La matematica come modello e non come verità assoluta

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(Credits: Jorge Franganillo/Flickr CC)
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(Credits: Jorge Franganillo/Flickr CC)

In matematica, l’idea del cambiamento fatica a trovare spazio; ma non sono in molti a lamentarsene, come fa invece il protagonista del romanzo di DeLillo La stella di Ratner. A questo primo non detto della matematica segue quello del percorso, spesso tortuoso e non rivelato, che porta un matematico alla dimostrazione di un risultato. Il francese Cédric Villani, medaglia Fields, in un libro di divulgazione innovativo quasi quanto i suoi risultati, presenta invece il suo lavoro associando all’elenco delle canzoni che ascoltava mentre lavorava al teorema che gli è valso il premio, la ricostruzione delle associazioni fra risultati e ambiti diversi della matematica che lo hanno reso possibile. Il suo modo di procedere fa pensare a quello che, all’inizio del secolo scorso, aveva spinto lo storico dell’arte Aby Warburg a immaginare una biblioteca ordinata secondo il criterio del ‘buon vicinato’ e a entrare negli archivi per capire le opere d’arte che studiava nei musei. Sulla scia di DeLillo, Villani e Warburg, si torna a parlare del cambiamento presentando le entità di cui tratta la matematica come modelli, più che verità scolpite nella pietra. E sono due matematici di periodi diversi e molto diversi fra loro per temperamento, Poincaré e Gowers, a spiegare con grande efficacia nei loro scritti il concetto di modello: per lo spazio e per i numeri, rispettivamente. Ma se il cambiamento investe le entità, lo spazio e i numeri per esempio, come entra in gioco con le procedure? Quando è che un risultato si può dire tale? Una dimostrazione vale l’altra? Che cosa accade nell’attesa che un risultato sia riconosciuto come tale dalla comunità scientifica? La strada è sempre quella degli archivi. E una nuova generazione di matematici con i loro blog pieni di tracce sembra averla imboccata.

Di questo viaggio nella matematica che cambia ecco la seconda puntata (qui la prima).
3. L’esempio più facile

Non è necessario parlare di cose difficili per farsi un’idea dell’andamento riluttante della matematica. I numeri negativi compaiono per la prima volta nel testo classico cinese “Nove libri sull’arte della matematica”8, che risale alla prima dinastia Han, ovvero a un periodo compreso fra il 206 aC e 220 dC, ma per secoli se ne è contestato l’uso. Da tempo, ormai, appaiono non meno legittimi dei numeri naturali (1,2,3,4…) che indicano oggetti che i nostri sensi non fanno nessuna fatica a percepire e vengono introdotti alle scuole elementari senza che la loro esistenza, o il loro uso, crei problemi a nessuno. Stessa difficoltà per i numeri irrazionali, ovvero i numeri che non possono essere espressi come rapporto fra numeri naturali, per esempio la radice di 2.

Il (prolungato, ndr) rifiuto dei matematici di assegnare agli irrazionali lo status di numero illustra una delle caratteristiche sorprendenti della storia della matematica. Le nuove idee sono spesso tanto inaccettabili in questo campo come lo sono in politica, religione ed economia”9, scrive in “A Cultural Approach to Mathematics” Morris Kline, che ha una cattedra al Courant Institute della New York University ed è stato uno dei pochi a violare il tabù dell’eccezionalità della matematica fra le diverse forme di pensiero.

È allora legittimo chiedersi di quali entità si discute in questi tempi, quali siano gli argomenti contestati, oltre che provare a farne una storia.

L’inglese Timothy Gowers, che nel 1998, 12 anni prima di Villani, ha vinto la medaglia Fields e a Cambridge occupa la cattedra che porta il nome di Walter William Rouse Ball, un altro che ha cercato di ricostruire una storia, risponde in parte, facendo finta di parlare di scacchi: “Ciò che conta del re nero non è la sua esistenza, e neanche la sua natura intrinseca, ma il ruolo che svolge nel gioco”10, scrive. E presenta quindi quello che non ha problemi a definire come uno slogan per sgomberare il campo dalle domande: “Un oggetto matematico è ciò che fa”, e “il significato di una proposizione è il suo metodo di verifica”.

Per secoli si è faticato molto a realizzare, scrive Kline, che i concetti matematici sono astrazioni create dall’uomo che possono essere introdotte a piacere se servono a uno scopo utile”.

Vale per i numeri negativi, e per quelli irrazionali, che altrettanta fatica hanno fatto a trovare uno spazio serenamente condiviso, dopo che i pitagorici avevano realizzato di non potere rappresentare con una frazione di interi il numero che indica la misura dell’ipotenusa di un triangolo con i due lati unitari, ovvero che non esistono due interi a e b tali che il loro rapporto indichi la radice di 2. A maggior ragione, vale per i numeri complessi11, molto più difficili da accettare, costruiti intorno alla misteriosa unità immaginaria i, re nero più di tutti, che però risolve l’equazione x2= -1 e si conquista il diritto a esistere, in matematica, prima ancora che la sua esistenza consenta sviluppi importanti alla base, per esempio, della teoria quantistica. Prendere o lasciare.

