Garattini: “Così potremmo migliorare il sistema di farmacovigilanza”

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(Foto via Pixabay)

La puntata di Report sul vaccino contro l’Hpv è stata un pasticcio. Lo hanno fatto notare gli esperti della Società italiana di virologia e di altre importanti società scientifiche, continua a ripeterlo da giorni Roberto Burioni, e lo ha ammesso anche la Rai aprendo un’istruttoria interna per capire la genesi del servizio. A detta di tutti il programma insinuava (forse involontariamente) dubbi sull’efficacia e la sicurezza dei vaccini. Dubbi che non possiamo proprio permetterci, soprattutto in un periodo in cui crollano le vaccinazioni e si iniziano a vedere i primi effetti tangibili per la salute pubblica di questa diffidenza.

Dal canto suo, la redazione di Report assicura che il servizio aveva un intento completamente diverso: mettere in luce i limiti dell’attuale sistema di farmacovigilanza europeo. Andare a scavare cioè nella nostra capacità di intercettare con la giusta velocità le possibili reazioni avverse in seguito alla messa in commercio dei farmaci, e di comunicare con la dovuta trasparenza con i cittadini.

Anche in questo caso, l’allarmismo andrebbe evitato. Ma d’altro canto esistono effettivamente voci critiche, anche tra scienziati seri come Silvio Garattini, fondatore dell’Istituto farmacologico Mario Negri, secondo cui il sistema di farmacovigilanza europeo presenta dei limiti che andrebbero superati. Come funziona dunque la farmacovigilanza in Europa? Quali sono i punti di criticità, e cosa c’entra questo con il vaccino dell’hpv?

Il sistema europeo
La nuova normativa europea per la farmacovigilanza è stata lanciata nel 2010. Prevede una raccolta centralizzata dei dati provenienti dai paesi dell’Unione, che vanno a confluire nella banca dati europea Eurdravigilance e nella Vigibase dell’Oms. All’interno dell’Ema, l’agenzia europea del farmaco, è stato inoltre istituito un nuovo comitato, il Prac o Pharmacovigilance Risk Assessment Committee, che si occupa specificamente della valutazione dei rischi per la farmacovigilanza, e fornisce raccomandazioni al Chmp (Committee for Medicinal Products for Human Use) che ha il compito di consigliare la Commissione europea su eventuali modifiche all’autorizzazione al commercio dei farmaci. Se nasce un dubbio sulla sicurezza di un farmaco è quindi il Prac che valuta le informazioni disponibili, chiedendo anche alle aziende farmaceutiche di fornire i dati a loro disposizione e imponendo loro, quando lo ritiene necessario, uno studio di valutazione di sicurezza post autorizzazione (Pass).

A livello nazionale i dati sono raccolti invece dalle singole agenzie regolatorie. In Italia ad occuparsene è l’Aifa attraverso la Rete nazionale di farmacovigilanza. Le segnalazioni sono spontanee, vengono cioè effettuate dai cittadini e dagli operatori sanitari quando si trovano di fronte a un evento avverso collegato all’utilizzo di un farmaco. Possono essere effettuata online sul portale vigifarmaco.it o inviando una scheda (elettronica o cartacea). Nel caso dei medici la segnalazione sarebbe obbligatoria, e ha tempistiche molto precise: entro 2 giorni dal momento in cui l’operatore viene a conoscenza della reazione avversa, a meno che si tratti di farmaci di origine biologica (compresi i vaccini) nel qual caso il tempo utile per la segnalazione scende a 36 ore.

I problemi
Per alcuni esperti, come Silvio Garattini, il sistema di farmacovigilanza europeo ha però un problema strutturale: fa troppo affidamento sui dati forniti dalle industrie farmaceutiche e sulle segnalazioni spontanee di medici e pazienti. “Non ci si può basare solo sulla raccolta delle segnalazioni spontanee di medici, infermieri, farmacie o pazienti – spiega a Wired Garattini – ma occorrerebbe impostare un vero e proprio lavoro di farmacovigilanza attiva, cioè ricercare gli effetti tossici e valutarli con gli stessi principi scientifici con cui si valutano i benefici indotti dagli stessi farmaci”.

Per fare farmacovigilanza attiva, continua il farmacologo, occorre fare ricerca. Non concentrare l’attenzione solo sui benefici delle molecole, ma trovare anche fondi per studiarne gli effetti tossici, sempre presenti in tutti i farmaci. “È solo un attento bilancio fra benefici e tossicità che dovrebbe autorizzare il mantenimento in commercio di un farmaco”, continua Garattini. “Proprio in questo periodo la rivista Prescrire ha pubblicato l’elenco di circa 90 farmaci per cui le loro valutazioni implicano un rapporto sfavorevole fra benefici e rischi. Anche qui in Italia manca una farmacovigilanza attiva, ma abbiamo anche una raccolta di dati scarsa e ancora di più manca una visibilità degli effetti tossici in modo che il medico e in particolare i cittadini siano informati sulla veridicità delle informazioni che circolano su internet e social network e attraverso i mass-media”.

