Perché dobbiamo cambiare l’insegnamento della matematica

Non solo gli studenti italiani non sono “bravi in matematica”. Anche i ragazzi americani, come scrive sul New York Times Elizabeth Green (autrice del libro “Building a Better Teacher,” in via di pubblicazione presso W. W. Norton), hanno le loro difficoltà, nonostante i ripetuti tentativi fatti per innovare metodi e contenuti dell’insegnamento e raggiungere una competenza matematica di  buon livello diffusa su tutto il territorio.

Fin dal 2009, sotto l’amministrazione Obama, è stata proposta una Common Core State Standards Initiative che ridefinisce ancora una volta gli standard attesi per i ragazzi fino a 12 anni in lingua e matematica. I risultati a tutt’oggi, però, sono lontani da quelli sperati.

E’ facile essere d’accordo sul fatto che  il modo tradizionale di insegnare la matematica non funziona, né in America né altrove, ma cambiare è difficile. Una delle ragioni dell’insuccesso del progetto americano risiede probabilmente nel fatto che le innovazioni metodologiche e didattiche proposte sono arrivate nella scuola senza che sia stato previsto un valido sistema di formazione per aiutare i docenti ad apprendere come insegnarle. Manca il supporto di adeguati libri di testo, a cui sono stati apportati solo cambiamenti “cosmetici” sebbene le copertine si fregino pomposamente del marchio Common Core, manca il supporto dei dirigenti scolastici — che di matematica non ne sanno di più dei loro insegnanti — impreparati a fornire ai loro docenti un sostegno adeguato, e manca il supporto delle famiglie che devono imparare ad avere fiducia in nuove modalità di insegnamento.

Anche negli Usa ricerche, studi e proposte di insegnanti e di associazioni di insegnanti suggeriscono che il cambiamento debba passare attraverso un profondo ripensamento non tanto sugli elenchi dei contenuti da insegnare, quanto sul significato matematico degli stessi contenuti. Questo comporta per la classe docente una sorta di rieducazione all’insegnamento, una formazione disciplinare approfondita (mentre attualmente è scarsa e sporadica), un modo di proporre gli argomenti capace di stimolare in classe l’attenzione e l’interesse dei ragazzi.

In Giappone, e con modalità diverse anche in Cina, la formazione passa attraverso la discussione e la condivisione tra gli stessi insegnanti dei loro metodi didattici. Si studiano insieme, cioè, le lezioni da svolgere e i modi di presentare gli argomenti. Per esempio, un insegnante pianifica una lezione e poi la tiene davanti ad allievi, ad altri insegnanti e ad almeno un osservatore esperto. Dopo la lezione, l’osservatore discute con l’insegnante su ciò che si è verificato in classe. Ciascuna lezione “aperta” propone un’ipotesi, una nuova idea su come aiutare i bambini ad apprendere e la discussione che segue dà la possibilità di determinare se la proposta ha funzionato.

Lo “studio delle lezioni”, inoltre, aiuta chi redige i libri di testo a mettere a fuoco gli esercizi più produttivi, i temi più stimolanti, i modi di affrontare con i ragazzi le loro comuni difficoltà.

Nella pratica quotidiana  gli insegnanti imparano ad agganciarsi a quello che i bambini già capiscono per poi costruire nuovi percorsi a partire da questo. Lo schema didattico si potrebbe definire del tipo “Tu, Voi insieme, Noi.” Per esempio, si cominciano le lezioni assegnando ai ragazzi un unico “problema del giorno” pensato affinché gli studenti si sforzino di arrivare alla soluzione: prima ciascuno per proprio conto (Tu), poi a gruppi (Voi insieme) e alla fine come classe (Noi). Il risultato è un processo che sostituisce l’”azzeccare le risposte” con il “dare un senso” alla situazione. Spingendo gli alunni a discutere di matematica attraverso il problema posto, li si invita a discutere e a condividere opinioni imparando ad argomentarle e  si dà a ciascuno l’opportunità di riconoscere da solo il valore delle proprie idee.

Se questo accade negli Stati Uniti, analoghe difficoltà si trovano anche in Italia a proposito dell’insegnamento-apprendimento, in particolare della lingua e della matematica. Nel 2012 le Indicazioni Nazionali per il curricolo hanno tentato, ancora una volta, di proporre una metodologia di insegnamento che desse senso alle esperienze dei bambini, che  curasse il loro “saper stare al mondo”, che superasse la frammentazione dei saperi disciplinari. Per esempio, le Indicazioni  propongono un insegnamento della matematica centrato sulla risoluzione di problemi legati alla vita e all’esperienza dei ragazzi, per renderli capaci di operare sulla realtà e, a partire dai loro stessi successi, sviluppare un atteggiamento positivo nei confronti della disciplina.

