Craving: come si indagano i sintomi delle dipendenze?

“So resistere a tutto tranne che alle tentazioni”. Oscar Wilde, attraverso uno dei suoi personaggi più iconici, l’edonista Dorian Gray, dava voce al suo tormentato rapporto con il controllo degli impulsi, in particolare quelli legati all’abuso di sostanze (risaputa è la dipendenza da oppio dell’autore irlandese). Nel corso di decenni di studi nel mondo delle dipendenze, gruppi di ricerca di tutto il mondo hanno identificato, a livello comportamentale e successivamente fisiologico, un elemento comune alla stragrande maggioranza di esse: lo spasmodico desiderio di assunzione.

Il desiderio di assunzione, il cosiddetto craving, è un meccanismo patologico slegato dalla dipendenza fisica in quanto tale, ed è stato a lungo studiato in quanto sottostà a meccanismi neurofisiologici distinti, prestandosi così potenzialmente ad approcci terapeutici dedicati. Sono diverse, tuttavia, le problematiche legate allo studio di tale meccanismo, che ne hanno fatto per anni un territorio di ricerca oscuro, in cui scienziate e clinici si sono mossi a tentoni: la prima di esse è legata alla difficoltà di diagnosi, dovuta a diversi fattori correlati tra loro.

Il craving è infatti innanzitutto un sintomo soggettivo, e nella pratica clinica può essere facilmente sottostimato (i pazienti possono, banalmente, negare di averlo provato, possono non essere in grado di riconoscerlo a causa dell’alterato stato psicofisico ed emozionale legato all’astinenza o, ancora, possono dimenticarsi di averlo sperimentato). La seconda problematica, legata a stretto giro con la soggettività del craving, è la sua difficile quantificazione, dovuta alla mancanza di validi metodi di misurazione psicologica, comportamentale e funzionale di esperienze così poco oggettive.

Infine, vista la natura di questo impulso, è risultato pressoché impossibile definire un modello pre-clinico (cioè sviluppato a partire da studi effettuati su modelli animali) del craving: a differenza di altri aspetti legati al mondo delle dipendenze, è stato perciò difficoltoso identificare fattori di rischio e marcatori in grado di predire l’occorrenza del desiderio irresistibile in determinati pazienti, o in specifiche situazioni.

Negli ultimi anni lo sviluppo di tecnologie di imaging cerebrale sempre più precise ha tutta via permesso di colmare alcune delle lacune conoscitive e svelare così i meccanismi attraverso il quale il craving agisce. Il paradigma sperimentale maggiormente utilizzato per questo tipo di studi è quello cosiddetto cue-induced, ossia quello in cui ai partecipanti viene mostrato uno stimolo il desiderio compulsivo. Lo stimolo può essere un’immagine, un video, o l’oggetto del desiderio (e/o della dipendenza) stesso. In questo modo diversi gruppi di ricerca hanno associato lo stato di craving ad un’alterata attivazione di determinate aree cerebrali.

Ad esempio nello studio del craving da cocaina si è potuto osservare un aumento dell’attività del circuito limbico (in particolar modo dell’amigdala e della corteccia cingolata anteriore) associata ad una inibita attività dei gangli della base. Queste aree sono particolarmente importanti nella determinazione di comportamenti affettivi e nell’apprendimento di tipo emozionale: l’amigdala riveste un ruolo critico nell’apprendimento delle relazioni esistenti tra stimoli biologicamente significativi (cibo, dolore, partner sessuali) e i segnali che indicano la presenza di uno di questi stimoli. La corteccia cingolata anteriore, d’altro canto, riveste diverse funzioni, tra cui quella di regolatore dell’umore e della responsività emozionale. Entrambe sono poi connesse, a livello anatomico e si suppone anche funzionale, al nucleo accumbens, una regione cerebrale cruciale nei processi di reinforcement di molte sostanze d’abuso e nel circuito della ricompensa naturale (in molti animali, uomo incluso).

L’identificazione dei circuiti neurali coinvolti ha così aperto la strada ad approcci terapeutici di tipo farmacologico, che andassero ad agire sui tanti neurotrasmettitori e modulatori attivati nel craving; ciononostante, i risultati sono stati spesso contrastanti e senza dubbio questo sistema rimane uno dei più difficili da affrontare e trattare, all’interno del complesso e variegato mondo delle terapie per l’abuso di sostanze.

Proprio il craving, e i diversi approcci d’indagine legati ad esso, saranno oggetto di discussione della Scuola di Neuroetica organizzata dal Laboratorio Interdisciplinare per le Scienze Naturali e Umanistiche della Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA,Trieste). Durante la tre giorni di incontri, realizzata in collaborazione con la Società Italiana Tossicodipendenze, la Società Italiana di Neuroetica e Filosofia delle Neuroscienze, e la Società Italiana di Storia, Filosofia e Studi Sociali della Biologia e della Medicina, si discuterà della natura epistemologica del desiderio irresistibile, delle sue basi neurofisiologiche e cognitive, dei possibili approcci terapeutici e delle sue implicazioni etiche e giuridiche. Potete trovare maggiori informazioni sul sito della scuola.

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