Il ruolo dei globuli bianchi nello sviluppo dell’Alzheimer

    I neutrofili, un particolare tipo di globuli bianchi fondamentali per combattere infezioni batteriche e fungine, potrebbero svolgere un ruolo inaspettato nella genesi dell’Alzheimer, e nel declino cognitivo provocato dalla patologia. A dimostralo è uno studio dell’Università di Verona pubblicato su Nature Medicine, che oltre a rappresentare un importante contributo per la conoscenza dei meccanismi che provocano lo sviluppo della patologia, identifica anche un nuovo possibile approccio farmacologico. Si tratta dei cosiddetti farmaci anti-integrine, molecole che attaccano una proteina chiamata integrina Lfa-1, presente sulla membrana cellulare dei neutrofili e fondamentale per l’induzione dell’Alzheimer.

    In tutte le malattie infiammatorie, un processo fondamentale è rappresentato dalla migrazione dei globuli bianchi dai vasi sanguigni nei tessuti, dove si sviluppa il processo patologico. Mentre nelle infezioni questo processo è essenziale per la difesa dell’organismo dall’agente patogeno, nel caso delle malattie infiammatorie sterili, non dovute ad infezioni, la migrazione di queste cellule del sistema immunitario ha un ruolo patologico e provoca un importante danno tessutale. Un fenomeno che i ricercatori veronesi hanno riscontrato anche in pazienti che soffrono di Alzheimer.

    I ricercatori si sono focalizzati sui neutrofili, i globuli bianchi più numerosi nel sangue. “E’ stato scoperto che i neutrofili sono coinvolti nell’induzione della patologia in modelli sperimentali di Alzheimer ed è stata svelata la presenza di neutrofili nel tessuto cerebrale proveniente da autopsie effettuate su pazienti con Alzheimer”, spiega Gabriela Constantin, professoressa di Patologia Generale dell’Università di Verona e coordinatrice del team che ha realizzato lo studio. “Lo studio ha inoltre identificato l’integrina LFA-1 (Leukocyte Function-Associated Antigen-1), una proteina presente sui neutrofili, in grado di mediare l’adesione di questi globuli bianchi alla parete dei vasi sanguigni e la loro successiva migrazione nel cervello”.

    Lavorando su modelli sperimentali della malattia, i ricercatori hanno quindi dimostrato la possibile efficacia terapeutica dei farmaci che bloccano l’integrina, o anti-integrine, molecole che potrebbero essere sperimentate rapidamente sui pazienti perché sono già stati testati per il trattamento di diverse patologie autoimmuni.

    “Il blocco terapeutico dell’LFA-1 è stato in grado di ridurre notevolmente la formazione di aggregati di materiale proteico formato da amiloide e tau che caratterizzano la malattia dal punto di vista neuropatologico e di impedire lo sviluppo del deficit cognitivo in modelli sperimentali di malattia di Alzheimer”, continua Constantin. “Di particolare importanza per un’eventuale applicazione clinica è la dimostrazione in questo studio scientifico che la terapia di breve durata in grado di interferire con la funzione dei neutrofili ha un effetto benefico prolungato sulle funzioni cognitive se applicata nella fase iniziale di malattia. Questo suggerisce che l’intervento terapeutico precoce proposto dal gruppo veronese possa essere molto efficace sulla malattia anche quando somministrato per tempi brevi e quindi con meno possibilità di sviluppo di effetti collaterali”.

    Riferimenti: Neutrophils promote Alzheimer’s disease–like pathology and cognitive decline via LFA-1 integrin; Gabriela Constantin et al.; NAture Medicine doi:10.1038/nm.3913

    Credits immagine: via Pixabay

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