Caso mais

Il 17 marzo 2006 la Corte Costituzionale si è pronunciata sulla legge 5/2005 che, in accordo con la raccomandazione comunitaria 556/2003, regola in Italia la coesistenza tra le diverse forme di agricoltura: transgenica, convenzionale e biologica. Secondo il testo della legge, le norme generali per la coesistenza devono essere fissate dal ministro dell’Agricoltura d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni, servendosi delle indicazioni di un comitato ad hoc di esperti nominati da Ministero dell’Ambiente, Ministero delle Politiche Agricole e dalla stessa Conferenza. In linea con le regole generali, le Regioni avrebbero adottato i propri piani  sulla coesistenza e la legge prevedeva come misura transitoria il divieto di coltivazioni OGM nel nostro paese fino a quando non fossero stati adottati i piani regionali. Contro questa legge si era appellata la Regione Marche, ritenendo che la raccomandazione comunitaria non fosse vincolante e che la scelta di attuarla con un provvedimento urgente, senza un’ampia consultazione dei cittadini, fosse inopportuna, tanto più trattandosi di una materia legata all’agricoltura e quindi di competenza esclusiva delle singole Regioni.

Nella sentenza di cui sopra la Corte Costituzionale ha riconosciuto valido il principio della coesistenza affermato a livello europeo e ripreso nella legge italiana, e quindi l’idea che le coltivazioni OGM non vadano proibite ma che, piuttosto, gli Stati Membri debbano adottare apposite regole volte a garantire agli agricoltori, agli  operatori della filiera e ai consumatori la reale possibilità di scelta tra prodotti convenzionali, biologici e transgenici, nonché a impedire la contaminazione tra le filiere. Per contro, la Corte ha riconosciuto a ogni singola Regione il diritto di stabilire specifiche regole per la coesistenza delle diverse colture sul proprio territorio, essendo la disciplina dell’agricoltura, dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, di competenza esclusiva delle Regioni.

La sentenza della Corte Costituzionale apre quindi un vuoto normativo che necessita di essere colmato rapidamente, come caldamente raccomandato dalla stessa Commissione Europea. Ciascuna Regione dovrà adesso stabilire all’interno dei propri confini delle regole per evitare «contaminazioni» tra le diverse colture. In ogni caso, sarà necessario affrontare anche il problema della gestione delle aree di confine tra le Regioni, trovando  preventivamente un accordo che tuteli la libertà di tutti i cittadini.

L’intento di questo dossier, e in particolare di questo articolo, è  quello di fornire ai lettori di Sapere alcune informazioni utili alla comprensione delle problematiche poste dalla coesistenza tra colture transgeniche, convenzionali e biologiche. Abbiamo scelto come caso di studio sulla coesistenza il mais che, tra le colture GM già autorizzate nella UE, è quella che ha più possibilità di essere coltivata in Italia. Dopo una breve introduzione, nel seguito si illustreranno le modalità di contaminazione potenziale e le misure utili per mitigarle.

I problemi della coesistenza
Alcune varietà di mais geneticamente modificate per essere resistenti ai lepidotteri (mais Bt) o tolleranti agli erbicidi (mais Ht) stanno per essere introdotte nel mercato europeo e quindi in Italia (1). Ciò pone una serie di problemi di natura economica e ambientale che possono derivare dalla eventuale contaminazione genetica del mais coltivato nelle filiere esistenti, siano esse convenzionali, biologiche o destinate alla produzione di sementi. Al fine di gestire questi aspetti della coesistenza tra le diverse filiere, sono in discussione o sono già stabilite per legge delle soglie di tolleranza di materiale geneticamente modificato nelle produzioni non GM. Per gli alimenti e
per i mangimi, i regolamenti europei 1829/2003 e 1830/2003 prevedono la soglia dello 0,9% – al di sopra della quale scatta l’obbligo di etichettatura come prodotto contenente OGM – e la tracciabilità. Per le produzioni di mais GM-free, comprese le produzioni biologiche, potrebbe invece essere adottata una soglia di 0,1 per cento, che è la risoluzione pratica dei comuni metodi di analisi quantitativa.