Anche in Italia bisogna preparare gli insegnanti ad attuare i buoni propositi delle Indicazioni. Anche in questo caso l’innovazione potrebbe svilupparsi secondo lo schema didattico del  “Tu, Voi insieme, Noi”, o attraverso metodologie simili; si potrebbero sfruttare e diffondere i risultati ottenuti da insegnanti e da gruppi di insegnanti che hanno maturato una ricca esperienza su come fare bene scuola, e che hanno imparato a rinforzare nei ragazzi “atteggiamenti positivi” per la matematica.

Fare che simili cambiamenti divengano patrimonio comune della scuola, però, è ancora un sogno difficilmente realizzabile. Come negli Stati Uniti, è difficile promuovere in Italia un sistema di formazione capillare che insegni agli insegnanti le tecniche per realizzare una nuova didattica. Le Dirigenze non sempre sono di aiuto e i tentativi coraggiosi di alcuni docenti si esauriscono rapidamente per carenza del substrato culturale su cui fondare i processi innovativi: spesso, alla forte spinta iniziale segue un periodo di confusione e, infine, il ritorno alle pratiche convenzionali. La comunicazione all’interno di una stessa scuola, infatti, non ha il tempo per svilupparsi e modalità sperimentate da tempo, per esempio quella  di fare lezione in presenza di un “amico critico” che aiuti a correggere gli errori didattici, sono ormai un ricordo del passato. La chiusura (o autoreferenzialità) del sistema scolastico fa sì che anche le esperienze positive di ricerca e sperimentazione non trovino canali di divulgazione appropriata mentre i libri di testo sono dei puri eserciziari da cui il significato matematico delle proposte è scomparso irrimediabilmente.

Per cambiare qualcosa della scuola sarebbe necessario che i problemi uscissero dalla scuola e trovassero un sostegno nella comunità di cui la scuola fa parte. Per esempio, cosa pensano i genitori della possibilità di una radicale innovazione nell’insegnamento? Di solito, anche se la fiducia nell’insegnante o nei  ripetitivi esercizi di calcolo non è elevatissima, la paura di cambiamenti che potrebbero allontanare i propri figli dai saperi tradizionali è forte (anche se i risultati delle valutazioni nazionali e internazionali non la giustificano minimamente). Eppure, negli esperimenti di condizionamento biologico anche i topi che ricevono sistematicamente una punizione lungo un certo percorso imparano rapidamente a trovarne di alternativi. Quante punizioni ancora bisogna ricevere prima di decidersi a cambiare le modalità di insegnamento? Non bastano le petizioni di principio; è necessario un impegno istituzionale che sostenga gli insegnanti nella  sperimentazione e nella attuazione di metodologie e criteri innovativi. Del resto, la matematica non è solo la matematica degli esercizi: collegamenti e relazioni tra saperi disciplinari sono fondamentali. La chiusura e la frammentazione si superano anche affrontando argomenti di attualità, facendo parlare e scrivere  i ragazzi di matematica, curando in loro le argomentazioni e l’espressione linguistica, ragionando sulle necessarie schematizzazioni della realtà per vederla finalmente nel suo aspetto matematizzabile.

Maria Arcà è consulente esperto nella stesura delle Indicazioni Nazionali (2012), ricercatore CNR responsabile di  progetti di ricerca sulla educazione scientifica di base.

Credits immagine: via Pixabay

1 commento

  1. Avendo fatto gli studi classici , ma soprattutto avendo avuto insegnanti di matematica che erano dei veri somari mi sono trovato all’Università , avendo scelto di sviluppare una tesi di
    economia sperimentale con il grosso problema di cominciare
    a “masticare” di matematica . Ebbi la fortuna di incontrare un giovane assistente , alla Facoltà di Matematica e Fisica ,
    diventato in seguito un rinomato Professore che mi indusse a ripartire da zero , particolarmente studiando la teoria degli
    insiemi . Fortuna che parlavo bene il francese , visto che i testi
    erano pubblicati dalla Università della Sorbona . Mi fermo qui !
    Massimo Schiavi . Max938.

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