Raggi cosmici: figli delle stelle

Non ci sono più dubbi: i raggi cosmici sono figli delle stelle, precisamente di ciò che resta delle supernovae dopo le esplosioni che mettono fine al loro ciclo evolutivo. A chiudere definitivamente il dibattito sull’origine dei raggi cosmici, lo sciame di particelle energetiche che bombarda costantemente la Terra, è uno studio (in parte italiano, grazie al contributo di scienziati dell’ Inaf, dell’ Infn e dell’ Asi Science Data Center Asdc) pubblicato su Science da un gruppo di ricerca coordinato da Stefan Funk della Stanford University, in Usa. Confermando quanto già scoperto più di un anno fa, i ricercatori hanno ottenuto nuove, conclusive prove a sostegno dell’ipotesi che vede i raggi cosmici come il prodotto dell’ onda d’urto generata in seguito all’espulsione di materiale stellare da una supernova morente.

Anche quando splende il Sole, la Terra è continuamente sotto un acquazzone. Solo che a bagnarla non è acqua ma una pioggia di particelle energetiche che provengono dallo Spazio con una velocità prossima a quella della luce. Sono i raggi cosmici, un mix di elettroni, fotoni, neutrini e nuclei di elementi naturalmente presenti nell’Universo. Dal momento che l’ idrogeno è l’elemento più abbondante e possiede un nucleo costituito da un singolo protone, quasi il 90 per cento dei raggi cosmici è formato da protoni. Ma da dove arriva questa pioggia di energia? Recentemente, l’attenzione degli astrofisici si era concentrata sui cosiddetti resti delle supernovae (Snr), cioè le scia di materiale lasciata dalle esplosioni di stelle massicce. Secondo i ricercatori, l’ onda d’urto generata da queste esplosioni accelererebbe i nuclei degli elementi e delle particelle energetiche presenti nell’Universo portando alla formazione dei raggi cosmici.

Provare questa ipotesi è sempre stato difficile perché i campi magnetici galattici deviano il cammino dei raggi cosmici nell’Universo rendendo impossibile risalire alla sorgente che li ha generati. Per aggirare l’ostacolo, i ricercatori si sono concentrati sul prodotto dell’interazione tra i raggi cosmici e la materia interstellare: i raggi gamma. Quando lo sciame di particelle energetiche incontra la materia che circonda la supernova, infatti, si formano particelle subatomiche chiamate pioni che subito decadono in raggi gamma. Quindi, rilevare tracce del decadimento dei pioni nei raggi gamma dimostrerebbe inequivocabilmente che questi ultimi derivano dai raggi cosmici. I raggi gamma, infatti, possono teoricamente essere generati da processi che non coinvolgono i raggi cosmici.

Utilizzando il Large Area Telescope montato sul Fermi Gamma-ray Space Telescope della Nasa, l’equipe di Funk ha speso quattro anni a osservare i resti di due supernove chiamati IC 433 e W44 (quest’ultima già studiata più di un anno fa). Entrambi si trovano all’interno della nostra galassia, rispettivamente a circa 5mila e 10mila anni luce dalla Terra nelle costellazioni dei Gemelli e dell’Aquila. Analizzando i raggi gamma provenienti da questi ammassi di materia, i ricercatori hanno rilevato tracce del decadimento dei pioni e ciò gli ha dato la certezza dell’ origine cosmica. “Anche se abbiamo dimostrato che i resti delle supernovae accelerano la materia generando i raggi cosmici, dobbiamo ancora capire come esattamente ciò avvenga e quali sono le energie in gioco”, ha commentato Funk.

“E’ uno dei risultati più attesi ed importanti degli ultimi venti anni per la astrofisica delle alte energie e per la fisica astroparticellare”, ha invece dichiarato Ronaldo Bellazzini dell’Infn, tra gli autori del paper: “abbiamo ora la prova diretta che la nostra galassia è popolata da una moltitudine di macchine acceleratrici in grado di portare i raggi cosmici a energie cosi elevate che neppure potremmo immaginare di raggiungere con i nostri acceleratori terrestri. Queste ‘macchine’ cosmiche sono potenti laboratori per studiare fenomeni altrimenti inaccessibili con gli strumenti che l’uomo può pensare di costruire sulla Terra”.

Via: Wired.it

Riferimenti: Science Doi: 10.1126/science.1231160; Infn

Credits immagine: Greg Stewart, SLAC National Accelerator Laboratory

 

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