Dopo Schiaparelli, il problema è arrivare su Marte

Marte
(Credits: NASA / USGS)
Marte
(Credits: NASA / USGS)

Dopo sette mesi di volo interplanetario, la missione ExoMars è finalmente giunta su Marte con il corretto inserimento in orbita marziana della sonda TGO (Trace Gas Orbiter), seguito dall’ingresso e successivo ammartaggio del lander Schiaparelli. Tuttavia, a dimostrazione che nell’esplorazione spaziale nulla è mai scontato, il collegamento con Schiaparelli si è interrotto circa un minuto prima del “touchdown e il centro ESOC di Darmstadt sta ancora cercando di stabilire un contatto l’oggetto. Da analisi preliminari dei dati, attualmente ancora in corso, sembrerebbe che il computer di bordo abbia spento i retrorazzi con largo anticipo. Colpisce, dunque, che ancora una volta sia la componente del volo aeronautico l’aspetto più rischioso e non facilmente prevedibile. Sei minuti erano richiesti per la discesa nella rarefatta atmosfera marziana e hanno dimostrato di essere più complessi, e pericolosi, dei sette mesi di volo interplanetario. Si tratta di una lezione importante, che ci consegna la storia dei voli spaziali: gli incidenti più gravi, con la perdita di vite umane, sono tutti avvenuti, fatta eccezione per l’Apollo 1, durante le fasi di volo atmosferico, al decollo o al rientro.

Ma come possiamo pensare di arrivare su Marte con il primo equipaggio umano tra poco più di 15 anni, come ipotizzato dal presidente Obama, se ad oggi il portare sul pianeta rosso un piccolo oggetto di poco più di 500 kg risulta un’impresa così complessa e piena di incertezze? Si tratta di una domanda a cui risulta difficile dare un risposta. La distanza tra noi e Marte non è solo quella fisica dei due pianeti ma è anche, e soprattutto, quella temporale: cioè l’intervallo di tempo necessario per dare risposta alle tante sfide tecnologiche per andare, e ritornare, dal pianeta rosso. L’elemento più critico, ma al tempo stesso la risorsa più preziosa per una tale impresa, è certamente quello della presenza umana. L’ambiente che ci aspetta oltre le orbite basse, così rassicuranti con una distanza di pochi minuti di volo dalla Terra, è molto più pericoloso: intense dosi di radiazioni cosmiche molto superiori a quelle che gli astronauti assorbono all’interno delle fasce di Van Allen; rischio impatto con micrometeoriti; lontananza da qualsiasi riferimento fisico e visivo che ricordi l’ambiente terrestre; il ritardo nella propagazione dei segnali, che da Terra a Marte impiegano circa 10 minuti, rendendo di fatto l’equipaggio “solo” nelle scelte da intraprendere in caso di qualsiasi emergenza.

E questo non è tutto. Come Schiaparelli ha dimostrato, arrivare sulla superficie del Pianeta non è semplice e vi sono diverse possibili soluzioni. Le tecnologie con gli “airbags” non sono facilmente scalabili rispetto i volumi e le masse ipotizzabili in un missione umana quelle basate su retrorazzi e paracaduti richiedono modelli accurati dell’atmosfera marziana. Insomma tecnologie abilitanti ancora da migliorare per incrementare affidabilità e prestazioni. Una volta poi giunti a “Marte” occorrerà sopravvivere lì per almeno 18 mesi prima di poter effettuare nuovamente una manovra alla Homann, cioè quel tipo di trasferimento orbitale che minimizza il consumo di propellente. E sopravvivere in quell’ambiente non sarà affatto facile: l’atmosfera marziana è molto più rarefatta e composta per lo più di CO2; la gravità marziana è circa un terzo di quella terrestre; il pianeta è spesso coperto da tempeste di sabbia globali; la quantità di radiazioni è intensa anche sulla superficie poiché il pianeta non ha un campo magnetico come quello terrestre. Insomma un contesto operativo a cui non siamo ancora preparati che necessiterà una logistica di supporto ancora da elaborare. Come astronauta, tutto questo pone degli interrogativi e delle sfide di grande interesse. Prepararsi per una missione di questo genere, con un approccio fortemente interdisciplinare, sarebbe come contribuire a scrivere una nuova pagina di quel “romanzo” che è l’esplorazione umana dello spazio. Nuove metodologie di addestramento, non solo a terra prima della missione, ma anche e forse soprattutto durante la stessa per assicurare efficienza psico-fisica, emotiva, operativa all’equipaggio. Eppure l’uomo può anche semplificare alcuni aspetti, incrementando il livello di affidabilità dei sistemi, mediante controlli e specifiche azioni di intervento in caso di avarie, oltre che assicurare una flessibilità, capacità di adattamento e velocità di elaborazione, anche improvvisando, che i sistemi automatizzati ed i robot ancora non hanno.

L’Italia in questo scenario potrebbe essere protagonista puntando ad alcune delle tecnologie di cui già dispone e che saranno abilitanti: moduli abitativi, sistemi avanzati di “life support”, paracaduti per la manovra di aerobraking, sistemi radar, strumentazione scientifica e capacità sistemistica. Ma per arrivare su Marte entro il 2030, come recentemente dichiarato dal presidente Obama, sarà necessario avere ancor più determinazione e coraggio. Certamente un programma di respiro internazionale, pur nella complessità che questo presuppone, contribuirebbe a rendere più sostenibile un impegno finanziario certamente significativo. Ma oltre a ciò, la vera sfida per arrivare su Marte sarà di avere il coraggio e la volontà di accettare qualche rischio in più per ridurre la distanza temporale tra Terra e Marte. Il conto alla rovescia è già iniziato…

1 commento

  1. forse marte si è vendicato di schiaparelli che l’aveva descritto come una accozzaglia di canali. A parte gli scherzi, e al netto di Rosetta Philae , Villadei mentre sembra scoprire che la missione su Marte presenta problemi e criticità(come se non sapessimo che sìmili disavventure sono capitate alla nasa, ai russi, agli inglesi, ai giapponesi, ai cinesi …) si dimentica di chiedersi come mai la collaborazione tra le Agenzie Spaziali italiana , Nasa Esa Jaxa Cnes Glr (L’UNIONE FA LA FORZA) sia così labile ..per questo motivo mi ha sorpreso dover riscontrare una certa mancanza di sobrietà, una malcelata enfasi nazionalista e una irritante spocchia corporativa nelle dichiarazioni dei responsabili di ASI (almeno fino a quando sembrava che tutto funzionasse o fosse funzionato a dovere: mi ricordava tanto tanto il “facisti su Marte” del noto Corrado Guzzanti). Per fortuna, nessuno ha mai usato l’orribile, orrido termine “eccellenza” tanto di moda tra i divulgatori di sciocchezze (Eccellenza è il termine che serve ai servi per leccaculare il boss di turno e a prendere per il culo i tronfi e /o i bolliti…come “dottò” “commenda”…”cavalié” ecc..).Vabbé, niente di male essere orgogliosi del proprio lavoro e parlarne bene.

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