I pericoli ecologici dell’energia idroelettrica

Il Brasile ha scelto: è l’idroelettrico il settore cui puntare per la produzione verde di energia, seguito dalle biomasse (come la bagasse, residuo fibroso dalla coltivazione abbondante della canna da zucchero), almeno secondo gli ultimi dati disponibili dell’International Energy Agency – IEA. Ma di 48 dighe in progettazione, in costruzione o esistenti, 30 sono nella foresta pluviale. In generale, nella sola America del Sud, 2215 nuove centrali idroelettriche saranno inaugurate in pochi anni. Numeri che rendono estremamente attuale il dibattito che negli ultimi anni vede fronteggiarsi, da un lato, le esigenze di paesi in cerca di energia a basso impatto di CO2 (che dovrebbero inoltre aiutarli ad uscire dalla povertà), e dall’altro le ragioni degli esperti, attenti alle ricadute ecosistemiche, e degli attivisti per i diritti umani, preoccupati per la possibile influenza sulle popolazioni che abitano le aree coinvolte. Per venire a capo di un filo dell’intricata matassa, Maira Benchimol e Carlos A. Peres, ricercatori del Laboratorio de Ecologia Aplìcada à Conservãço dell’Università di Estedual de Santa Cruz a Bahia, in Brasile e dell’Univeristà dell’East Anglia, si sono chiesti: quali effetti hanno le costruzioni delle dighe sulla biodiversità?

Il loro studio, pubblicato su Journal of ecology e su Plos One, è la prima indagine a lungo termine (26 anni) sugli effetti ecologici verificatisi sulla fauna pluviale a seguito della costruzione della diga idroelettrica di Balbina sul fiume Uatumã nella foresta Amazzonica. La diga, operativa dal 1989 e già all’epoca oggetto di molte discussioni, provvede al fabbisogno energetico della città di Manaus, con una capacità di 250MW. Un’energia prodotta inondando 312.900 ettari di foresta e producendo contemporaneamente a monte 3.546 isole, dette isole-ponte, che si sono rivelate un indiretto esperimento sulla frammentazione della biodivesità.

I ricercatori hanno condotto indagini sui vertebrati terresti che sono componenti cruciali della foresta tropicale per il loro ruolo ecologico di consumatori, predatori, frugivori, dispersori dei semi e modificatori strutturali degli habitat. Una selezione di trentacinque specie tra rettili, uccelli, testuggini che occupavano il bacino prima della costruzione della diga, sono state osservate negli anni in trentasette isole-ponte. Si è tenuto conto della ricchezza e del tasso di riproduzione delle medesime specie nella foresta.

Dallo studio emerge un modello statistico che consente di inferire per il prossimo futuro un tasso di estinzione del 60% tra le specie di vertebrati studiate nel 95% delle isole prodotte artificialmente dalla diga di Balbinia. Solo le isole che hanno un’estensione maggiore di 475 ettari sembrano mantenere una comunità di vertebrati superiore o uguale all’80%, ma un numero di isole davvero esiguo raggiunge una tale estensione (0.7%).

Un’erosione così significativa della biodiversità non può che interessare anche i progetti per la costruzione di dighe in altre zone del Pianeta. Solo di qualche giorno fa ad esempio la notizia del completamento della seconda diga più grande di Etiopia, chiamata Gibel Gibe III, un progetto fortemente voluto negli scorsi anni dall’allora primo ministro Meles Zenawi, scomparso nel 2012, malgrado la minaccia che rappresenterebbe per l’ecosistema della sottostante valle dell’Omo e sulla vita dei suoi 500.000 abitanti, le popolazioni Mursi e Byatongina.

Un progetto realizzato inoltre sulla base di un report che il paleoantropologo Richard Leakey denunciava nel 2009 alla BBC sostenendo la presenza di forti lacune scientifiche. “I dati qualitativi e quantitativi inclusi in tutti i principali settori del documento erano stati chiaramente scelti per rispecchiare l’obbiettivo, gia deciso in precedenza, di validare il completamento della diga di Gibe III”.

Un altro caso critico è quello della “Grande diga del rinascimento etiope” (GERD– Grand Ethiopic Reinassance Dam), la più grande diga africana a sbarramento del Nilo Blu costata diversi incontri diplomatici con Sudan e Egitto e stime di circa 4,8 miliardi di dollari, che viene portata avanti tra aspri dibattiti.

Pensate come strategia verde a fronte della crescente domanda energetica da parte da parte dei paesi emergenti, le dighe idroelettriche stanno quindi emergendo invece come un capitolo ancopra tutto da discutere nelle complesse dinamiche socio-bio-economiche dei nostri tempi.

Riferimenti: Plos One DOI: 10.1371/journal.pone.0129818

Credits immagine: Sócrates Arantes/Eletronorte via Wikipedia

Questo articolo è stato prodotto in collaborazione con il Master in Giornalismo e comunicazione istituzionale della scienza dell’Università di Ferrara

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