La coesistenza tra le diverse produzioni di mais potrà realizzarsi nella misura in cui sarà possibile mantenere le differenti filiere isolate geneticamente in modo che nessuna contaminazione possa verificarsi oltre i limiti stabiliti. Ma è realmente possibile separare e mantenere segregate le diverse filiere produttive e garantire così il diritto di libera scelta dei consumatori e dei produttori, principio base della coesistenza tra prodotti GM e non GM? A tali quesiti alcuni autorevoli studi [1] hanno risposto che la coesistenza tra filiere di mais GM e non GM non è sempre possibile e dipende da una serie di condizioni, come, per esempio, dalle soglie di tolleranza da rispettare, dalla quota di mais GM sul totale della superficie coltivata a mais di un’area determinata, dalle tipologie aziendali e dai sistemi agrari considerati, e, soprattutto, dalle misure adottate per il controllo della contaminazione.

Modalità di contaminazione
Comprendere le modalità di contaminazione accidentale tra differenti varietà di mais è necessario per definire le misure da adottare allo scopo di controllare la contaminazione stessa. Sono molti gli studi che individuano ed esaminano le «vie di contaminazione» tra mais GM e non GM. Dall’analisi dei dati di alcuni lavori [1, 2], per esempio, si evince facilmente che le tre principali modalità sono il flusso di geni (e transgeni) mediato da polline, il flusso di geni (e transgeni) mediato da semi e la commistione involontaria dei raccolti e dei prodotti. Vediamo più nel dettaglio come avvengono questi tre tipi di contaminazione potenziale.

Flusso di geni (e transgeni) mediato da polline. Il mais, pur essendo capace di auto-fecondazione, è una pianta essenzialmente allogama: in condizioni di coltivazione in campo aperto, almeno il 95 per cento dei semi prodotti è il risultato di impollinazione incrociata tra piante diverse [3]. Il polline del mais, disperso dal vento sotto forma di nube, è capace di mantenersi vitale per alcuni giorni in condizioni favorevoli di tempo fresco e umido, o solo poche ore in condizioni sfavorevoli di tempo caldo e secco [4]. I granuli pollinici, quindi, possono essere trasportati senza perdere vitalità anche molto lontano dal campo emittente e produrre ibridi in un’altra coltivazione di mais. In generale, l’area di maggiore incidenza della fecondazione
incrociata è posizionata sottovento rispetto alla coltura emittente. Oltre al vento, sono la dimensione e la forma del campo emittente a determinare le diverse aree di dispersione pollinica. Più grande è il campo e maggiori sono la quantità di polline disperso e il raggio di diffusione. I granuli, inoltre, si diffondono principalmente nella direzione del vento e secondariamente lungo il lato maggiore del campo emittente [5].

Molti studi [2] riportano che la maggior parte (98-99 per cento) di impollinazione incrociata, e quindi di contaminazione genica, si esaurisce entro poche decine di metri dal campo sorgente. In un altro studio molto citato [6] gli autori hanno esaminato la distanza, la direzione e la densità della dispersione del polline di mais Bt in diversi campi coltivati in Canada: i risultati dimostrano che la maggior parte dei granuli pollinici cadono al suolo entro poche decine di metri dal margine del campo emittente, in particolare l’85 per cento entro i primi 5 metri, il 98 per cento entro 25-50 metri. D’altro canto, è ampiamente dimostrato che l’impollinazione incrociata nel mais si verifica anche molto oltre i cento metri di distanza dal campo sorgente. In effetti, già in uno studio di Jones e Brooks del 1950, citato in alcuni lavori successivi [7, 5, 2] è riportato che la percentuale di ibridazione media era ancora 1,6 per cento a 200 metri dal campo di mais emittente e si manteneva allo 0,2 per cento
a 500 metri di distanza.

