Emofilia in aumento, ma si vive meglio

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(Foto via Pixabay)

Emofilia in aumento, ma la qualità della vita migliora. A dirlo sono i dati del Registro nazionale delle Coagulopatie Congenite 2015 dell’Istituto Superiore di Sanità, diffusi in anteprima da OMAR – Osservatorio Malattie Rare in occasione dell’incontro “Emofilia: generazioni a confronto” organizzato a Roma per la XIII Giornata Mondiale Emofilia, con il contributo non condizionato di Sobi.

L’emofilia in Italia colpisce circa 5mila pazienti (4.879), di cui 4mila di tipo A e quasi mille (859) di tipo B, un aumento, rispetto allo scorso anno, di oltre 150 persone. Il Registro Nazionale delle Coagulopatie Congenite nasce dalla collaborazione nel 2005, tra il Reparto di Metodologie Trasfusionali del Dipartimento di Ematologia, Oncologia e Medicina Molecolare dell’ISS e l’Associazione Italiana dei Centri Emofilia (AICE), responsabile della piattaforma online che permette il flusso delle informazioni, con la partecipazione attiva della Federazione delle Associazioni Emofilici (FedEmo). Il Registro è finalizzato alla diffusione dei dati epidemiologici sulla prevalenza delle diverse coagulopatie in Italia, sulle complicanze delle terapie e sui fabbisogni di farmaci necessari al trattamento.

“L’emofilia – ha dichiarato Angelo Claudio Molinari – Direttore Centro Regionale di riferimento per le malattie emorragiche del IRCCS Giannina Gaslini di Genova – è una malattia rara dovuta ad un difetto nella coagulazione del sangue. Nello specifico, l’emofilia è causata dalla mancanza dei fattori VIII (emofilia A) o IX (emofilia B) della coagulazione e nel 75% dei casi è familiare. La carenza dei fattori VIII o IX porta come conseguenza che anche il minimo trauma con danno vascolare  non sia seguito dalla normale formazione di un coagulo efficace e dia luogo a una emorragia. I sintomi della emofilia A e B sono molto simili, e solo con i dosaggi dei fattori VIII e IX il medico può differenziarle  questi due tipi di emofilia. Questa differenza è però importante ai fini della terapia, perché determinerà quale dei due fattori bisognerà somministrare alla persona affetta.”

Fino agli anni ’70, essere emofilico significava vivere con limiti e barriere che andavano dalla difficoltà a svolgere le più comuni attività quotidiane alle difficoltà di inserimento nel lavoro, a scuola e nella vita sociale. Negli anni successivi, le terapie migliorarono ma lo scandalo del sangue infetto e dei suoi derivati in circolazione negli anni ‘80 coinvolse anche gli emofilici, con alta percentuale di morbilità e mortalità, contribuendo successivamente a creare un sentimento di diffidenza e paura della comunità emofilica verso i nuovi approcci farmacologici. Oggi, grazie alla profilassi e alle nuove terapie, le nuove generazioni di emofilici ‘i millennials’, riescono ad affrontare con più serenità la malattia. La qualità della loro vita è completamente diversa da quella dei loro padri, dei loro zii e dei loro nonni: possono praticare sport, viaggiare e vivere una vita senza rischi.

“In seguito all’assoluta sicurezza dei metodi di produzione dei prodotti  ricombinanti che si utilizzano nella terapia dell’emofilia (Fattore VIII e Fattore IX) – ha dichiarato Adele Giampaolo, Dipartimento di Ematologia, Oncologia e Medicina Molecolare Reparto di Medicina Trasfusionale Istituto Superiore di Sanità – il rischio di contrarre infezioni ematogene nei pazienti emofilici è praticamente nullo, e anche i prodotti plasmaderivati hanno un alto grado di sicurezza virale.  L’ultima infezione da HIV in un paziente emofilico è avvenuta 30 anni fa. Anche l’aspettativa di vita è diventata paragonabile a quella della popolazione generale. Al momento, l’evento avverso più importante della terapia sostitutiva è rappresentato dall’insorgenza di anticorpi contro il Fattore VIII e Fattore IX somministrati, che colpisce in particolar modo i pazienti più piccoli.”

I nuovi farmaci approvati da poche settimane mantengono più a lungo i livelli di fattore della coagulazione necessari ad evitare emorragie: ciò permette di ridurre il numero delle infusioni endovenose, passando dalle due-tre settimanali fino a una ogni cinque giorni nell’emofilia A e fino a una ogni 10 giorni o anche più nella B. Questo significa evitare, rispetto al passato, oltre 100 iniezioni all’anno.

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