Nobel per la chimica alle nanomacchine molecolari

Credits: ynse/Flickr
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Niente da fare: anche Crispr dovrà aspettare almeno un altro anno.Come capitato ieri nella fisica, anche il premio Nobel per al chimica ha disatteso le previsioni della vigilia. Alla rivoluzionaria tecnica di editing genetico Crispr Cas-9, i giudici dell’Accademia reale svedese delle scienze hanno preferito infatti una scoperta più sedimentata, ma non meno rivoluzionaria: le molecular machines, o nanomacchine molecolari, meccanismi composti da un piccolo numero di molecole ma capaci di eseguire specifici compiti, o azioni, nel momento in cui ricevono energia.

Ad aggiudicarsi il Nobel sono stati Jean-Pierre Sauvage, Sir J. Fraser Stoddart e Bernard L. Feringa, tre scienziati che con le loro ricerche hanno permesso lo sviluppo delle più piccole macchine esistenti.

Di nanomacchine in effetti si iniziò a parlare più di 70 anni fa, quando il grande fisico Richard Feynman pose una domanda al suo pubblico durante una serie di conferenze: quanto può essere piccola una macchina?

Per Feynman, la risposta si poteva trovare facilmente in natura: un batterio possiede flagelli e altre strutture di dimensioni nanometriche, che permettono loro di eseguire specifiche azioni per muoversi e nutrirsi. Allo stesso modo, doveva essere possibile, almeno in linea teorica, costruire degli apparecchi sintetici composti da pochi atomi o molecole. Faynman ne era certo, tanto che diede anche una scadenza: le nanomacchine sarebbero state realtà nel giro di 25-30 anni. Una previsione che si rivelò incredibilmente accurata.

Il primo passo verso la realizzazione delle nanomacchine molecolari arrivò infatti negli anni ’80, quando il gruppo di ricercatori francesi diretto da Jean-Pierre Sauvage risolse un problema che aveva eluso gli sforzi dei chimici per oltre 30 anni: quello di creare catene di molecole collegate tra loro non da un classico legame covalente (in cui la forza di legame è dovuta al fatto che gli atomi delle molecole condividono degli elettroni), ma dalla topologia delle molecole, ovvero dalla loro stessa struttura.

Per farlo, Savauge ideò una procedura brillante e piuttosto complicata: partendo da una molecola circolare (o meglio ciclica) e una a semicerchio, il chimico si rese conto che era possibile sfruttare un atomo di rame per tenere insieme il complesso abbastanza a lungo da chiudere la molecola a semicerchio con una seconda molecola di forma simile, producendo così due molecole di forma circolare incastrate tra loro.

Fino a quel momento, strutture del genere erano state generate con un’efficienza minima: solo una manciata delle molecole utilizzate nelle reazioni chimiche andava a costituire il prodotto finale. Con la nuova tecnica, l’efficienza della reazione arrivava invece al 42%, aprendo le porte allo sviluppo di catene molecolari sempre più complesse.

Ma non solo, la scoperta di Savauge fornì anche il primo tassello mancante per lo sviluppo delle nanomacchine. Una macchina infatti ha bisogno di parti mobili per poter funzionare, e i legami covalenti sono troppo rigidi per permettere la mobilità richiesta. I nuovi legami topologici erano invece perfetti. A rendersene conto fu proprio il loro inventore, che nel 1994 riuscì a produrre qualcosa di simile a una prima, rudimentale, macchina molecolare, creando due molecole cicliche interconnesse, di cui una ruotava intorno all’altra quando veniva aggiunta dell’energia.

Per arrivare a delle vere e proprie nanomacchine c’era ancora molto lavoro da fare, anche se un ulteriore tassello del puzzle in realtà era già stato sviluppato, solo pochi anni prima, dal secondo premio Nobel di quest’anno: J. Fraser Stoddart. Nel 1991, lavorando con il suo gruppo di ricerca, il chimico inglese aveva infatti creato un cosiddetto rotaxano, un complesso molecolare composto da una molecola ciclica attraversata da un frammento molecolare lineare.

Lavorando sui rotaxani, nel 1994 Stoddart riuscì a ottenere il completo controllo dei movimenti della molecola circolare, e sviluppò diverse macchine molecolari, come un ascensore in grado di sollevarsi di circa 0,7 nanometri, e un muscolo molecolare, in grado di piegare una sottilissima lamina d’oro.

C’era ancora un tassello mancante però per poter sfruttare a pieno le potenzialità delle nanomacchine molecolari: un motore, ovvero un complesso molecolare che ruoti costantemente in una specifica direzione.

A svilupparlo è stato il terzo premio Nobel di quest’anno: l’olandese Bernard (Ben) L. Feringa. Normalmente i movimenti delle molecole sono determinati unicamente dal caso, ma utilizzando una lunga serie di accorgimenti chimici, Feringa nel 1999 riuscì invece a creare una molecola che ruotava unicamente in una direzione, compiendo una rotazione di 180 gradi ogni volta che veniva esposto a raggi di luce ultravioletta.

Inizialmente i motori di Feringa erano lenti, nel 2014 sono arrivati a compiere ben 12 milioni di rivoluzioni al secondo, e hanno dimostrato di poter sollevare un cilindro di vetro 10mila volte più grande del motore stesso.

Le scoperte di Sauvage, Stoddart e Feringa hanno creato insomma quella che il comitato del Nobel definisce una rivoluzionaria cassetta degli attrezzi molecolare, che oggi rende possibile per la prima volta il controllo dei movimenti dei sistemi molecolari. Con questi strumenti, i chimici sono in grado di costruire incredibili nanomacchine, che in futuro dovrebbero rivoluzionare la produzione di nuovi materiali, portare allo sviluppo di sensori e sistemi di depositi nanometrici, modificando radicalmente campi di ricerca che vanno dalla medicina all’informatica.

via Wired.it

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