Molti altri studi più recenti confermano anche per il mais il tipico modello di dispersione del polline descrivibile mediante una curva esponenziale negativa leptocurtica (2) la cui lunga coda dimostra che bassi livelli di ibridazione possono verificarsi anche su distanze di alcune centinaia di metri [8]. Non ultimo, uno studio condotto nel Regno Unito nell’ambito del programma FSE (Farm-Scale Evaluation) sul flusso genico da campi di mais GM (evento T25) contenente il gene pat che conferisce tolleranza all’erbicida glufosinato ammonio, arriva alla seguente conclusione: in generale, il livello di flusso genico diminuisce molto rapidamente (con la distanza) nei primi 20 metri dal campo di mais GM, mentre declina sempre più lentamente per distanze maggiori [9]. In effetti, la produzione di ibridi di mais per impollinazione incrociata è stata indagata e dimostrata fino a 800 metri di distanza dalla sorgente del polline [3].

Come si vede dal grafico 1, i livelli di contaminazione, pur mantenendosi bassi, potrebbero superare in molti casi le soglie di tolleranza fissate, in discussione o accettate di fatto (0,9 – 0,1 per cento) anche a notevoli distanze.

Inoltre, bisogna considerare che l’impollinazione incrociata potenziale può verificarsi anche molto oltre gli 800 metri di distanza, come è dimostrato dai risultati di alcuni studi basati su considerazioni e
modelli teorici. In particolari condizioni climatiche, il polline vitale di mais può essere trasportato da correnti d’aria d’alta quota (800-2000 metri) per cadere al suolo anche a dozzine di chilometri dalla sorgente [10]. Per esempio, in uno studio che considerava la velocità media del vento durante la fioritura in un’area priva di qualsiasi barriera (sia artificiale che naturale), i ricercatori hanno stimato che il polline di mais nel suo tempo di vita (considerato di due ore) può percorrere 32 chilometri [11]. Appare evidente come ciò abbia forti implicazioni sull’uso delle distanze per garantire la coesistenza.

Bisogna inoltre ricordare che la percentuale di impollinazione incrociata, indipendentemente dalla distanza della sorgente di polline, è sempre maggiore nelle prime file esterne del campo di mais ricevente, mentre cala rapidamente procedendo verso il suo centro [12]. Tale fenomeno, definito «effetto margine», è così importante che, in alcuni casi, fino al 40 per cento del valore totale di impollinazione incrociata si verifica nelle prime dieci file più vicine alla sorgente del polline [7].

Un altro fattore che esercita un’influenza fondamentale sul valore potenziale d’impollinazione incrociata è la sincronizzazione dei tempi di fioritura. Se il polline viene prodotto da una coltura di mais (emittente) contemporaneamente alla maturazione dei fiori femminili di un’altra coltura (ricevente), si ha il massimo di sovrapposizione temporale dei tempi di fioritura delle due colture. La perfetta coincidenza dei tempi comporta il massimo valore di fecondazione incrociata potenziale (posti uguali gli altri fattori). Al contrario, a diversi gradi di sfasatura dei tempi di fioritura corrispondono diversi e anche drastici ridimensionamenti nei valori dell’impollinazione incrociata [7, 13].

Ricapitolando, l’impollinazione incrociata potenziale tra varietà di mais GM e non GM mediata da polline è notevolmente favorita dal verificarsi delle seguenti condizioni: colture che sono adiacenti e confinanti lungo il lato maggiore, coltura GM di superficie maggiore e posizionata sopravento rispetto alla coltura non GM, periodo di fioritura delle due coltivazioni perfettamente sincronizzato. Quando tali condizioni si verificano contemporaneamente, si delinea lo
«scenario del caso peggiore», quello che comporta la massima contaminazione possibile.

