Ecco dove nasce l’Alzheimer

(credits: Luca Rossato/Flickr CC)

Sebbene non ci sia ancora una cura per l’Alzheimer, la comunità scientifica continua a cercare di comprendere più profondamente l’origine e i meccanismi del suo sviluppo. E ora, uno studio dei ricercatori dell’Università Campus Biomedico, del Consiglio nazionale delle ricerche e della Fondazione Irccs Santa Lucia ha compiuto un ulteriore passo avanti per svelare i meccanismi alla base di una malattia che colpisce circa mezzo milione di italiani over 60: secondo il team di scienziati, coordinati da Marcello D’Amelio, docente di fisiologia umana e neurofisiologia al Campus Biomedico, l’origine dell’Alzheimer non sarebbe da ricercare, come creduto finora, nell’ippocampo, regione cerebrale coinvolta nelle funzioni della memoria, bensì nella degenerazione della porzione del mesencefalo, una parte profonda del cervello, coinvolta nella regolazione del tono dell’umore. Si tratta di studi sui topi, quindi si deve ancora procedere con molta cautela.

Come spiegano i ricercatori sulla rivista Nature Communications, questa parte del cervello e in particolare l’area tegmentale ventrale, produce la dopamina, il neurotrasmettitore responsabile di alcuni meccanismi di comunicazione tra i neuroni: un danneggiamento di questa regione, dunque, comporterebbe un arresto nella produzione di dopamina e, di conseguenza, il malfunzionamento dei neuroni. “Abbiamo effettuato un’accurata analisi morfologica del cervello – spiega all’Adnkronos D’Amelio – e abbiamo scoperto che quando vengono a mancare i neuroni dell’area tegmentale ventrale, che sono quelli che producono la dopamina, il mancato apporto di questo neurotrasmettitore provoca il malfunzionamento dell’ippocampo, anche se le cellule di quest’ultimo restano intatte”.

Identificando la causa del malfunzionamento dei neuroni, che con il tempo provoca la perdita di memoria, il team italiano è così riuscito a determinare l’“effetto domino”: la morte delle cellule dell’area tegmentale ventrale che producono dopamina causa il mancato arrivo di questo neurotrasmettitore nell’ippocampo, generando così la perdita dei ricordi. Per confermare la loro ipotesi, i ricercatori hanno somministrato a topi di laboratorio due terapie con lo scopo di ripristinare i livelli di dopamina: una con L-Dopa, un precursore della dopamina, e l’altra con un inibitore della degradazione del neurotrasmettitore. In entrambi i casi il team ha osservato il recupero completo della memoria e della motivazione.

In questo modo i ricercatori hanno osservato anche un ripristino della vitalità. L’area tegmentale, quindi, non rilascerebbe il neurotrasmettitore dopamina solo nell’ippocampo, ma anche nel cosiddetto nucleus accumbens, una zona legata alla gratificazione e ai disturbi dell’umore. “con la degenerazione dei neuroni che producono dopamina, aumenta anche il rischio di andare incontro a progressiva perdita di iniziativa, indice di un’alterazione patologica dell’umore”, spiega D’Amelio. I cambiamenti del tono dell’umore, dicono i ricercatori, non sarebbero, come pensato finora, una conseguenza della comparsa dell’Alzheimer ma, piuttosto un campanello d’allarme dell’inizio della malattia. I deficit di memoria e le tendenze depressive, quindi andrebbero a braccetto.

Ora, il team di ricercatori ha in programma di sviluppare tecniche neuro-radiologiche ancora più efficaci per riuscire a svelare altri segreti dell’area tegmentale ventrale, parte profonda del sistema nervoso centrale, particolarmente difficile da indagare a livello neuro-radiologico. Inoltre, poiché anche l’insorgenza del Parkinson è causata da un malfunzionamento dei neuroni che producono la dopamina, anche questa malattia potrebbe beneficiare di future terapie che prevengano la morte di questi neuroni.

Via: Wired.it

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