E per scansare argomentazioni filosofiche Gowers, il cui pragmatismo è arrivato a toccare il tempio sacro dell’editoria – quando all’inizio del 2012 ha denunciato il costo ingiustificato delle riviste scientifiche in un intervento che ha fatto storia quasi quanto i suoi teoremi – aggiunge: basta considerare queste asserzioni come “atteggiamenti che si può di tanto in tanto scegliere di adottare”. In questo è d’accordo con Kline e soprattutto con Hilbert. Basta considerarle come astrazioni da scegliere secondo convenienza, a piacere12.

Il metodo dell’astrazione diventa indispensabile quando non si riesce più ad associare a ogni entità un’immagine e un significato reali. Un albero ce lo raffiguriamo tutti. Anche due, tre, cinque o sei. E sette? Già iniziano i problemi. Dove li mettiamo tutti questi alberi che ancora non fanno bosco?

Perché i numeri negativi appaiono a così tante persone come meno reali di quelli positivi? Probabilmente perché contare gruppi ridotti di oggetti è un’attività umana fondamentale, e quando lo facciamo non usiamo numeri negativi. Ma tutto questo significa solo che il sistema di numeri naturali, se lo pensiamo come modello, è utile in alcune circostanze e non lo è in un sistema allargato. Se vogliamo pensare alle temperature o ai conti bancari, allora i numeri negativi tornano utili. Fino a che il sistema di numeri esteso è logicamente coerente, e questo lo è, non c’è nulla di male a usarlo come modello”. Ecco allora che Gowers parla di necessità e utilità, laddove altri nell’Ottocento tiravano in ballo la libertà. E a metà strada, Poincaré citava la comodità.

4. La strada che porta al modello

L’idea su cui insiste Gowers è che un’entità matematica, numero, area, spazio o quant’altro, sia più facile da capire quando è definita in modo astratto e non quando la si pensa “tradotta” nei casi particolari che i nostri sensi sono in grado di registrare e da cui di solito si inizia il percorso di apprendimento.

Insomma è più semplice abbandonare il conteggio, l’area dei poligoni che ci hanno insegnato a calcolare alle scuole medie o lo spazio tridimensionale in cui siamo convinti di essere immersi per capire le proprietà e soprattutto le potenzialità di queste entità.

Il ritornello è sempre lo stesso: non ci interessa che cosa sia un oggetto ma ciò che fa, ovvero le sue proprietà. La sua applicazione consiste nel passare dall’entità fisica al modello matematico. Dello spazio, per esempio13.

Prima di proseguire con lo spazio-modello vale la pena di fare un passo indietro e ricordare come Poincaré, molto tempo prima che Gowers nascesse, avesse ridotto ai minimi termini questo procedimento per farne capire la profondità.

Il passaggio dallo spazio reale e fisico, qualunque cosa esso sia, a un modello di spazio, e quindi a più modelli di spazio, non è un’operazione banale e soprattutto scontata: Poincaré si è dilungato a spiegare come lo spazio che noi percepiamo con i nostri occhi, per esempio, già non soddisfa alcune delle proprietà che pretendiamo da uno spazio invece non strutturato, a partire dall’isotropia. Il senso della profondità, spiega, è infatti dovuto ad altri muscoli rispetto a quelli impiegati nella visione piana. Poincaré ci mostra come lo spazio euclideo non sia che un passaggio intermedio, o provvisorio come dice lui; lo spazio comodo per arrivare a definizioni più generali.

5. L’emancipazione della matematica

In ogni caso, per arrivare a Gowers, o anche soltanto a Poincaré o a Hilbert, la strada è lunga. L’emancipazione della matematica dal mondo reale è avvenuta nella seconda metà dell’Ottocento con Dedekind e le geometrie non euclidee – ovvero con le geometrie che non descrivono solo la realtà immediatamente percepita dai nostri sensi, di cui la geometria euclidea è soltanto un caso particolare – e ha portato con sé il vento della libertà che si respirava in quegli stessi anni nelle strade della Comune di Parigi o nei circoli anarchici di Pietroburgo.

Il termine libertà compare per la prima volta in un testo di matematica di Grassman e sarà subito dopo Dedekind a formalizzarne il diritto a esistere in matematica, grazie alle geometrie derivanti da assiomi diversi da quelli scelti da Euclide, ma da cui si ottengono teoremi comunque molti utili alla comprensione dell’universo.

Questa forza trainante si accompagna in un primo momento alla ricerca della definizione di infinito caratteristica, si può anche dire nel cercarne una definizione, di un insieme i cui oggetti continuano a far parte dopo qualsiasi trasformazione, quindi a una tranquillizzante predeterminazione dello sviluppo della stessa matematica. Se ogni trasformazione non ci allontana dall’insieme di partenza, sappiamo in anticipo dove ci troveremo in ogni caso, qualunque cosa accada.

