Tutte le piante che hanno invaso l’America

Vengono definite esotiche perché arrivano da paesi lontani. Sono le specie vegetali introdotte in seguito ad attività umana in un’area geografica che non avrebbero mai potuto raggiungere autonomamente. E quelle che gli Europei hanno portato in Nord America sembrerebbero essere molte. Lo sostengono gli autori di uno studio pubblicato sulle pagine di Ecology, secondo i quali, nella diffusione e nell’invasione delle diverse specie di piante, l’influenza dell’uomo e i fattori socio-economici avrebbero un ruolo maggiore delle caratteristiche biologiche delle piante stesse.

Il team di scienziati ha confrontato un database aggiornato e completo delle piante europee presenti in Nord America con la flora presente nella Repubblica ceca, considerata rappresentante delle specie presenti nell’Europa centrale, in totale 1218 tipi di piante. Di queste è risultato che 466 taxa erano già naturalizzate e avevano formato popolazioni capaci di resistere in natura e di diffondersi in modo invasivo nel Nord America, come il tarassaco comune (Taraxacum officinale) e la margherita diploide (Leucanthemum vulgare).

Tra tutte quelle naturalizzate analizzate nello studio, continuano gli autori, sono il 6% non era mai stato coltivato dall’essere umano, il cui ruolo sembrerebbe dunque schiacciante nella diffusione delle diverse specie. Le capacità proprie della pianta hanno sempre avuto quindi un ruolo marginale, a volte sovrastimato dai biologi, rispetto a quello giocato dall’uomo e favorito dai fattori geografici (come clima e terreno).

La diffusione di piante esotiche, indicano gli autori, è da tenere in forte considerazione, in studi futuri, non soltanto perché minaccia la biodiversità e può avere un impatto negativo sugli ecosistemi ma anche per i potenziali danni economici nel settore agricolo e forestale. Una volta naturalizzate le piante non sempre riescono a essere facilmente controllate nella loro diffusione nonostante gli sforzi e i mezzi a disposizione.

Riferimenti: Ecology http://dx.doi.org/10.1890/14-1005.1

Credits immagine: André Künzelmann/ UFZ

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