Così cambia il cervello nei non vedenti

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Olfatto, udito e tatto più sviluppati: nei ciechi la mancanza della vista è in genere compensata, almeno parzialmente, dall’acuirsi degli altri sensi. A renderlo possibile è la neuroplasticità, la naturale capacità del cervello di modificarsi in funzione delle esperienze. Ma cosa cambia nel cervello dei non vedenti? Una ricerca, guidata da neuroscienziati dell’Eye and Ear Infirmary di Boston, ha cercato di scoprirlo, utilizzando un approccio comprensivo per evidenziare modificazioni funzionali e strutturali nel cervello di soggetti affetti da cecità congenita. Lo studio, pubblicato su PLOS One, mostra che i cambiamenti sono molto più estesi di quanto creduto, e riguardano non solo l’area della corteccia occipitale normalmente dedicata all’elaborazione delle immagini ma anche zone preposte a funzioni cognitive superiori, come la memoria e il linguaggio.

Lo studio ha coinvolto 6 uomini e 6 donne di età comprese tra i 23 e i 46 anni, non vedenti dalla nascita o che hanno perso la vista entro il terzo anno di vita, più altri 16 soggetti, 8 uomini e 8 donne normovedenti e di età comparabili, come gruppo di controllo. Informazioni sulla morfologia, la struttura e la funzionalità cerebrale dei soggetti sono state raccolte – per la prima volta in maniera così estensiva – grazie a tre tecniche complementari di risonanza magnetica per immagini (RMI).

I ricercatori hanno quindi scoperto che, nel cervello dei non vedenti, le aree della corteccia occipitale e temporale usualmente preposte all’elaborazione delle immagini e alla memoria visiva si riducono, rispettivamente, in volume e spessore. Contemporaneamente, la connettività della sostanza bianca aumenta, sia tra regioni dello stesso emisfero che tra i due emisferi, coinvolgendo in particolare aree dell’emisfero sinistro legate al linguaggio e alla memoria verbale. Questi cambiamenti nel cervello sembrano essere collegati allo sviluppo nei ciechi di abilità compensative.

In altre regioni, invece, la connettività è ridotta, ad esempio tra la corteccia somatosensoriale, responsabile delle sensazioni tattili, e aree del lobo temporale legate alla navigazione spaziale e al riconoscimento facciale. Ma c’è ancora molto da scoprire.

In realtà, il potenziamento delle abilità dei non vedenti non è universale, ma dipende dall’attività. Studi ulteriori che includano l’analisi di prestazioni comportamentali potranno svelare di più su come le alterazioni strutturali e funzionali del cervello dei non vedenti si riflettono nell’acquisizione di nuove abilità. Comprendere come il cervello si modifichi in assenza di stimoli visivi, in particolare quali nuove connessioni vengano formate, potrebbe aiutare a disegnare terapie specifiche per potenziare le capacità di interazione con l’ambiente dei non vedenti.

Riferimenti: PLOS One

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