Quando l’utero era vagabondo

Il pessario di Parè
Disegno del pessario per tenere aperto il collo della matrice a mezzo di una molla.

La medicina antica aveva la peculiarità di far fede a teorie non verificate sperimentalmente che spesso venivano tramandate per molti secoli. Un esempio di ciò è dato dalle convinzioni che si avevano un tempo sulle cause dei disturbi dell’isteria, ritenute valide dai tempi di Ippocrate fino al Seicento nonostante gli studi autoptici di Galeno (ca. 130-200), il quale dimostrò l’impossibilità della migrazione uterina.

Difatti,  “è solo da circa due secoli che le procedure mediche si fondano su conoscenze e metodologie che le rendono sicure ed efficaci”, come ricorda il Dizionario di Medicina (Treccani 2010). Per secoli e secoli, quando una teoria medica veniva soppiantata da un’altra ciò non accadeva perché la nuova fosse più verificata della precedente ma solo perché riceveva il consenso della comunità. Ciò che ci stupisce oggi è proprio la vaghezza delle ricerche, la mancanza di verifiche, la povertà di plausibilità messe in campo in questo processo.  Esemplare in tal senso è il casus dell’isteria, giacché, come notava lo storico moderno Jacques Jouanna, «è probabilmente a proposito dell’apparato genitale femminile che i medici hanno dispiegato il massimo dell’immaginazione».

Il termine isteria, che trae origine dal greco ùstera, utero, nasce infatti da tutta una discussione dei medici antichi su questo organo femminile, luogo di incubazione della vita ma anche, secondo loro, essere dotato di proprietà misteriose e di un’autonoma attitudine a capricciosi vagabondaggi. «La matrice, cui veniva attribuita a ragione la causa di certe malattie femminili, si dà a strani viaggi attraverso il corpo» », osserva ancora Jouanna. «Che sia soggetta a deviazioni o a diverse varietà di prolasso corrisponde a verità. Ma che possa cadere fino alle gambe provocando convulsioni all’alluce, o che si spinga fino al fegato, all’anca, ai lombi, alle costole, o che risalga fino al cuore o persino alla testa, questo stupisce nel quadro di un’arte medica liberatasi dalla magia. In certi casi, la matrice sembra dotata di vita propria. La vediamo, disidratata, correre risalendo verso l’umido e gettarsi sul fegato che rigurgita di umore, e provocando in tal modo un improvviso soffocamento della donna. Oppure, troppo calda, “lanciarsi” verso il fresco esterno, col che si spiegherebbe un certo tipo di prolasso» [1, p. 49].

Alcune di queste per noi stravaganti idee circolavano già ai tempi di Ippocrate: «Nelle opere attribuite al vegliardo di Cos», riporta nel suo trattato sull’isteria Jean-Louis Brachet (1789-1858), «si possono trovare delle prove numerose sul fatto che egli abbia conosciuto bene questa malattia. […] Discepolo dei grandi filosofi che l’avevano preceduto, egli adottò le idee di Pitagora, di Platone e di Empedocle, e condivise i loro errori sulla matrice, che essi consideravano come un animale vivente in un altro animale” [3, pp. 9-12 ]. Analoghi convincimenti si ritrovano espressi chiaramente alcuni secoli dopo da Areteo, medico greco della fine del II secolo d.C., nel capitolo Sulla soffocazione della matrice: «Alla metà del bacino della donna si trova la matrice, organo sessuale che si direbbe pressoché dotato di una vita propria […] L’applicazione di cattivi odori al naso e di profumi gradevoli alla matrice apporta sollievo». [2, p.66-67].

