Quanta scienza nella fantascienza di The Martian

Ormai ci siamo: dopo la lunga attesa il Sopravvissuto – The Martian, il film di fantascienza di Ridley Scott ispirato al romanzo L’uomo di Marte di Andy Weir, è arrivato nelle sale. Neanche così tanto fantascienza, senza considerare che i piani della Nasa sono davvero quelli di portare l’uomo su Marte per il 2030. Nell’attesa di vedere come sarà passeggiare sul pianeta rosso, per ora possiamo solo immaginarcelo, e chiederci quanto di quello fantasticato corrisponda a realtà sulla base delle conoscenze che anni di esplorazione marziana hanno prodotto.

Tempeste di sabbie: quanto sono reali?

Cominciamo dall’inizio, con la tempesta di sabbia marziana con cui si apre anche il film di Scott. È realistica? Abbastanza, assicurano gli esperti, anche se i suoi effetti non sono sarebbero così disastrosi. Su Marte ogni anno si verificano delle tempeste moderatamente grandi, che si sviluppano su aree estese quanto i continenti interi, spiega Michael Smith del Goddard Space Flight Center della Nasa (Greenbelt, Maryland), tanto da essere viste a volte anche dai telescopi da Terra. Più raramente invece si manifestano delle enormi tempeste di sabbia, aggiunge il ricercatore: “In media, una volta ogni tre anni marziani (circa cinque e mezzo anni terrestri), le tempeste ‘normali’ crescono in tempeste di sabbia che circondano il pianeta, che di solito chiamiamo ‘tempeste di polvere globali’ per distinguerle dalle altre”.

Il vento sollevato da queste tempeste però, aggiungono gli esperti, difficilmente potrebbe danneggiare le attrezzature meccaniche utilizzate durante una missione marziana o strattonare con forza il suo equipaggio, raggiungendo al massimo circa 100 km/h: meno della metà dei forti venti che soffiano durante gli uragani sulla Terra (che arrivano anche a 250 km/h). Ma soprattutto va considerato che su Marte l’atmosfera è densa circa 1/100 di quella terrestre e la pressione atmosferica è molto minore. Quindi più che venti devastanti con forze di un uragano in stile The Martian su Marte non avremmo che delle leggere brezze, avvertono gli esperti. In altre parole, anche se veloci i venti non riuscirebbero a muovere abbastanza masse d’aria per procurare danni alle attrezzature. Su Marte anche solo far volare un aquilone o far sventolare una bandiera, continuano gli scienziati, richiederebbe che il vento soffi molto più velocemente che sulla Terra.

Se la forza dei venti in sé non rappresenterebbe un vero problema per eventuali equipaggi e attrezzature su Marte, la polvere sollevata dalle tempeste – anche quelli di piccola intensità – invece lo sarebbe. I granelli di sabbia, infatti, son debolmente elettrostatici e si possono attaccare facilmente alle attrezzature, causando problemi se si inseriscono soprattutto negli ingranaggi di parti in movimento o sui pannelli solari. Sia le particelle che si depositano sui pannelli che quelle che rimangono sospese possono, infatti, ridurre la quota di energia luminosa che va a ricaricare le batterie, e l’immagine di Mark Watney,  il marziano Matt Demon, alle prese con le attività di pulizia dei pannelli solari, be’, continuano gli esperti, potrebbe essere uno scenario alquanto reale in futuro. Non è da escludersi poi che grandi tempeste di sabbia arrivino ad oscurare la superficie luminosa, sebbene in tal caso la tempesta stessa starebbe per finire. A innescarle, infatti, è proprio la radiazione solare che riscalda l’aria a contatto con il suolo, che tende a salire portandosi dietro anche particelle di polvere. Non a caso, infatti, le tempeste si verificano più frequentemente durante le estati nell’emisfero Sud, in cui il pianeta qui è sensibilmente più caldo.

Si può passeggiare su Marte? 
John Logsdon, ex direttore dello Space Policy Institute alla George Washington University al riguardo è chiaro: la ridotta gravità di Marte (pari circa a un terzo quella terrestre) impedirebbe agli astronauti di camminare normalmente (per capirsi: come sulla Terra) sul pianeta rosso. Più che una camminata, come mostrato nel film, su Marte sarebbe più realistico muoversi un po’ come sulla Luna: più o meno saltellando.

Il problema delle radiazioni
Gran parte delle tecnologie mostrate nel libro e nel film non sono pura fantascienza: sono realtà a cui la Nasa sta già lavorando, sono solo più efficienti di quelle attuali magari, per stessa ammissione di Weir. L’unica tecnologia inventata dall’autore, come egli stesso racconta, è la schermatura alle radiazioni di Hab, il modulo abitativo. Al momento – sebbene alla Nasa siano diversi i test su alcuni materiali ad elevato potere schermante e si stia pensando di costruire anche dei campi elettrici e magnetici per creare una bolla schermante al pari della magnetosfera terrestre – la sfida contro le radiazioni non è infatti ancora vinta. L’esposizione alle radiazioni (onde o particelle che trasportano energia e che possono attraversare la pelle danneggiando il dna e le cellule nel complesso) è, infatti, un problema importante nella valutazione delle missioni spaziali. Quelli a bordo della Stazione spaziale sono protetti ancora dalla magnetosfera terrestre – e comunque tutelati dalla loro continua roteazione – ma su Marte? Qui l’assenza praticamente di atmosfera e di campo magnetico esporrebbe gli astronauti a un rischio non indifferente, sebbene qualche tempo fa le analisi compiute dal rover Curiosity abbiano ridimensionato l’esposizione alle radiazioni. Il problema però della lunga permanenza sul pianeta va sommato al rischio sperimentato durante il viaggio. L’esposizione, durante l’intera missione, alla radiazione solare (per lo più protoni) e ai raggi cosmici (protoni, elettroni ma anche nuclei atomici ad elevata energia), comporterebbe probabilmente infatti dei problemi di salute, quali un maggior rischio di cancro e danni al sistema nervoso.

Fattorie sul pianeta rosso?
Per poter sopravvivere, in carenza di scorte alimentari, Watney comincia a coltivare patate (concimandole con le sue stesse feci). Su Marte. Fantascienza? Non tanto. Secondo l’astrobiologoThomas McCollom della University of Colorado di Boulder il terreno marziano potrebbe essere utilizzato per far crescere delle piante, magari dopo averlo trattato così da rimuovere sostanze dannose come i perclorati (di nuovo avvistati su Marte) e il perossido di idrogeno. Il suolo infatti sarebbe chimicamente adatto e, per esempio, conterrebbe azoto in una forma biologica utilizzabile. L’acqua invece sarebbe disponibile come ghiaccio nel sottosuolo e basterebbe scaldarla per utilizzarla (se presente, quella in forma liquida è molto salata e disponibile solo in alcune zone per periodi limitati). Meno complicato, e forse anche meno rischioso, che ingegnarsi per produrre acqua dal combustibile (idrazina), come fa Watney.

Via: Wired.it

Credits immagine: NASA/JPL-Caltech 

 

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