Salute neonatale: cosa è stato fatto e cosa resta da fare

Chi si alzerà in piedi in favore della salute dei neonati nei paesi a risorse limitate?” Si chiudeva con questa domanda l’editoriale dell’ultimo speciale Every newborn di Lancet, una delle più prestigiose riviste mediche al mondo. Perché è un fatto: la leadership per la salute dei neonati nel mondo è debole. Nei paesi ad economia avanzata come il nostro, i medici che si occupano dei neonati, insieme all’attenzione dei genitori, hanno portato a un grande miglioramento del percorso di nascita. Ma nei paesi poveri, la voce dei genitori – e in particolare quella delle donne – resta inascoltata. E non ci sono medici che abbiano scelto di dedicare la loro professione alla salute dei più piccoli.

Era l’Obiettivo di sviluppo del millennio numero 4 dell’Onu: entro la fine del 2015 ridurre la mortalità dei bambini tra 0 e 5 anni di 2/3 rispetto al 1990. Ci siamo riusciti? La risposta è ancora no, anche se è stato fatto molto: in questi 20 anni la mortalità è stata più che dimezzata, passando da 12,7 milioni a 6,3 milioni di decessi l’anno.

C’è però una percentuale che non si è riusciti ad abbassare, quella della mortalità neonatale. Oggi, infatti, quasi la metà dei decessi – il 44% per l’esattezza – avviene nei primi 28 giorni di vita. E raggiungere il IV obiettivo sarà impossibile finché non si metteranno in atto interventi specifici per salvaguardare la salute dei bambini appena nati nei paesi a limitate risorse, dove spesso sono in corso guerre ed emergenze umanitarie.

A richiamare l’attenzione sulla mortalità infantile è il convegno internazionale “Nascere” (IV Congresso nazionale di cure del neonato nei paesi a limitate risorse), organizzato per domani, 13 ottobre, a Milano, presso l’Università Statale: un incontro aperto a tutta la cittadinanza per parlare della salute dei neonati a 360 gradi, insieme agli esperti di diversi ambiti di intervento, con importanti testimonianze da tutto il mondo e una lezione magistrale di Gino Strada.

Saranno 18 le Ong presenti per raccontare i propri progetti, con numeri alla mano e descrizioni puntuali delle difficoltà incontrate sul campo e dei gap da colmare. Dalle esperienze in zone di conflitto, come quella in Afghanistan di Emergency e in Mali di Coopi, la più antica Ong italiana, ai progetti di ostetricia e per la salute riproduttiva delle donne della Onlus della Clinica Mangiagalli di Milano e di Cuamm – Medici con l’Africa.

Presenti anche alcune Università italiane. L’ateneo di Verona terrà un focus sulla nutrizione dei neonati sottopeso e quello di Padova su come proteggerli dall’ipotermia, una delle prime cause di morte nei paesi a risorse limitate. Si parlerà poi di rianimazione in sala parto, mentre Medici Senza Frontiere porterà la sua esperienza di studio sulle resistenze agli antibiotici nei neonati del Pakistan, dove spesso i neonati muoiono di sepsi perché viene loro somministrato un antibiotico inefficace. Si ripercorrerà tutto il continuum of care, valorizzando il lavoro di chi in questi anni è riuscito a trovare una risposta alle emergenze.

Tra gli ospiti d’onore ci sarà Tarek Meguid, medico ginecologo, membro dell’Independent Expert Review Group – un gruppo di sei persone scelte da Ban Ki Moon, tra cui figura anche Richard Horton, direttore di Lancet, una delle più prestigiose riviste mediche – che ogni anno riferisce alle Nazioni Unite sulla salute mondiale della donna e del bambino.

A quali strategie si sta pensando per il dopo 2015? “Le organizzazioni non governative che gestiscono i progetti di salute neonatale e i tecnici della comunità scientifica devono procedere allineati”, risponde Michelle Usuelli, coordinatore scientifico del congresso, in passato responsabile della neonatologia e pediatria di Emergency: “A tutti noi è capitato di vedere progetti ben scritti, magari finanziati dai cittadini, che però non hanno portato i risultati sperati”.

“Questo accade anche perché è molto difficile per la maggior parte delle organizzazioni umanitarie trovare staff medico e infermieristico esperto, che faccia davvero funzionare questi progetti. Personale sanitario esperto e motivato a lavorare in questo tipo di progetti esiste, ma non esistono meccanismi di collaborazione tra le nostre aziende ospedaliere e le organizzazioni umanitarie che rendano proficuo lavorare insieme. Siamo in attesa di vedere i regolamenti della nuova legge sulla cooperazione allo sviluppo. Oggi spesso vige un atteggiamento di ‘cooperazione vacanziera‘: il medico collabora a progetti durante le sue vacanze, senza poter dare continuità; oppure sono i nostri giovani colleghi durante gli anni della specializzazione a garantire la direzione scientifica di progetti sanitari complessi, anche per semestri. Riteniamo che questo sia parte del problema, non certo della soluzione”.

“Dobbiamo dotarci di meccanismi nuovi”, spiega Fabio Mosca, professore ordinario di Pediatria dell’Università di Milano e direttore U.O. di Neonatologia e Terapia Intensiva Neonatale della Clinica Mangiagalli. “Il nostro reparto, per esempio, è interessato a mettere a disposizione il proprio personale esperto per un periodo di tempo congruo, sostituendolo con giovani specialisti a tempo determinato, che avrebbero così l’opportunità di formarsi in un importante centro di neonatologia. Ma la disponibilità a inviare personale nei progetti che noi riteniamo seri, non può tradursi in un danno economico per la nostra azienda ospedaliera né in una riduzione di organico, a danno dei nostri pazienti. Il sistema sul quale siamo interessati a sviluppare partnership è tra l’altro un modo molto moderno di inserimento per i nostri giovani nel mondo del lavoro”.

Far incontrare staff medico e organizzazioni umanitarie è uno degli obiettivi del convegno. Un altro obiettivo è ricordare che i neonati sono un target prioritario e cost-effective di intervento nei paesi in via di sviluppo: un concetto che dovrà essere chiaramente ribadito dalla nuova strategia globale per la salute materno-infantile che sarà lanciata entro fine anno dal segretario generale delle Nazioni Unite. Tale affermazione deve tradursi in priorità d’intervento per i governi dei paesi a risorse limitate e per i donatori.

Sarebbe bello – concludono i due medici – se le Ong e le aziende ospedaliere, con la regia del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, potessero iniziare un percorso serio di cooperazione allo sviluppo. Magari proprio a partire dal IV Congresso nazionale di cure del neonato nei paesi a limitate risorse.

I cittadini interessati a seguire i lavori possono iscriversi gratuitamente al congresso: www.nascere.info.

Photo Credit: EMS Shane in Portland via Compfight cc

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