Il viaggio fantastico sulle tracce degli antenati

antenati
(Credits: Stephanie Asher/Flickr CC)

pievaniTelmo Pievani

Sulle tracce degli antenati. L’avventurosa storia dell’umanità.

Editoriale Scienza, pp 140, Euro 19,90

Le avventure del bambino Luca alla ricerca di LUCA, il “Last Universal Common Ancestor”. È con questa suggestiva allusione che Telmo Pievani – professore di Filosofia delle scienze biologiche all’Università di Padova, autore di numerose pubblicazioni scientifiche e divulgative – comincia un viaggio fantastico che si svolge nello spazio e nel tempo. Un racconto non necessariamente per bambini, nel senso abituale del termine, ma un libro rivolto anche a piccoli lettori, rispettati nella loro intelligenza e nella capacità di leggere e capire anche informazioni difficili, lontane dagli abituali luoghi comuni. Lo stesso titolo del libro “Sulle tracce degli antenati” viene messo in discussione fin dalle prime pagine: Luca, infatti, non rintraccia solo gli antenati da cui sembra che la specie umana discenda direttamente, ma incontra “cugini”, cioè specie diverse originate da un progenitore comune che, a loro volta, sono progenitrici di altre specie, variamente differenziate ed ormai estinte. Attraverso lo snodarsi di queste cuginanze è possibile percorrere all’indietro nel tempo i rami di questo cespuglio genetico e scegliere la via che porta alle antichissime radici comuni.

Nel testo, brevi quadri sintetici, mappe, ricostruzioni e illustrazioni accurate si alternano con informazioni che permettono ai lettori grandi e piccoli di conoscere le differenze morfologiche e i modi di vivere delle diverse specie incontrate dal ragazzino andando all’indietro nel tempo. Infatti, per ogni interlocutore vengono indicate in una breve scheda paleoantropologica il nome scientifico e le peculiari caratteristiche, quando i ritrovamenti di ossa e frammenti di ossa lo permettono; se ne individuano, quando sono noti, gli antenati e i discendenti, e si costruisce gradualmente un quadro articolato e complesso dei processi evolutivi che hanno legato e separato specie diverse, portando a “tanti modi di essere umani”. Gli identikit e le interviste fatte da Luca agli antenati-cugini ci informano sui luoghi di origine, sui tempi in cui le varie popolazioni si erano sviluppate, sulle migrazioni e sulle espansioni in nuovi territori, sulla capacità di raggiungere regioni lontanissime, sulle modalità alimentari e di sopravvivenza. Nei paragrafi “Intervista all’antenato” in cui Luca pone interessanti domande alle creature che incontra, appare ancora l’ambiguità di significato tra antenati e cugini e non è sempre facile per il lettore ricostruire le complesse diramazioni nelle discendenze. Con un po’ di fatica, tuttavia, attraverso schemi grafici e genealogie che si completano e si articolano man mano che vengono individuati nuovi reperti, si riesce a costruire una visione d’insieme delle complesse ramificazioni del cespuglio, si individuano i rami su cui si collocano gli estinti di cui non si hanno più tracce e i rami che testimoniano la continuità evolutiva, gli antenati attraverso i quali si è definito il patrimonio genetico della nostra specie. Ben diverso dalle immagini sempre presenti su molti manuali scolastici, che mostrano uno sviluppo lineare dell’ unica specie umana, è interessante pensare che di questo cespuglio, solo 100.000 anni fa, coesistevano sulla terra almeno cinque rami-specie di Homo, e di queste solo il genere sapiens è riuscito a sopravvivere.

Nella prima tappa del suo viaggio, il bambino Luca incontra i nostri cugini più prossimi ormai estinti, i Neanderthal, classificati come Homo neanderthalensis, le cui origini sono state rintracciate in Europa circa 300.000 anni fa. Disponendo di una cultura ricca e flessibile, hanno potuto espandersi in tutto il nostro continente, costruendo oggetti d’uso ma anche oggetti con significati simbolici, usati ad esempio nei riti di sepoltura. Non si conoscono con certezza le cause della loro estinzione ma ci sono tracce della loro lunga convivenza con Homo sapiens, migrato dall’Africa in ondate successive.