I “miglioramenti tecnici” di Ambroise Parè
Diversi secoli dopo, in pieno Cinquecento, Ambroise Parè (1517-1590), chirurgo militare e medico dei re di Francia, considerato il fondatore della chirurgia moderna, si ricordò delle teorie di Areteo secondo cui bisognava sfruttare la repulsione della matrice per i cattivi odori e la sua propensione per le sostanze odorose, e apportò dei “miglioramenti tecnici” alla sua applicazione. La sua propensione a credere alla teoria del vagabondaggio, e quindi ad agire di conseguenza, emerge nelle sue prescrizioni per la cura dell’isteria e, in particolare in una opera [4] in cui egli descrive nel dettaglio la terapia per ricondurre l’organo nella sua sede: «La donna va fatta immediatamente coricare sul dorso in maniera che, avendo il torace alquanto estenuato, possa respirare più liberamente, grazie anche all’averle allentato i lacci sul petto. La si chiami ad alta voce con il suo nome, gridandole nelle orecchie, mentre le si tira la peluria delle tempie e del dietro del collo; le si leghino le braccia e le gambe con legacci dolorosi e, nel frattempo, la si strofini rudemente, procurandole dolore, con un panno ruvido e grezzo, intriso di sale e aceto. Sarà utile applicarle un pessario fatto in questa maniera: Prendete un’oncia [30,59 grammi] di succo mercuriale e una di artemisia, in cui dissolvete 3 gros [un gros equivale a 3,82 grammi] di polvere di erba benedetta, un gros di polvere di legno di campeggio, uno di galanga minore, o cose simili [secondo la farmacopea dell’epoca sono tutte sostanze dall’azione essenzialmente tonica e astringente, N.d.A]».

A seguire, «le si ungerà la pianta dei piedi con olio di alloro, o qualcosa di simile, e le si applicherà una grande ventosa sullo stomaco, attivata con grande fiamma. Si applicheranno altre ventose anche alle parti piatte delle cosce, cioè nelle parti interne, vicino all’inguine, al fine di attirare la matrice al suo posto e fare revulsione delle materie che causano questo male. Se fosse necessario, si introdurrà profumo nella matrice, ottenuto con cose molto odorose. Però prima bisogna tenere aperto il collo della matrice, affinché il profumo possa meglio entrare; ciò si farà con uno strumento in foggia di pessario, bucherellato in molte parti e alla bocca del quale una piccola molla servirà a tenerlo aperto per quel tanto che si vorrà, mentre due legacci allacciati alla cintura della donna lo terranno fermo. Il pessario è fatto come nel disegno riportato e può essere in oro, in argento o in ferro stagnato» [4, pp. 240-242].

Una volta applicato il pessario nel collo della matrice, va avanti il chirurgo, «la donna verrà fatta sedere su una sedia bucata e ben coperta tutto attorno, per paura che i fumi delle cose aromatiche, che hanno la virtù di attirare la matrice in basso, non montino in alto e che la donna senta questi odori con il naso e la bocca; ed infatti, tutto al contrario, le si faranno annusare cose fetide e molto puzzolenti, al fine di rinviare la matrice in basso, cosa di cui parleremo appresso. I profumi odorosi liquidi verranno fatti bollire in malvasia o altro buon vino, in cui sia stata aggiunta un poco di acquavite, messo in un pentolino coperto da un imbuto, con sotto del fuoco per riscaldarlo; avverrà così che il vapore che si eleverà potrà entrare nel collo della matrice mediante lo strumento fatto in maniera di pessario» [4, p. 244].

