Hiv: la nuova sfida è l’invecchiamento

I progressi degli ultimi decenni hanno modificato drasticamente le prospettive per i 2,3 milioni di europei che oggi convivono con l’Hiv: l’aspettativa di vita per i pazienti che iniziano precocemente il trattamento con i nuovi antiretrovirali è infatti paragonabile a quella della popolazione generale. Resta ancora molto da fare, visto che circa un terzo delle persone che hanno contratto il virus non ne è ancora consapevole, ma per chi ha ricevuto una diagnosi e iniziato le terapie l’infezione da Hiv si è trasformata in una patologia cronica. È quindi tempo di cambiare prospettiva nell’approccio terapeutico, per risponda alle esigenze di una popolazione di pazienti che invecchia, e si trova ad affrontare nuovi problemi e patologie legati alla gestione a lungo termine della propria malattia: comorbidità, che spesso anno un peso anche maggiore dello stesso Aids. A lanciare l’appello sono otto esperti internazionali, in un’analisi pubblicata sulla rivista Hiv Therapy.

“Che le persone che convivono con l’Hiv possano ora aspettarsi di invecchiare è sicuramente un grande risultato, che tuttavia apre nuove sfide relative a una gestione dell’Hiv volta a ottimizzare i risultati dei pazienti”, ha spiegato Antonio Antela Lopez, dell’Ospedale universitario di Santiago de Compostela, presentando il lavoro durante la giornata di apertura del congresso annuale dell’European Aids Clinical Society, in corso a Barcellona. “Dobbiamo fissare nuovi obiettivi, che vadano oltre il raggiungimento di una viremia non rilevabile, fino a includere la gestione proattiva delle comorbidità associate, in modo che i nostri pazienti possano godere di una buona qualità della vita, piuttosto che semplicemente vivere più a lungo”.

Anni di convivenza con il virus e con i farmaci utilizzati per tenerlo a bada, possono infatti amplificare il normale invecchiamento dell’organismo. Per questo motivo i pazienti sieropositivi, pur con un’aspettativa di vita paragonabile a quella della popolazione generale, presentano specifici fattori di rischio per altri disturbi legati alla gestione a lungo termine della patologia.

Una persona che convive con l’Hiv ha infatti un rischio quasi doppio rispetto alla popolazione generale di sviluppare tumori non Aids dipendenti, cioè non legati specificamente al virus, e tende inoltre a soffrirne in età più giovane. Anche ipertensione, infarto, diabete, problemi renali e osteoporosi si presentano con maggiore frequenza e più precocemente in questi pazienti. Molti inoltre soffrono di disturbi dell’umore, come ansia (47%) e depressione (20-37%), e il 52-59% sembra sviluppare disturbi neuro cognitivi dopo anni di terapia.

È dunque importante sviluppare nuove strategie, che aiutino ad affrontare serenamente l’invecchiamento con l’Hiv, e per questo nel paper gli esperti delineano una serie di raccomandazioni. Per prima cosa è necessario passare a un approccio multidisciplinare, che sappia mettere il paziente al centro di una rete di specialisti di campi diversi come la cardiologia, oncologia, neurologia, che lavorino ad una maggiore personalizzazione delle cure, da sviluppare e pensare intorno al singolo paziente. Serviranno poi una migliore capacità di diagnosi per le comorbidità, con screening e strumenti specifici per i pazienti con Hiv, e percorsi pensati per promuovere gli stili di vita corretti: come smettere di fumare, e seguire una corretta alimentazione. Ultimo punto è infine la necessità di migliorare i percorsi terapeutici esistenti che andrebbero sempre iniziati il prima possibile per ottenere il massimo beneficio.

Questi interventi, ha ricordato Antela Lopez, sono sempre più urgenti visto che la popolazione che convive con l’Hiv in Europa sta invecchiando rapidamente, anche a causa di un aumento dei contagi in età avanzata. Oggi il 30% dei pazienti europei ha superato i 50 anni, e secondo le previsioni degli esperti la percentuale raggiungerà l’84% entro il 2030.

Credits immagine: Jeffrey Knipe/Flickr CC

 

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