Così gli ogm diventano più sicuri

“Minacce alla biodiversitàinquinamento genetico,contaminazione delle colture tradizionali”. Quando si tocca lo spinoso argomento degli ogm questi sono solo alcuni dei timori paventati dai convinti sostenitori delle campagne contro gli organismi geneticamente modificati. La paura che le coltivazioni si diffondano laddove non desiderato e che contamino così anche gli ambienti naturali, è infatti tra i principali argomenti a sostegno del no alle coltivazioni di ogm (qui, qualcuno invece in difesa degli ogm). Su Nature di questa settimana, però, vengono ora presentati due studi che forse – ma solo forse – potrebbero contribuire a placare almeno queste preoccupazioni.

I team di ricerca di Farren Isaacs della Yale University e di George Church della Harvard Medical School di Boston hanno infatti messo a punto nuove strategie che promettono di rendere ancora più sicure le coltivazioni ogm (per le quali, come appena stabilito dal Parlamento europeo, deciderà da sé, stabilendo se accettare o meno la coltivazione di questi prodotti sul proprio territorio). Le strategie presentate su Nature mirano a ridurre il rischio diffusione e contaminazione sviluppando ogm dipendenti da nutrienti sintetici.

Sistemi per il controllo della crescita di ogm sono già stati in realtà sviluppati – basti pensare all’induzione della dipendenza da alcuni composti naturali o alla letalità indotta, kill switch – ma si tratta di meccanismi che possono essere aggirati, per esempio attraverso il fenomeno del cross-feeding o dall’insorgenza di mutazioni genetiche. Queste problematiche, avvertono i ricercatori, potrebbero però essere superate rendendo gli ogm capaci di sopravvivere solo in presenza di amminoacidi sintetici.

Il team di Isaacs ha infatti sviluppato degli organismi (derivati daEscherichia coli) in cui diversi geni essenziali alla sopravvivenza dipendono da amminoacidi sintetici (di fatto elaborando una strategia di auxotrofia sintetica, ovvero dipendenza da un nutriente sintetico). Analogo meccanismo di contenimento biologico (sempre su organismi derivata da E.coli) è stato applicato dal gruppo di Church, che ha ridisegnato la struttura (e quindi la funzione) di alcuni enzimi essenziali alla sopravvivenza in modo da renderli dipendenti dall’incorporamento di amminoacidi non standard.

Dai test effettuati, raccontano i ricercatori, gli organismi ricreati non erano capaci di usare altri nutrienti quando quelli da cui erano stati resi dipendenti non erano disponibili e, viste le modifiche effettuate in siti multipli attraverso il genoma, gli organismi modificati erano resistenti alle mutazioni che ne avrebbero favorito la sopravvivenza in natura.

Via: Wired.it

Credits immagine: lorZ/Flickr CC

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