Tumori del fegato: qualità di vita migliore con le microsfere

microsfere
(Credit: Sirtex)
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(Credit: Sirtex)

Qualità della vita superiore significativa riduzione dell’insorgenza di effetti avversi con efficacia e sicurezza pari a quelle delle terapie convenzionali. Sono questi i risultati che si possono ottenere nel trattamento del carcinoma epatocellulare (Hcc) non resecabile attraverso la radioembolizzazione (o Sirt, Selective Internal Radiation Therapy), un approccio terapeutico che bombarda il tumore al fegato dall’interno grazie a microscopiche sfere che rilasciano localmente potenti radiazioni beta. I dati, presentati per la prima volta all’International Liver Congress 2017 tenutosi dal 19 al 23 aprile scorsi ad Amsterdam, emergono dal trial clinico SARAH, che ha confrontato gli effetti della Sirt con quelli della terapia chemioterapica sistemica con sorafenib, l’attuale approccio d’elezione per questo tipo di tumore. I pazienti trattati con la Sirt rispetto a quelli che hanno ricevuto sorafenib, in poche parole, non vivono di più ma vivono meglio. Un risvolto tutt’altro che banale, se si considera che le persone affette da Hcc in stadio avanzato, in generale, non hanno prospettive di guarigione.

Il carcinoma epatocellulare. Il carcinoma epatocellulare, o Hcc, è la tipologia di tumore primario del fegato più comune e causa oltre 670mila morti all’anno in tutto il mondo. In Italia il numero di decessi imputabili a questo killer silenzioso sono circa 8.300 ogni anno. Un killer silenzioso, dicevamo, perché spesso i sintomi della malattia compaiono quando il tumore è ormai in stadio avanzato e terapie potenzialmente risolutive (quelle chirurgiche) non sono più possibili. Il fattore di rischio principale che predispone allo sviluppo di Hcc è la cirrosi epatica, che insorge come conseguenza dell’abuso di alcol, delle infezioni da parte dei virus dell’epatite B e C o della malattia del fegato grasso non alcolica (Nash), un disturbo spesso connesso all’obesità e dunque in ascesa soprattutto nel mondo occidentale. L’Hcc colpisce soprattutto gli uomini e la sua incidenza aumenta all’avanzare dell’età.

Le terapie. In base allo stato di avanzamento della malattia, esistono diversi approcci terapeutici. Le uniche alternative che oggi danno una prospettiva realistica di cura sono quelle chirurgiche (resezione, ablazione e trapianto di fegato), che però non sono applicabili quando il tumore è in stadio avanzato. In questi casi – che corrispondono alla maggioranza dei pazienti con Hcc – sono disponibili terapie con lo scopo di fermare la progressione della malattia, ridurre i tumori, alleviare i sintomi e prolungare la vita. Tra queste si annoverano sorafenib e Sirt. Mentre sorafenib è un chemioterapico sistemico, Sirt costituisce un approccio innovativo alla lotta contro il tumore primario del fegato: una radioterapia interna mirata contro le cellule cancerose che limita i danni al tessuto sano e all’organismo. Protagoniste di questa strategia sono delle microsfere di resina – chiamate Sir-Spheres Y-90 – caricate di ittrio-90, un elemento radioattivo. Le microsfere vengono iniettate nella sede del tumore attraverso un catetere che passa per l’arteria epatica e una volta in situaffamano” il tumore interferendo con l’apporto di sangue e rilasciano localmente per due settimane potenti radiazioni beta in grado di contenere o ridurre le dimensioni della massa tumorale.

SARAH. Proprio sorafenib e Sirt sono gli approcci confrontati dallo studio SARAH. Coordinato da Valerie Vilgrain del dipartimento di radiologia dell’Hopitaux de Paris, SARAH è un trial clinico europeo che ha coinvolto a partire dal 2011 più di 400 pazienti affetti da Hcc in stadio avanzato provenienti da 25 centri clinici di tutta la Francia. Scopo dichiarato dello studio era quello di verificare, a parità di sicurezza, un’eventuale influenza positiva della terapia mediante Sirt sulla sopravvivenza dei pazienti con Hcc avanzato non resecabile, rispetto a quella con sorafenib. Le analisi, però, hanno dimostrato che nei due gruppi di pazienti non esiste una differenza statisticamente significativa per quanto riguarda né i dati di sopravvivenza globale né quelli di sopravvivenza senza progressione della malattia. Tuttavia, esiste una marcata differenza nella frequenza e nella gravità degli effetti avversi nei pazienti trattati con la Sirt e in quelli trattati con sorafenib: pochi pazienti del gruppo Sirt hanno mostrato effetti collaterali connessi al trattamento, e, quando anche si sono manifestati, la loro gravità è risultata inferiore rispetto al gruppo sorafenib. Meno affaticamento, meno dolore addominale, nausea, vomito o infezioni con l’utilizzo di Sirt. E solo per citare alcuni degli effetti avversi. “Inoltre – precisa Vilgrain – abbiamo riscontrato come i tumori dei pazienti trattati con le Sir-Spheres abbiano risposto meglio alla terapia rispetto a quanto avviene con sorafenib, e come ci sia un minore rischio di progressione della malattia nel fegato”. Il risultato è che “procedere mediante la somministrazione delle Sir-Spheres induce una migliore tolleranza al trattamento e una migliore qualità della vita” sostiene Vilgrain, che aggiunge “Credo che queste considerazioni possano costituire in futuro un fattore critico per la scelta del trattamento di prima linea per questi pazienti”.

SARAH ha uno studio gemello, SIRveNIB, ancora in corso in 12 Paesi dell’area Asia-Pacifico. I dati di entrambe le sperimentazioni verranno inseriti in un’analisi prospettica che attribuirà maggiore peso statistico ai risultati e che potrebbe influenzare le future linee guida per il trattamento del carcinoma epatocellulare in stadio avanzato. “Non esiste un problema di disponibilità del trattamento” conclude Vilgrain “Tuttavia devono ancora essere effettuate analisi dei costi globali della terapie tenendo in considerazione tutti i diversi fattori, compreso il fatto che, a fronte di un trattamento economicamente meno vantaggioso, i pazienti necessiterebbero di meno giorni di ospedalizzazione sia per la somministrazione della terapia sia per ricoveri conseguenti agli effetti avversi delle terapie convenzionali”.

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