Tra le sostanze odorose venivano elencate la cannella, il legno di aloè, il calamus aromatus, o canna odorifera, una radice provenente dalle Indie, il benzoino, un balsamo dall’odore soave proveniente da Giava, Sumatra e Siam, il timo, la lavanda, la calaminta, l’artemisia, il pulegio, il muschio e «altre simili che, per le loro grandi virtù aromatiche, attirino la matrice nel suo luogo e consumino le ventosità putredinose» [4, p. 246]. Invece tra gli odori sgradevoli Parè indica «galbano, sagapeno, ammoniaca, assafetida, bitume, oleum gagates [una varietà di carbone bituminoso, dall’aspetto lucente, e sarebbe il gagates di Dioscoride e Plinio, nome derivato dal fiume Gagas, in Siria, vicino alla cui foce veniva trovato, 13, 3° vol, p. 444, voce jet, N.d.A.], candele di sego da poco spente», raccomandando anche di bruciare «piume di pernice, beccaccia o altri uccelli, peli umani, di caprone, di vacca, drappi,  feltro, vecchie ciabatte, unghie, corna di animali, polvere di cannone, cimici, zolfo, e altre cose simili, al fine di costringere la matrice ad andare in basso con l’ausilio di questo puzzolente vapore.» [4, pp. 246-247].
Il medico del re di Francia attinge alla tradizione anche per quanto riguarda lo stretto collegamento tra isteria e sessualità suggerito in conclusione: «Ma se la donna è sposata, che abbia la compagnia del marito, poiché tale cosa sorpassa ogni altro rimedio» [4, p. 249]. Già Ippocrate, infatti, proclamava: «Nubat illa et morbus effugiet» [3, p. 411], che si potrebbe tradurre:«E fatela sposare! Vedrete come guarirà presto!». E dopo di lui molti altri; ed alcuni suggerivano, per espellere il multo crasso viscosuque semine, in mancanza di attenzioni maritali, le manipolazioni di un’ostetrica o di un barbitonsore impudico. [3, p. 411].

Tali teorie furono smantellate da Thomas Willis (1621-1675), che incentrò la sua attenzione sul  sistema nervoso scagionando «con convinzione l’utero e gli umori dall’essere la causa dell’isteria che, incidentalmente, egli accomunò all’ipocondria negli uomini» [5, p. 187]. Willis sostenne che tali patologie sono in realtà il risultato di convulsioni causate dall’esplosione di corpuscoli all’interno dei muscoli dovute a particelle alcoliche altamente volatili. Nelle sue opere, egli attirandosi le antipatie dei suoi contemporanei che volevano attribuire la responsabilità di tali patologie al sangue e al cuore, sottolinea in maniera inequivocabile la sola responsabilità del cervello e del sistema nervoso, tesi poi che ebbe notevole fortuna negli studi degli autori successivi. (cfr. 6-7).  Ma qui comincia un’altra storia…

Bibliografia

Con (BNF) sono indicati i testi consultabili nel sito su www.gallica.bnf.fr/, sottosito della Biblioteca Nazionale di Francia www.bnf.fr .

[1] Jouanna Jacques, La nascita dell’arte medica occidentale, in Storia del pensiero medico occidentale. Vol 1. Antichità e Medioevo, a cura di. Grmek Mirko D, Editori Laterza, Roma-Bari 1993.
[2] Aretée, Traité des signes, des cause set de la cure des maladies aiugues et croniques. Avec supplement et des notes pa M. L. Renaud; Paris, Chez ed. Lagny, 1834 (BNF).
[3] Brachet Jean-Louis, Traité de l’hystérie, Paris, J. B. Baillière, Germer ; Lyon : C. Savy, jeune, 1847 (BNF).
[4] Paré Ambroise,  Deux livres de chirurgie, de la génération de l’homme, & manière d’extraire les enfans hors du ventre de la mère, ensemble ce qu’il faut faire pour la faire mieux, & plus tost accoucher, avec la cure de plusieurs maladies qui luy peuvent survenir; Paris : chez André Wechel, 1573. (BNF)  cit. Cap. XLVII, Cura della precipitazione della matrice.
[5] Hunter Richard, Macalpine Ida, Three hundred years of Psichiatry 1535-1860. A History presented in selected english texts, Carlisle Publishing, Inc. Hartsdale, New York 1962.
[6] Biographie Mèdicale Par Ordre Chronologique, Tome Premier (p. 462-463) (BNF).
[7] Michaud, Biographie universelle ancienne et moderne : histoire par ordre alphabétique de la vie publique et privée de tous les hommes (p.647) (BNF).

Disegno del pessario per tenere aperto il collo della matrice a mezzo di una molla, da  [4] Ambroise Paré, 1573. Credit: Wellcome Library, London

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