Quel che sappiamo sulla musica (e sul cervello)

musica
(Foto via Pixabay)

La musica è una composizione di suoni, ma può anche essere vista come una composizione di attività neurali all’interno del cervello umano: un oggetto di discussione e di confronto che in questo libro vede contrapposti il musicista e direttore d’orchestra Pierre Boulez, il neurobiologo Jean-Pierre Changeux e il musicologo Philippe Manoury. Il dibattito si articola intorno alla ricerca di analogie potenti tra la creazione artistica e quelle modalità di funzionamento del sistema nervoso che potrebbero spiegare l’organizzazione del pensiero.

Tre punti di vista sulla musica

musica e cervello

Boulez analizza i percorsi che lo hanno portato ad elaborare le sue composizioni, talvolta dando forma a iniziali basi sonore informali, talvolta organizzandole intorno a schemi astratti, intessendo nuovi fili musicali, inventando e imponendosi nuove regole di costruzione. Il bisogno di innovare viene vissuto quasi come una necessità biologica da parte del compositore che, come un predatore, vuole catturare le novità ed elaborarle a modo proprio. Changeux, da neurobiologo, confronta invece le modalità strutturali nelle composizioni di autori classici e in quelle di autori contemporanei: il profondo desiderio di innovazione in un’arte che, come la musica, è di per sé profondamente conservatrice, può essere interpretata in termini darwiniani, e suggerisce una sorta di analogia tra il progresso scientifico e l’innovazione musicale. Questa ipotesi provoca una vivace risposta da parte di Boulez, che nega qualsiasi forma di progresso in campo artistico e sostiene piuttosto la necessità di cambiamenti nei punti di vista individuali, sostenuti da una cultura anche essa in trasformazione.

È interessante la dialettica tra due modi di pensare radicati in esperienze diverse che tentano comunque una via di incontro. Se Changeux cita i vari esperimenti di neurofisiologia che sostengono le sue idee, Boulez controbatte criticandoli e suggerendone altri più coerenti con le sue esperienze di compositore contemporaneo. Non mette certo in discussione i risultati sull’attività delle diverse zone del cervello stimolate dall’ascolto musicale, ma chiede che i dati acquisiti vengano completati e forse modificati dall’approccio a composizioni fondate su una diversa impostazione formale, a nuove periodicità, a diversi intervalli, a timbri differenti da quelli a cui l’ascoltatore è tradizionalmente abituato. Per spiegare il senso dei suoi processi creativi, Boulez racconta come, dirigendo una sua composizione, i quindici musicisti non sapessero neppure quando avrebbero suonato, e dovessero quindi essere pronti all‘esecuzione seguendo con attenzione i suoi gesti: (“arpa, ora”, “celesta, ora”), costruendo un insieme musicale caratterizzato da una tensione particolare.

L’idea di variazione con selezione suggerisce a Changeux nuove somiglianze con l’evoluzione biologica, riconoscendo l’universalità di questa modalità evolutiva sia in campo biologico che musicale. La competenza musicologica di Manoury nelle stesse composizioni di Boulez fornisce degli esempi appropriati che potrebbero aiutare il lettore-ascoltatore a comprendere meglio le caratteristiche delle innovazioni.


Come e perché abbiamo la musica dentro


È interessante il raffronto tra linguaggio parlato e linguaggio musicale. Entrambi si svolgono nel tempo ma solo il primo trasmette significati precisi e messaggi efficaci. D’altra parte, sostiene Manoury, anche il linguaggio musicale ha i suoi codici, ha un vocabolario e una grammatica ma, soprattutto nella musica contemporanea, esprime stati d’animo non definiti, non desidera verità oggettive ma si sviluppa attraverso l’ambiguità, la sorpresa, l’inatteso.

Non mancano polemiche relative al lavoro di altri compositori contemporanei, capaci di destabilizzare i criteri musicali convenzionali creando disordine ma incapaci poi di ricostruire e formalizzare un ordine. Ad esempio, Boulez racconta che Cage, alla fine della sua vita “mangiava carote davanti al microfono per registrarne il suono” ma senza poi riorganizzare strutturalmente il suono creato. Ancora una volta Changeux vede nell’antinomia tra ordine e disordine un principio universale che si riscontra anche nei modelli di organizzazione biologica.

Non si tratta di un libro di facile lettura, e richiede un minimo di competenza tanto in campo biologico che musicale. Changeux individua le notevoli differenze tra il procedere del pensiero scientifico che, come obiettivo, tende a costruire modelli che si confrontano con la realtà sperimentale mentre in musica i modelli che pure vengono elaborati dai diversi autori non hanno realtà di riferimento e non ha quindi senso “metterli alla prova”. E se il linguaggio matematico è universalmente riconosciuto, quello musicale segue degli schemi formali molto personalizzati. Infatti le due o tre pagine di spartiti messe come esemplificazione non sono facilmente leggibili o interpretabili, soprattutto perché, secondo Boulez, vi sono differenze tra la partitura – che è una notazione di risultati – e l’esecuzione, che richiede una notazione di azioni. Inoltre, non essendo accompagnato da un CD esemplificativo, il lettore non ha modo di ritrovare in un ascolto contestuale le peculiarità delle molte composizioni descritte o citate.

Il libro

Pierre Boulez, Jean-Pierre Changeux, Philippe Manoury

I neuroni magici. Musica e cervello.

Carocci Editore- Sfere, Euro 19.00

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