7 nuove e letali mini rane

Vi ricordate l’espressione “trovare l’ago in un pagliaio?”. Nel nostro caso è perfetta per descrivere l’impresa del biologo Marcio Pie, della Università del Paranà, che esplorando in lungo e in largo la foresta pluviale nel sud del Brasile per cinque lunghi anni ha scoperto l’esistenza di sette nuove specie di minuscole rane dai colori vivacissimi, e le ha descritte in un recente studio pubblicato sulla rivista PeerJ.

Le nuove specie appartengono al genere Branchycephalus, di cui fanno parte alcuni dei più piccoli vertebrati terrestri. In età adulta raggiungono 1 cm di lunghezza, e presentano per questo alcune adattamenti morfologici dovuti alla taglia estremamente ridotta, come per esempio la variazione del numero di dita. Oltre alla peculiarità di essere in formato mini, le rane presentano delle colorazioni molto accese e vivaci, usate forse, ipotizzano gli scopritori, come difesa e avvertimento per i predatori. La loro pelle infatti è ricca di tetrodossina, una potentissima e letale neurotossina.

Fondamentalmente queste nuove specie possono essere distinte tra loro in base alla colorazione e al grado di rugosità della pelle nelle diversi parti del corpo. La prima specie di Brachycephalus è stata descritta nel 1842 dal celebre naturalista tedesco Johann Baptist von Spix, ma la maggior parte delle specie di questo genere sono state scoperte solo nel corso dell’ultimo decennio, soprattutto a causa della loro natura fortemente endemica e della difficoltà nel raggiungere i siti montani remoti in cui abitano.

Gli elevati livelli di endemismo sono la principale causa del loro adattamento ad un particolare tipo di habitat, quello delle umidissime foreste nebulose, che impedisce loro di spostarsi attraversando le vallate, e promuove così l’isolamento e la formazione di numerose nuove specie (speciazione).

Una delle principali preoccupazioni dei naturalisti riguardo alle sette nuove specie è la vulnerabilità che nasce proprio da questa estrema specializzazione ad un determinato ecosistema. Gli stessi fattori che hanno portato al loro endemismo potrebbero diventare un giorno la causa della loro estinzione: le foreste pluviali sono molto sensibili ai cambiamenti climatici, e la conservazione di queste specie potrebbe coinvolgere non solo la protezione dei loro habitat, ma anche la richiesta di uno sforzo maggiore nella gestione diretta, come ad esempio l’allevamento in cattività.

Sta di fatto che quest’ultima scoperta ha fornito la più grande aggiunta mai avvenuta al numero di specie descritte nel genere Brachycephalus. Luiz Ribeiro, ricercatore associato presso la Mater Natura Institute for Environmental Studies, ha dichiarato di essere ottimista riguardo le prospettive di studi futuri. “Questo è solo l’inizio, soprattutto considerando il fatto che siamo già in procinto di descrivere queste nuove specie in maniera formale”.

Riferimenti: Peerj

Credits immagine: Luiz Fernando Ribeiro, CC BY SA

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