Neuroblastoma: l’immunoterapia, per ora, non basta

È stata accolta come uno dei maggiori successi in campo oncologico negli ultimi anni, e contrasta le neoplasie con un approccio del tutto nuovo: induce le cellule T del nostro sistema immunitario a combattere il tumore, come tanti piccoli supereroi. L’immunoterapia è la nuova frontiera nella lotta al cancro, ma un nuovo studio pubblicato su Cancer Research ha rivelato che curare il neuroblastoma con l’immunoterapia potrebbe essere più complicato di quanto si pensava.

Il gruppo di scienziati dell’Università di Birmingham ha scoperto che le cellule del neuroblastoma sono in grado di produrre una sorta di “kryptonite cellulare” che sembra praticamente azzerare la potenza dalle cellule immunitarie vicine. Il neuroblastoma, infatti, priva le cellule T di un aminoacido fondamentale per il loro funzionamento: l’arginina, fonte essenziale di energia non solo per i linfociti, ma anche per il tumore. Ecco perché la sottrae, rubando l’energia “proprio come la kryptonite fa con Superman”, come ha specificato Francis Mussai, autore principale dello studio. Come ci riesce? Producendo una gran quantità di arginasi, l’enzima responsabile della scomposizione dell’arginina.

L’improvvisa mancanza di questo amminoacido rende le cellule T deboli e incapaci di reagire contro la malattia. E proprio questo meccanismo potrebbe costituire una delle ragioni per cui i risultati dell’immunoterapia su questo tumore sono ancora deludenti.

“La maggior parte dei trattamenti di immunoterapia hanno il tacito presupposto che il sistema immunitario del paziente funzioni bene” ha spiegato Mussai. “Ecco perché non capivamo come mai le cellule immunitarie avessero tante difficoltà nel riconoscere e distruggere il neuroblastoma. Ora che abbiamo compreso il ruolo dell’arginina, saremo in grado di attivare il sistema immunitario per attaccare le cellule neoplasiche”.

Con 140 nuovi casi all’anno in Italia e 650 negli Stati Uniti (i tre quarti sono bambini sotto i 4 anni), il neuroblastoma è il tumore solido più frequente nell’infanzia. Riuscire a bloccare l’arginasi rappresenta una speranza nella battaglia a questa patologia che costituisce il 7% dei casi oncologici fino ai 14 anni. L’italiana Carmela De Santo co-autrice dello studio, che ha coinvolto 26 pazienti di nuova diagnosi, ha concluso: “Ora la sfida è quella di sviluppare nuovi farmaci in grado di impedire al tumore di usare l’arginina, rendendo così l’immunoterapia più efficace”.

Riferimenti: Cancer Research doi: 10.1158/0008-5472

Credits immagine: Maria Tsokos, National Cancer Institute via Wikipedia

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