Flusso di geni (e transgeni) mediato da semi. Il seme del mais non ha «dormienza» (3) e non è capace di sopravvivere alle basse temperature, ragion per cui solo occasionalmente e in condizioni climatiche molto miti, produce rigerminanti nell’anno successivo alla coltivazione. Di conseguenza, nelle condizioni climatiche europee e dell’Italia centro-settentrionale non esistono problemi sostanziali di flusso genico mediato da semi rigerminanti tra coltivazioni di mais che si succedono nello stesso campo [14]. Piuttosto, sono le seminatrici usate per l’impianto di una coltivazione di mais non GM che possono causare la contaminazione se, dopo averle usate con sementi di mais GM, non vengono accuratamente pulite. In effetti, l’uso di sementi contaminate nell’impianto di una coltura di mais convenzionale o biologica costituisce il rischio principale nel contesto della produzione maidicola italiana, caratterizzata da piccole aziende
che usano macchine e mezzi gestiti in conto terzi [15]: l’inquinamento genetico potrà incidere pesantemente sul grado di contaminazione del prodotto finale, soprattutto se la fitness del mais GM risulta maggiore della fitness della varietà non GM. La contaminazione dovuta all’uso di sementi inquinate comporta una rilevante produzione di materiale GM sia nella granella raccolta che, soprattutto, negli insilati di trinciato ottenuto dalla pianta di mais intera.

Commistione involontaria dei raccolti e dei prodotti. La commistione involontaria tra granella di mais GM e granella di mais non GM può avvenire sia durante la raccolta sia nelle diverse fasi di manipolazione successiva. Come abbiamo visto per le seminatrici, si ha contaminazione quando una macchina raccoglitrice già usata per la raccolta della granella di mais GM viene impiegata senza alcuna pulizia per la raccolta di mais non GM. Per lo stesso motivo, i rimorchi delle macchine agricole usati per i trasporti della granella e gli impianti di prima trasformazione e stoccaggio, come gli essiccatoi e i
silos, possono essere causa di commistione accidentale. Tutto ciò ha maggiore probabilità di verificarsi in contesti come quello italiano dove, come abbiamo ricordato, l’uso in conto terzi di macchine e quello di impianti in forma associata sono molto diffusi.

Le contromisure
Misure per limitare il flusso genico mediato da polline. Le tecniche agricole più consigliate e più attuabili per minimizzare la frequenza di impollinazione incrociata tra campi di mais GM e non GM coltivati contemporaneamente nella medesima area agricola, sono principalmente tre: distanze di separazione dei campi, coltivazioni tampone, sfasamento dei tempi di fioritura. Separare i campi è la misura comunemente adottata nei sistemi segregati per contenere al di sotto di determinati valori soglia il flusso genico mediato da polline. I valori delle distanze minime sono i parametri più studiati. Tali distanze possono essere ridotte, anche notevolmente, mantenendo un prefissato livello di impollinazione incrociata, se fra il campo emittente e quello ricevente si interpone una fascia di «coltivazione tampone» di mais. Il meccanismo di azione è basato sulla capacità delle piante di mais incluse nella fascia di intercettare
buona parte del polline transgenico emesso dalla coltura GM e di rilasciare a loro volta grandi quantità di polline in prossimità del campo non GM [16].

Le coltivazioni tampone di mais sono relativamente efficaci. Per esempio, nelle seconde cinque file, la frequenza di impollinazione incrociata risulta ridotta del 50 per cento rispetto al valore rilevato nelle prime cinque. Se si considera una fascia tampone composta da 15 file, il valore di impollinazione incrociata si riduce al 25 per cento del valore misurato nelle prime 5 file esterne [7]. A conclusioni simili giungono anche altri ricercatori [1] che sottolineano come, raccogliendo separatamente dal resto del raccolto fasce marginali di varia ampiezza, si può diminuire il grado di contaminazione del raccolto non GM.

Alcuni autori stimano che una fila di mais come coltivazione tampone equivale a circa 10 metri di separazione con suolo nudo e senza ostacoli alla dispersione del polline [16, 17]. Altri [7] suggeriscono che, in un range da 0 a 200 metri, una fila di mais tampone equivale a circa 12 metri di distanza in campo aperto.