È però a cavallo dell’inizio del Novecento che s’inizia, forse sulla scia dell’assenza di finalità nella natura scoperta non molto tempo prima da Darwin, a pensare che si possa andare oltre questo insieme che tutto comprende. A pensare che si possa sorprendere.

Fra questi due poli, il recinto e la libertà più totale, il matematico scopre presto la regione empiricamente determinata ma allo stesso tempo libera da costrizioni e prevedibilità, in cui si può effettivamente muovere.

6. Orme cancellate

È il tempo che toglie di mezzo l’indeterminatezza, trasforma il ragionamento e porta i nuovi risultati entro i confini dell’insieme, nella Matematica. Altro che grandi teorie, qui vale il principio pragmatico dell’attesa citato per la prima volta in questi termini da Borel. È il tempo che consente di capire se la matematica accennata in un lavoro è Matematica.

Perché allora non mettere in cantiere un discorso su quello che accade al ragionamento matematico prima che si cristallizzi come Matematica e l’attesa si compia?

In matematica sta diventando difficile dire la verità, come ovunque oggi”, scriveva a metà degli anni ottanta Gian Carlo Rota nella prefazione al testo di cui è uno dei tre autori insieme a Martk Kac e Jacob Schwartz, “Discrete Thoughts. Essays in Mathematics, Science and Philosophy”14. “Dire la verità non equivale a recitare un rosario di fatti”, aggiunge, arrivando addirittura a citare questi versi di Antonio Machado

la gente mente così spesso

perché manca di immaginazione:

non capisce che non c’è verità

senza invenzione15

Prima o poi dovremo riabituarci, e se non lo facciamo noi dovranno farlo i nostri figli, a dire la verità in modo corretto. L’esercizio sarà particolarmente doloroso in matematica. Le incredibili scoperte nel nostro campo nascondono in modo sistematico, come orme cancellate nella sabbia, il percorso analogico di pensiero che rappresenta la vita autentica della matematica. Per quanto scioccante questo potrà essere per un logico conservatore, verrà il giorno in cui i concetti ora vaghi di motivazione e finalità saranno resi formali e accettati come costituenti di una logica rinnovata, dove sarà loro assegnato lo status che meritano, a fianco di assiomi e teoremi. Fino ad allora tuttavia le verità della matematica faranno sol comparse effimere, come confessioni di cui vergognarsi sussurrate a un prete, a uno psichiatra o a una moglie”. Il percorso analogico come elemento di verità, ecco cosa sarebbe piaciuto a Warburg la cui ultima opera è l’Atlante di Mnemosyne16, tavole in cui immagini diverse, come cartine geografiche e alberi genealogici o il ratto raffigurato da Rubens e le diverse raffigurazioni dell’Apollo, sono associate per lo slancio che hanno impresso alla nostra cultura.

Note

8 Nel testo Chiu ch’ang Suan-shu vengono presentati i numeri negativi nelle matrici usate per risolvere sistemi di equazioni a tre variabili.

9 Kline, A Cultural Approach to Mathematics, Boston, pp. 63-64: Anche: Just as we gradually add to our knowledge of the varieties of human beings and animals which exist in our physical world, so must we broaden our knowledge of the varieties of numbers and with true liberties accept these strangers on the same basis as the already familiar numbers (…) It may be of some comfort to the reader to know that the concepts of negative numbers, like the concept of irrational numbers was resisted by mathematicians for several hundred years. The history of mathematics illustrates the rather significant observation that it is more difficult to get a truth accepted then to discover it. The mathematicians to whom “number” meant whole numbers and fraction found it hard to accept negative numbers as true numbers..

10Gowers, Matematica. Un’introduzione, Torino, 2004, p. 18

11 a+ib, dove a e b sono numeri reali e i la radice quadrata di -1.

12 Di recente, il matematico russo dell’università della Calabria Yaroslav Sergeyev ha esteso il sistema dei numeri introducendo il grossone e alcune regole di calcolo. Con questo riesce a inserire l’infinito nei calcoli del suo progetto di computer.

13 ( La teoria degli insiemi e la sua mutazione nell’idea di modello presentata da Hilbert con il metodo assiomatico e le sue Grundlagen der Geometrie, di cui Gowers si fa insieme ad altri portavoce, è un altro buon esempio per rendere conto del cambiamento in matematica).

14 Birkhauser, 1985, con Mark Kac e Jacob Schwartz.

15 Traduzione dell’autore

16 dimenticata per anni, l’opera incompiuta e incompletabile di Warburg viene riscoperta negli anni Novanta. Una prima versione con 63 pannelli viene pubblicata a Vienna nel 1994, seguono una edizione tedesca e una italiana.

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