Forse i grassi buoni non sono così buoni

(credits: calafellvalo/Flickr CC)
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In gergo medico, si chiama Lipid hypotesis. È l’idea, generalmente accettata dalla comunità scientifica, secondo la quale ci sarebbe un collegamento diretto tra livelli di colesterolo nel sangue e probabilità di soffrire di disturbi cardiaci. In particolare, secondo questo modello, assumendo più grassi buoni da oli vegetali e oli di semi e meno grassi cattivi da carne rossa e latticini, si potrebbe migliorare significativamente la propria salute cardiovascolare. Ma un’équipe di ricercatori dei National Institutes of Health (Nih) e altri centri di ricerca statunitensi sembra sostenere qualcosa di diverso: gli scienziati, infatti, hanno appena riesaminato una serie di dati raccolti tra gli anni Sessanta e gli anni Settanta (e mai pubblicati), scoprendo un trend differente.

In particolare, hanno osservato che alcune persone che assumono più grassi insaturi (tradizionalmente ritenuti buoni), in particolare quelli più ricchi in acidi grassi omega-6, non avrebbero un rischio di mortalità più basso rispetto a chi segue una dieta ricca di grassi saturi. Lo studio è stato pubblicato sulle pagine del British Medical Journal. Ma attenzione: prima di allarmarsi e decidere di cambiarele linee guida alimentari e la propria dieta è bene fare chiarezza su cosa sostenga esattamente il lavoro.

Gli autori dello studio, tra cui Daisy Zamora, della University of North Carolina, e Chapel Hill e Christopher Ramsden dei National Institutes of Health avevano eseguito già tre anni fa la stessa analisi su un altro dataset (il cosiddetto Sidney Diet Heart Study, anche questo mai pubblicato), giungendo più o meno alle stesse conclusioni: “La nostra ricerca”, ha detto Zamora all’Huffington Post, “evidenzia la scarsità di prove a sostegno della sostituzione nella dieta di grassi saturi con oli vegetali ricchi di acido linoleico[un acido grasso appartenente alla famiglia degli omega-6, nda]per il miglioramento della salute cardiovascolare”.

Nel loro nuovo lavoro, i ricercatori dei Nih hanno passato in rassegna i dati raccolti nel 1968 dallo U.S. Public Health Serviceper il cosiddetto Minnesota Coronary Experiment, mirato a capire se, per l’appunto, la sostituzione dei grassi saturi con quelli insaturi potesse prevenire attacchi cardiaci e infarti. Gli autori dell’esperimento presero in considerazione le abitudini alimentari di 9mila adulti divisi in due gruppi, uno dei quali aveva dimezzato il consumo di grassi saturi e aumentato fino al 280% l’assunzione di oli vegetali. L’altro gruppo, di controllo, seguiva una dieta più vicina alle abitudini alimentari medie statunitensi: parecchi grassi saturi e pochi grassi insaturi.

Spulciando i dati e completandoli quelli provenienti da altri quattro esperimenti simili, Zamora e colleghi hanno osservato che, sebbene i soggetti del gruppo che aveva seguito la dieta più salutare avessero livelli di colesterolo più bassi, questo non avrebbe portato alcun beneficio in termini di mortalità. Un risultato che si va ad aggiungere alla storica controversia sul legame tra grassi saturi e rischio di malattie cardiovascolari.

Ci sono, tuttavia, degli importanti distinguo da tenere in considerazione, prima di cambiare radicalmente la nostra dieta. Anzitutto, il fatto che i grassi insaturi assunti dai soggetti che hanno partecipato agli esperimenti fossero provenienti da olio di mais, che non è certo il “gold standard degli oli vegetali”, come ha sottolineato Rebecca Blake, dell’ospedale Mount Sinai Beth Israel. Un prodotto molto meno salutare, per esempio, dell’olio extravergine di oliva o dei grassi insaturi che si trovano nel pesce(in particolare gli omega-3). Sarebbe quindi fuorviante attribuire atutti gli oli vegetali i risultati ottenuti per il solo olio di mais.

Ma c’è di più, come ci ha precisato Michele Gulizia, direttore di cardiologia all’ospedale Garibaldi di Catania e presidente dell’Associazione nazionale medici cardiologi ospedalieri (Anmco):“Anzitutto, il lavoro pubblicato è una rassegna di studi, e non una meta-analisi, in cui si cercano di scagionare i grassi saturi, e dunque i risultati vanno presi con le pinze. Anche ammesso fossero veri, comunque, bisogna considerare le altre centinaia di studi pubblicati negli ultimi anni e che dicono l’esatto opposto, e cioè che la riduzione del consumo di grassi saturi ha ridotto drasticamente la mortalità”.

Il presidente dell’Anmco, che per il 16 aprile ha organizzato a Roma l’open day Amico del cuore: dopo l’infarto il colesterolo conta, in cui un panel di specialisti incontrerà i pazienti, ci ha infatti spiegato che i grassi insaturi si comportano come una sorta di lubrificante per le pareti delle arterie (mentre quelli saturi tendono ad attaccarvisi e ostruire i vasi), tanto che sono generalmente considerati un fattore di rischio inverso per le malattie cardiovascolari. Secondo Gulizia, i risultaticontrocorrente dell’équipe di Zamora potrebbero essere dovuti ai cosiddetti outlier, i soggetti che si trovano nelle code delle distribuzioni di probabilità che descrivono la correlazione tra alimentazione e malattie del cuore: “Esistono soggetti che, pur assumendo grassi saturi in gran quantità, non subiscono eventi cardiovascolari, così come ne esistono altri che, pur conducendo uno stile di vita sanissimo, soffrono di infarto. Ma non possiamo dimenticare che il 90% degli eventi ricade al centro della distribuzione di probabilità”. Eventi che, sostanzialmente, confermano l’ipotesi lipidica.

Via: Wired.it

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