E l’hpv?
Cosa c’entra questo discorso sulla farmacovigilanza con i vaccini per l’hpv? Il problema nasce da lontano, e si snoda tra bufale da antivax, beghe istituzionali e preoccupazioni più o meno legittime degli addetti ai lavori. Uno dei principali animatori del dibattito è l’immunologo israeliano Yehuda Shoenfeld, apparso non a caso anche nel sevizio di Report dello scorso 17 aprile, che da qualche anno ha proposto la definizione di una nuova malattia, la cosiddetta sindrome Asia o Autoimmune (Auto-inflammatory) Syndrome Induced by Adjuvants. Un cappello che racchiude diverse patologie infiammatorie e immunomediate dalla genesi misteriosa, che secondo l’immunologo possono essere scatenate da una reazione dell’organismo ad alcune sostanze tra cui appaiono anche gli adiuvanti contenuti nei vaccini. Le patologie in questione sono malattie dalla sintomatologia sfuggente come la sindrome del golfo, la miofascite macrofagica, o la sindrome della fatica cronica, della cui corretta definizione si dibatte molto anche tra gli esperti, e che presentano serie difficoltà sul piano diagnostico che, incidentalmente, le rendono estremamente difficili da identificare come effetto collaterale di un farmaco.

Sono in pochi però nella comunità scientifica a prendere seriamente le teorie di Shoenfeld. Non solo per la mancanza di prove, ma anche per l’associazione del medico con gli ambienti antivax e per il potenziale confitto di interessi rappresentato dalle sue testimonianze, in qualità di esperto di parte (retribuito), in favore di presunte vittime dei vaccini. Più di recente però simili sospetti sono nati da uno studio danese realizzato da Louise Brinth del e Danish Syncope Unit del Frederiksberg Hospital di Copenhagen. Nel paper, il medico descrive la casistica raccolta dalla sua unità su 53 pazienti, che in concomitanza con la vaccinazione contro l’hpv avrebbero sviluppato i sintomi della cosiddetta Sympathetic Nervous System Dysfunction, una condizione legata a patologie come la sindrome della fatica cronica, la fibromialgia, la sindrome di tachicardia posturale ortostatica (o Pots). Ancora una volta, patologie dall’origine oscura, e dalla diagnosi differenziale estremamente difficile. Le conclusioni dello studio non provano un legame causale tra il vaccino e la sintomatologia dei pazienti, ma per Brinth indicano la necessità di indagare più a fondo la possibilità che si tratti di reazioni avverse al farmaco.

In seguito alla pubblicazione dello studio la Danish Health and Medicines Authorities ha chiesto all’Ema di verificare la possibilità che in casi estremamente rari il vaccino contro l’hpv possa causare gravi effetti collaterali neurologici (legati a patologie autoimmuni). A questo punto la palla è passata al Prac, che ha valutato i dati disponibili e ha poi rilasciato la sua valutazione il 26 novembre, rigettando la possibilità di un legame causale tra vaccino e patologie e definendo inutile un ulteriore studio Pass. Ed è qui che si inizia a parlare di critiche al sistema di farmacovigilanza europeo. Il Cochrane Nordic, un centro indipendente che fa parte della Cochrane Collaboration, ha deciso di sporgere un reclamo al Mediatore europeo per cattiva amministrazione da parte dell’Ema, responsabile, a loro dire, di non aver valutato in modo trasparente i dati sulla sicurezza dei vaccini per l’hpv, aver tacitato nel rapporto finale le differenti visioni sull’argomento emerse all’interno delle riunioni del Prac, aver dato troppo peso ai dati forniti dalle case farmaceutiche e troppo poco a quelli presentati da ricercatori come Brinth. I ricercatori danesi non sono quindi sostenitori del legame tra vaccini e malattie autoimmuni, ma ritengono che l’Ema abbia liquidato con troppa superficialità l’argomento dimostrando i limiti dell’attuale sistema di farmacovigilanza, che non garantisce la dovuta trasparenza alle decisioni dell’agenzia.

Una posizione supportata anche da Silvio Garattini, che risulta tra i Supporter del Complaint del Cochrane Nordic. “Occorre sempre ricordare che stabilire un rapporto di causa ed effetto è molto spesso complicato e proprio per questa ragione richiede ricerca scientifica”, chiarisce Garattini. “Infatti il vaccino contro il papilloma virus, come tutti gli altri vaccini, è efficace nel prevenire una specifica infezione, ma non previene tutte le altre malattie infettive e non che possono insorgere anche nei soggetti non vaccinati. La lettera scritta dalla Cochrane Nordic ha proprio lo scopo di chiedere all’Agenzia europea dei farmaci di rendere noti gli effetti tossici e di spiegare perché molti di questi effetti sono indipendenti dalla somministrazione del vaccino. Solo questa continua comunicazione e una trasparenza nella raccolta e valutazione dei dati può permettere ai cittadini di avere fiducia negli enti che regolano il commercio dei farmaci”.

Via: Wired.it

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