Come conta il cervello?

Giorgio Vallortigara, Nicla Panciera

Cervelli che contano

Adelphi, 2014

Pag. 191, Euro 25,00

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La matematica formale e simbolica si è sviluppata negli ultimi millenni della storia umana, e popolazioni diverse hanno trovato simboli verbali e grafici differenti per indicare la quantità di gruppi di oggetti. Ma al di là della simbolizzazione formale, è possibile capire a che età e in quali condizioni si sviluppa il “senso del numero” (Ans), cioè la capacità di valutare quantità discrete differenti? E questa capacità dipende da particolari strutture cerebrali attive solo nell’uomo o è presente anche in organismi non umani? Si sviluppa naturalmente o solo in seguito ad anni di addestramento?

A queste e ad altre domande tentano di rispondere i numerosi esperimenti realizzati da studiosi di diverse discipline in centri di ricerca nazionali e internazionali. Psicofisica, neuroscienze, psicologia e psicologia cognitiva, etologia, antropologia, ciascuna con le proprie metodologie di ricerca e i propri punti di vista, hanno generato i risultati che gli autori di questo saggio raccolgono e coordinano in maniera suggestiva. La progettazione dei vari esperimenti per individuare in vari animali – specie umana compresa – il senso del numero è tutt’altro che semplice. Infatti, in ogni esperimento devono essere valutate e controllate diverse variabili fisiche continue che interferiscono con la percezione della numerosità di un insieme. Nei test che comunque propongono di valutare rapidamente la numerosità di pochi elementi bisogna attentamente controllare come l’estensione totale, la forma e il perimetro delle figure, la loro distribuzione spaziale e la loro densità, e soprattutto i loro rapporti, possano influenzare i risultati.

I dati ricavati dalla sperimentazione con animali addestrati per periodi più o meno lunghi sono stati confrontati con dati analoghi rilevati in popolazioni di indios amazzonici dotate di un vocabolario numerico molto ridotto e con poca o nessuna istruzione scolastica; inoltre sono stati condotti esperimenti con bambini di pochi mesi, tutti con l’intento di verificare se il “senso del numero” abbia origini evolutivamente antiche, se sia un prodotto culturale e se sia diffuso anche nel regno animale.

Sembra proprio che la matematica formale, sviluppata dalla cultura della nostra specie attraverso l’uso di simboli grafici e verbali (i numeri), sia profondamente radicata nella matematica non verbale e approssimata che condividiamo con gli altri animali. Questa matematica ha alla base una percezione della quantità (magnitudo mentali) che è funzione del valore cardinale di un insieme di elementi. Queste quantità sono comunque organizzate in uno spazio, e solo in tempi storici la nostra cultura ha dato a esse nomi e simboli numerici.

Le conclusioni di tanto lavoro sono ancora provvisorie ma i dati sperimentali, tra cui quelli ottenuti anche con la Pet (tomografia a emissione di positroni) in scimmie, indicano che la corteccia prefrontale e il lobo parietale del cervello sono implicati nelle intuizioni di spazio numero e tempo. Il coordinamento tra le varie zone del lobo parietale determina un sistema unitario di valutazione della quantità nell’essere umano e negli animali, mentre altri studi confermano che negli umani il solco intraparietale sia il nodo chiave per la rappresentazione della quantità numerica.

Restano al lettore alcune perplessità, che nascono dalle possibilità di applicare o meno risultati ottenuti in laboratorio a situazioni di vita. Per cominciare, proprio per valorizzare il ruolo simbolico dei numeri come modo di esprimere e nominare delle quantità, sarebbe forse più appropriato parlare di “senso della numerosità” (e non del numero), dal momento che l’Ans sembra collegato ad aspetti percettivi e non ancora formalizzati, relativi alle magnitudo mentali. La matematica nasce da certe capacità innate della specie umana che hanno sicuramente basi biologiche, ma è soprattutto un costrutto formale che articola il pensiero astratto a partire dalla percezione. D’altra parte, quanto la capacità di usare simboli numerici condiziona la possibilità di raggruppare elementi (vedi per esempio i savants) e organizzare mentalmente la numerosità di un insieme?

Diversi test effettuati su bambini con diverso livello di istruzione dimostrano che la relazione tra “senso del numero” e capacità matematiche è indipendente dalle capacità intellettive e, se effettuati su bambini in età prescolare, permetterebbero di individuarne le future difficoltà matematiche. Gli autori ritengono infatti che i vari risultati “aprono la strada a nuove pratiche per l’intervento pedagogico e clinico precoce”, in quanto sarebbe possibile individuare per tempo i soggetti più deboli; poi, attraverso procedure di addestramento preventivo, se ne potrebbero migliorare le prestazioni

Non è chiaro se questo screening precoce possa portare in futuro ad una sorta di “medicalizzazione” delle difficoltà matematiche, o a terapie contro la sempre più frequente discalculia. Non è neppure facile pensare che localizzare nel cervello di un bambino le aree coinvolte nella sua difficoltà di percepire la numerosità produca in automatico delle strategie di intervento efficaci. Sarebbe interessante sapere se le evidenze ottenute da differenti ricercatori in situazioni sperimentali siano o no condivise dalla gran quantità di insegnanti che per mestiere cercano di far capire la matematica formale ai loro allievi.

Nonostante tutte le proposte di innovazione didattica, i libri di testo continuano a proporre esercizi matematici dalla cui comprensione i soggetti più deboli sono automaticamente esclusi, con ripercussioni negative sull’intero percorso scolastico. Ciò che passa negli allievi sono solo procedure a cui vengono addestrati come gli animali da esperimento e queste procedure, assai meno accuratamente programmate dei test descritti dagli autori, non hanno dato fino a ora risultati particolarmente brillanti. Non si sa se gli strumenti di indagine e di intervento descritti da Vallortigara e Panciera potranno dare risultati migliori, ma forse, per cominciare, si potrebbe rendere l‘educazione matematica a scuola meno lontana dall’esperienza e dai modi di ragionare dei bambini.

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