Autovalutazione INVALSI, la scuola ai raggi X

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(Foto via Pixabay)

Da qualche anno il Sistema di valutazione Nazionale raccoglie dati importanti non solo sulle conoscenze acquisite dagli alunni nel loro percorso scolastico (le “prove” INVALSI) ma, soprattutto, sulla scuola come elemento della nostra società, caratterizzata da una struttura definita, responsabile di compiti precisi. Nel marzo 2016 l’INVALSI ha pubblicato il rapporto “I Processi e il funzionamento delle scuole”, che raccoglie e organizza i dati rilevati dal Questionario Scuola INVALSI e dalle sperimentazioni VALES e VM presentando con molta cura, in grafici e tabelle, i risultati della ricerca, mettendoli poi a disposizione delle singole scuole e di tutti gli interessati.

Su quali dati si basa il Rapporto? Nel periodo 2012-2015 era stato proposto alle scuole di fare una ricognizione, di comunicare dati e di riflettere sulle necessità della propria scuola, sulla sicurezza, sulle caratteristiche strutturali, sulle modalità di funzionamento, sulle attrezzature a disposizione come laboratori, palestre, biblioteche, e sul loro uso. Oltre che sugli aspetti strutturali, si chiedevano esplicitamente agli insegnanti opinioni sull’organizzazione della didattica e sui rapporti col territorio: sul curricolo di istituto e sulla sua effettiva realizzazione, sulla ricchezza dell’offerta formativa, sull’autonomia, sull’abbandono scolastico, sulla relazione con le famiglie. Questionari e domande guida avrebbero dovuto aiutare i docenti a fare una autovalutazione della propria scuola, con l’idea che chi vi lavora quotidianamente possa essere in grado di coglierne attentamente le carenze e le positività. A questa auto- valutazione interna si è successivamente accompagnata una valutazione esterna, compiuta da personale appositamente formato che ha visitato un certo numero di scuole raccogliendo dati secondo un preciso protocollo. Anche i dirigenti sono stati coinvolti, sia per conoscere le prospettive di sviluppo del loro Istituto sia per avere una valutazione dell’iniziativa, e sapere come l’indagine fosse stata accolta e svolta dagli insegnanti.

In generale, i dati raccolti nel documento conclusivo sono positivi e confermano sia l’interesse dell’inchiesta sia la soddisfazione dei dirigenti sulla partecipazione dei docenti: presentano una visione della scuola italiana varia e complessa, molto differenziata al suo interno, non sempre ottimale ma ricca e articolata, densa di potenzialità e prospettive di miglioramento. Tuttavia non è stato ancora pubblicato il confronto tra la prospettiva interna (come le scuole si sono valutate) e quella esterna (come le scuole sono state valutate), mettendo in evidenza la relazione fra questi due processi.

E però, le voci di corridoio raccolte tra gli insegnanti “costretti” a partecipare all’iniziativa non rivelano particolari entusiasmi: molti hanno sentito la pesantezza di un ulteriore carico burocratico, altri ne hanno commentato l’inutilità, altri ancora hanno osservato che a forza di valutare l’insegnamento non si ha più tempo di insegnare… In alcune scuole le commissioni si sono effettivamente riunite, in altre il compito è stato affidato a un volontario; a volte le situazioni scolastiche sono state presentate con eccessi di pessimismo o di ottimismo… Il quadro della scuola reale sembra un po’ meno roseo di quello elaborato nel documento, ma questo non toglie nulla alla sua importanza. Comunque i dati siano stati raccolti, pur facendoci una buona tara, il fatto che ogni insegnante possa confrontare la sua situazione particolare e i suoi malesseri quotidiani, con quanto succede nelle altre scuole italiane può rappresentare un arricchimento notevole, può aiutare il singolo a collocarsi più consapevolmente all’interno di un sistema e a sentirsene parte, può far conoscere le difficoltà di altri istituti o indurre a copiare soluzioni sperimentate in altri luoghi. Accedere ad una documentata visione della scuola nella sua complessità può aiutare gli insegnanti a saper rapportare le proprie difficoltà con quelle di colleghi sconosciuti e lontani, ad avere uno sguardo più documentato sul sistema che si regge anche sul loro lavoro e, a volte, ad uscire dal proprio limitato individualismo. Genitori e cittadini potrebbero a loro volta confrontare quello che succede nella scuola dei propri figli con i dati nazionali, non solo per prendere coscienza di eventuali differenze ma anche per suggerire nuove attenzioni e possibili cambiamenti.

Dai dati riportati, appare evidente la differenza di impostazione didattica tra la primaria e la secondaria, per quanto riguarda sia l’organizzazione oraria che le modalità di insegnamento: l’attenzione alla continuità, la relazione con le famiglie, la programmazione comune sono molto presenti nella primaria, meno nella secondaria, e si organizzano con altri criteri nelle scuole superiori. Le attrezzature come laboratori, palestre e biblioteche, pur generalmente presenti, sono spesso male utilizzate per mancanza di personale, e certe carenze sono evidenti in molte scuole del sud.

Nonostante le molte difficoltà documentate, il quadro complessivo sembra positivo: la scuola nella varietà delle situazioni in cui opera sembra attenta e sensibile ai problemi dei bambini e a quelli delle famiglie, risente delle difficoltà economiche, di alcuni “malesseri” diffusi tra gli insegnanti ma, soprattutto, di quelle connesse alla faticosa integrazione col territorio. Il problema più grave è quello legato alla progressiva disaffezione dei bambini e degli adolescenti nei confronti di uno studio che non li avvince e che è sempre meno integrato nella loro vita quotidiana.

A questo la scuola potrebbe forse reagire con maggiore efficacia, sfruttando le opportunità offerte dalle Indicazioni Nazionali e sviluppando curricoli che non ricalchino pedissequamente le paginette dei sussidiari o dei libri di testo. L’accumulo di nozioni da dimenticare non aumenta la cultura dei ragazzi e non ne stimola l’intelligenza. Innovare e modellare l’insegnamento sulle esigenze della propria classe è un compito non facile che richiede all’insegnante cultura, tempo e formazione didattica; molte possibilità offerte non sono state sfruttate : “A distanza di circa un quindicennio dall’introduzione delle norme che regolano l’autonomia scolastica – si legge nel documento – le opzioni ipotizzate per favorire la flessibilità didattica sembrano non avere avuto successo nella scuola italiana. Le nostre scuole sembrano preferire rimanere nel solco della tradizione, da un lato arricchendo l’offerta formativa rimanendo però all’interno dell’orario di lezione previsto, dall’altro offrendo proposte di ampliamento che si situano al di fuori del curricolo, rimanendo pertanto aggiuntive”.

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