Ragionando sulla nostra storia vediamo dunque che dai tempi antichissimi ad oggi la nostra è una specie di migranti che, sempre a partire dall’Africa, ha superato enormi distanze occupando nuovi territori. Le migrazioni o, come sarebbe più corretto dire, le espansioni di areale, hanno portato le varie popolazioni di uno stesso ceppo a occupare nuovi spazi e ad isolarsi geograficamente cioè a non incrociarsi più con le popolazioni vicine. Fin dai tempi antichissimi, i gruppi isolati hanno potuto differenziarsi dagli altri trasmettendo ai loro discendenti caratteristiche specifiche intervenute in seguito a modificazioni del loro genoma. Alcune si sono dimostrate davvero molto importanti per i futuri umani: fin da 4,4milioni di anni fa nel ramo estinto di Hardipithecus ramidus , troviamo il bipedismo, associato ad una ristrutturazione complessiva dello scheletro ed alla possibilità di usare le mani per trasportare ed usare oggetti. Lucy, il più famoso Australopithecus vissuta in Kenia circa 3-4 milioni di anni fa, sapeva camminare e correre pur avendo le dita delle mani e dei piedi allungate e ricurve, aveva un cervello piccolo e non sapeva parlare. La varietà delle specie vissute sul territorio africano è ancora tutta da individuare ma certamente da Australopithecus come Lucy discendono sia altre australopitecine sia il piu antico Homo, conosciuto come Homo habilis per i ritrovamenti di strumenti in pietra a lui attribuiti. I ritrovamenti di ossa vicino al lago Turkana ci parlano di un ragazzo Homo, vissuto circa 2 milioni di anni fa e ce lo descrivono come un veloce corridore, dal corpo slanciato ed elegante, capace di usare il fuoco per la cottura dei cibi e di lavorare utensili di pietra. . Il ragazzino Luca non incontra soltanto fossili famosi: riesce a darci infatti notizie dei primi colonizzatori del Caucaso, degli esploratori arrivati in Cina e a Giava, dei piccoli abitanti dell’isola di Flores, ciascuno con caratteristiche un po’ uguali e un po’ diverse dalle nostre. Nella storia dell’evoluzione umana, genetica fisiologia e cultura si trovano sempre strettamente collegate e il bisogno di sopravvivere in condizioni ambientali non sempre favorevoli stimola modalità di organizzazione sociale e invenzioni culturali sempre più complesse

Andando ancora molto all’indietro nel tempo, grazie ai risultati di analisi genetiche, sono state individuate alla base del cespuglio evolutivo le tracce dell’antenato comune tra gli umani e gli scimpanzé in un primate vissuto in Africa chiamato da alcuni Panomo o, in sigla, CHLCA (Chimp Human Last Common Ancestor). Era una scimmia antropomorfa, in buona parte vegetariana, che viveva nelle foreste in prossimità delle savane. Un metodo genetico, chiamato orologio molecolare, è riuscito a datare l’esistenza di questo progenitore a circa 6-7 milioni di anni fa. Mentre la sua discendenza dal lato degli scimpanzé sembra essere poco ramificata nel tempo (ma non abbiamo fossili per sapere quante specie siano effettivamente esistite) quella dal lato dei futuri umani, gli ominini ha dato origine ad una varietà di specie in parte ancora sconosciute, ampiamente differenziate, di cui noi siamo i sopravvissuti.

Il ragazzino Luca, protagonista del viaggio, non ha ancora studiato il DNA a scuola e senza una adeguata conoscenza sulla trasmissione di caratteri e dei meccanismi di mutazione è piuttosto difficile spiegare i processi di speciazione, far capire l’importanza delle differenze genetiche che intercorrono tra i diversi rami “dell’albero cespuglioso dell’evoluzione umana”. E si può anche rimanere meravigliati scoprendo che il patrimonio genetico dei Neanderthal differisce dal nostro solo per lo 0,16%: solo piccole differenze nel DNA provocano grandi differenze nella forma e nella struttura del corpo e del cervello. Pievani ricorre dunque a inserti esplicativi che, di volta in volta, cercano di chiarire il ruolo delle analisi dei DNA estratti dai reperti, il significato dell’orologio genetico, l’eredità mitocondriale, le apparentemente insignificanti differenze genetiche che permettono di caratterizzare le specie e differenziarle in generi. Non potendo accennare al significato delle mutazioni intervenute casualmente nel DNA e alle loro conseguenze fenotipiche, le spiegazioni che riguardano il ramificarsi del cespuglio e la presenza di nuovi tipi ominini sono talvolta ambigue. In alcuni casi si descrivono processi di tipo darwiniano (individui e specie sopravvivono se sono sufficientemente flessibili e sfuggono alla selezione naturale) ma talvolta alcune spiegazioni si prestano a rinforzare, soprattutto nei ragazzi, le abituali idee di quasi volontario adattamento all’ambiente, di tipo lamarkiano. Per esempio, il ragazzo Turkana chiama adattamenti le caratteristiche che gli permettono di essere un veloce corridore: essere longilineo, privo di pelo, capace di sudare…; a proposito di Homo floresiensis si dice: “la pianta – del piede – non è leggermente arcuata come la nostra ma piatta. Potrebbe essere un adattamento al tipo di terreno della foresta…” . E non è facile capire se l’autore si riferisce al singolo individuo di cui si conoscono i reperti (magari di un tale particolarmente agile nella foresta), o all’intera popolazione di floresiensis… in cui la forma del piede, “geneticamente” piatta, è stata ereditata attraverso le generazioni.

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