Il nuovo anello gigante di Saturno

    Una vastissima distesa di materiali polverosi che circondano Saturno, illuminati da una debole luce nebulare: è così che apparirebbe ai nostri occhi, se fossero sensibili alla radiazione infrarossa, il gigantesco anello Febe, il più esterno che circonda Saturno, scoperto solo nel 2009. I ricercatori della University of Maryland si sono occupati, in uno studio pubblicato su Nature, di studiare la composizione dell’anello, e hanno scoperto che esso è composto perlopiù da piccolissimi corpuscoli di polvere che presentano una distribuzione di dimensioni assai inusuale per il Sistema Solare.

    Grazie a nuove osservazioni dell’anello, effettuate dal telescopio spaziale WISE della Nasa, riattivato nel 2013, gli scienziati sono stati infatti di ottenere una immagine dettagliata dell’intero disco e hanno potuto analizzarne struttura e composizione, oltre che fare alcune ipotesi sulla sua origine.

    La più probabile di queste è che le particelle che compongono l’anello sarebbero state espulse dalla luna Febe, un satellite irregolare di Saturno (presenta un’orbita retrograda, assai inclinata e molto lontana dal pianeta) con un diametro di circa 200 chilometri.

    Douglas Hamilton e il suo team hanno utilizzato le nuove osservazioni provenienti dal telescopio Wise, che opera nelle lunghezze d’onda infrarosse. In questo modo, i ricercatori sono stati in grado di determinare l’estensione del raggio dell’anello (oltre 500 volte quello di Saturno stesso e almeno 10 volte quello dell’anello E, considerato fino ad ora il più esteso).

    Gli scienziati hanno anche sottolineato come l’anello sia composto perlopiù da particelle piccole, mentre rocce più grandi, ossia di almeno 10 cm di lunghezza, ne compongono solo una frazione minima, circa il 10%.

    L’inusuale distribuzione delle particelle, hanno concluso i ricercatori, potrebbe essere conseguenza di processi di formazione dei corpuscoli che non sono ancora stati presi in considerazione, e che verranno esaminati in studi futuri.

    Riferimenti: Nature doi: 10.1038/nature14476

    Credits immagine: NASA/JPL/Space Science Institute

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