Come si formano i getti dei buchi neri

Come si cattura l’immagine di un getto relativistico, un potentissimo zampillo di plasma che a volte si sprigiona dal cuore di un buco nero supermassivo? Non è certo un’impresa facile, e finora gli astronomi non hanno avuto molta fortuna: riuscire a zoomare su una delle regioni in cui questi getti hanno origine è difficile perché le galassie che ospitano queste strutture sono piutttosto lontane da noi.

Esistono però dei metodi indiretti per ottenere delle informazioni sull’attività di questo fenomeno, ad esempio tramite la misurazione della variazione di emissione di radiazione gamma nel tempo. E’ proprio questo quello che hanno fatto Jelena Aleksic e i suoi colleghi dell’Ifae (Institut de Fisica d’Altes Energies), come spiegano in uno studio (in parte italiano) pubblicato su Science Express. Grazie ai risultati ottenuti, essi hanno mostrato come l’apparente accelerazione delle particelle cariche potrebbe spiegare la formazione di questi getti a partire dai buchi neri supermassivi.

Aleksic e i suoi colleghi si sono concentrati su IC 310, una galassia attiva, al cui centro si trova un buco nero supermassivo: nel 2012 Magic, una coppia di telescopi situata a La Palma (Canarie) ha misurato un aumento significativo di emissione di raggi gamma dalla galassia, che aveva anche mostrato le più rapide variazioni di luminosità (anche sulla scala dei minuti) mai osservate in un oggetto extragalattico.

Le origini di questa variabilità rimangono incerte, ma Aleksic e il suo team hanno proposto come spiegazione per questa veloce e mutevole emissione l’accelerazione di particelle alla base dei getti che fuoriescono dai buchi neri, causata dal fatto che le dimensioni della regione di emissione sarebbero circa il 20% più piccole di del raggio gravitazionale del buco nero (questo infatti emerge dai dati ottenuti da Magic).

Questa spiegazione mette in discussione i modelli attualmente accettati per la formazione dei getti e la loro emissione, mostrando come questi potrebbero di fatto formarsi molto più vicino al buco nero di quanto inizialmente previsto.

Riferimenti: Science Express doi: 10.1126/science.1256183

Credits immagine: NASA/JPL-Caltech

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