita a poker virtuale (una versione semplificata, con una sola carta su cui scommettere) per scoprire quali aree cerebrali si attivano nel prendere una decisione quando si ha di fronte un avversario reale o virtuale

Prima di cominciare una mano, il giocatore scopriva chi era seduto dall’altra parte del tavolo: una persona in carne e ossa o un computer. Poi riceveva una carta, che poteva essere alta o bassa. Se nel primo caso la vittoria era quasi scontata, nel secondo l’unica possibilità di avere la meglio era bluffare in modo convincente. Monitorando con fMri l’attività di 55 regioni cerebrali differenti, i ricercatori hanno scoperto che solo una portava informazioni rilevanti per leggere il comportamento del giocatore, la giunzione temporo-parietale (Tpj). Dall’attività di quest’area era possibile predire un bluff, ma solo se il giocatore aveva di fronte un avversario reale. 

In un certo senso, è come se la Tpj elaborasse le informazioni biologiche (chi ho davanti?) per poi mettere in moto i suoi circuiti decisionali. “Le informazioni di natura sociale portano il nostro cervello a giocare con regole diverse rispetto a quanto accade in un contesto non sociale – commenta Scott Huettel, altro autore dello studio – e capire in che modo identifichiamo collaboratori e competitori potrebbe aiutare a comprendere meglio fenomeni sociali come la deumanizzazione o l’empatia”.

via wired.it

Credit immagine a muztiko / Flickr

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