Staminali dalla placenta per curare il cuore

    Dalla placenta umana possibile ricavare cellule staminali di origine fetale che sono in grado di curare il danno da infarto miocardico. A dimostrarlo è stato il team di ricercatori diretto da Massimiliano Gnecchi, dell’Università di Pavia, in due studi sulle riviste Stem Cells e Stem Cells Translational Medicine. Si tratta di un’importante scoperta nell’ambito della medicina rigenerativa traslazionale che permette cioè di essere trasferita in modo rapido nell’ambito clinico creando nuove tecniche diagnostiche e terapeutiche avanzate.

    Considerando che l’infarto rappresenta una delle principali cause di morte e di disabilità nei paesi occidentali, la scoperta è potenzialmente di grande rilevanza. Inoltre, poiché la placenta è un organo di “scarto” dopo il parto, il suo uso come fonte di staminali non suscita alcun problema di ordine etico; questo importante aspetto potrebbe accelerare il processo di applicazione all’uomo della scoperta pavese.

    Nello specifico le scoperte del team guidato da Massimiliano Gnecchi sono due. Il primo studio, accettato dalla rivista Stem Cells Translational Medicine, descrive appunto come si possa derivare dalla membrana amniotica della placenta cellule staminali che hanno una carta d’identità identica a quella delle più studiate staminali derivate dal midollo osseo d’individui adulti. Tuttavia queste cellule fetali hanno importanti vantaggi: essendo più giovani si moltiplicano più velocemente e soprattutto riescono a produrre più molecole che proteggono il cuore e molecole che favoriscono la formazione di vasi sanguigni indispensabili a nutrire il tessuto miocardico.

    Sono i così detti effetti paracrini delle cellule staminali, argomento in cui Gnecchi è leader a livello internazionale. Il gruppo pavese è riuscito addirittura a dimostrare che la sola somministrazione delle molecole prodotte da queste cellule riduce il danno da infarto e migliora la funzione del cuore in modello animale. I risultati di questo studio pongono quindi le basi per innovative terapie per la cura dell’infarto miocardico mediante utilizzo dei fattori prodotti dalle cellule staminali.

    Inoltre, i ricercatori pavesi hanno dimostrato che modificando le cellule staminali mediante piccole molecole chiamate microRna è possibile migliorarne la loro capacità di differenziare in cardiomiociti, i mattoni che costituiscono il cuore . In particolare, hanno identificato due microRna che, se somministrati contemporaneamente, sono in grado di aumentare fino a cinque volte il differenziamento in cardiomiciti delle cellule staminali, comprese le fetali derivate da placenta. E’ l’essenza della medicina rigenerativa: la possibilità di sostituire la parte di cuore morta in seguito ad infarto con nuovo tessuto cardiaco generato dalle staminali.

    La possibilità di poterlo fare con cellule fetali che non suscitano problemi etici rende la scoperta ancora più interessante. La speranza di Gnecchi è che questi risultati, riportati sulla prestigiosa rivista Stem Cells, possano aprire la strada verso processi rigenerativi del cuore più efficaci che in passato e a potenziali terapie per curare non solo l’infarto ma anche lo scompenso cardiaco, altra malattia cardiaca molto diffusa, invalidante e gravata da altissima mortalità.

    Riferimenti:

    Conditioned Medium From Human Amniotic Mesenchymal Stromal Cells Limits Infarct Size and Enhances Angiogenesis; Patrizia Danieli, Giuseppe Malpasso, Maria Chiara Ciuffreda, Elisabetta Cervio, Laura Calvillo, Francesco Copes, Federica Pisano, Manuela Mura, Lennaert Kleijn, Rudolf de Boer, Gianluca Viarengo, Vittorio Rosti, Arsenio Spinillo, Marianna Roccio, Massimiliano Gnecchi; Stem Cells e Stem Cells Translational Medicine

    Combination of miRNA499 and miRNA133 Exerts a Synergic Effect on Cardiac Differentiation; Federica Pisano, Claudia Altomare, Elisabetta Cervio, Lucio Barile, Marcella Rocchetti, Maria Chiara Ciuffreda, Giuseppe Malpasso, Francesco Copes, Mura Manuela, Danieli Patrizia, Gianluca Viarengo, Antonio Zaza, Massimiliano Gnecchi; Stem Cells DOI: 10.1002/stem.1928

    Credits immagine: via Pixabay

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