In conclusione, nel caso del mais Bt, le eventuali fasce tampone intorno alle coltivazioni potrebbero essere considerate delle «zone rifugio» consigliate al fine di gestire la potenziale insorgenza di resistenza nei lepidotteri nocivi. Di seguito sono riportati alcuni tra i più importanti studi finalizzati a stabilire le distanze di separazione. Il lavoro di Ingram del 2000 [7] costituisce uno dei primi studi realizzati nel Regno Unito per il MAFF (Ministry of Agricolture Fisheries
and Food) direttamente finalizzati alla valutazione delle distanze minime necessarie a mantenere al di sotto di determinati valori soglia la contaminazione per impollinazione incrociata. L’autore indica distanze diverse a seconda delle soglie e del tipo di produzione. Per esempio, se il raccolto è rappresentato da granella, per mantenere un valore di impollinazione incrociata (riferita al campo intero) uguale o inferiore all’1 per cento, è necessaria una separazione minima di 200 metri; tale distanza si riduce a 130 metri se si raccoglie il mais per l’insilato, costituito da granella solo per il 50 per cento. Per rispettare la soglia dello 0,1 per cento, invece, non sono sufficienti neanche 500 metri di separazione nel caso di produzione di granella, mentre sono necessari 420 metri se si produce insilati.

Il gruppo di ricerca danese [18] analizza diversi studi relativi alle distanze di separazione tra campi di mais coltivati con varietà differenti. Considerando le caratteristiche del proprio paese, propone di adottare una distanza di 200 metri per rispettare la soglia dello  0,9 per cento e di 300 metri per la soglia dello 0,1 per cento, se l’impollinazione incrociata è la sola fonte di contaminazione. Altri autori [16] analizzano alcune ricerche condotte in diversi paesi europei su coltivazioni di mais commerciali o sperimentali di grande estensione. Secondo i risultati di questi studi, sono sufficienti circa 25 metri di distanza per mantenere la contaminazione della granella di mais convenzionale sotto la soglia dello 0,9 per cento. La soglia dello 0,1 per cento non viene presa in considerazione perché ritenuta non raggiungibile in nessun tipo di sistema di produzione agricola.
Lo studio di Ma et al. [13] sulle distanze di segregazione tra mais Bt e mais convenzionale conclude che è possibile produrre granella di mais non GM con una percentuale di contaminazione inferiore all’1 per cento, rimuovendo dal raccolto le file di mais esterne vicine al mais Bt, ricadenti in una fascia ampia circa 30 metri.
Negli ultimi anni, inoltre, diversi paesi europei hanno avviato vasti programmi di ricerca sperimentale con diversi obiettivi, tra cui quello di stabilire su basi scientifiche le condizioni per la coesistenza di coltivazioni di mais GM, convenzionali e biologiche o comunque GM-free. Di seguito riportiamo le conclusioni degli studi sulle distanze di separazione in alcuni dei suddetti programmi.
I risultati delle prove di campo condotte in Francia [19], nell’ambito
del programma operativo per la valutazione delle colture biotecnologiche (POECB), indicano che, nel caso peggiore, bastano 25 metri di distanza tra campi di mais Bt e isogenico per ottenere un grado di contaminazione accidentale sotto la soglia di tolleranza dello 0,9 per cento.

Uno studio condotto su larga scala in Germania [20] dimostra che a 20 metri di distanza dal margine del campo di mais Bt, la contaminazione accidentale dovuta a impollinazione incrociata risulta già sotto la soglia dello 0,9 per cento. Tutte le ricerche citate si possono riunire in due grandi gruppi: il primo costituito da studi che suggeriscono distanze dell’ordine delle centinaia di metri (in media 200), il secondo costituito da studi che propongono valori dell’ordine di poche decine di metri (tra i 20 e i 30). Nel grafico 2 è chiaramente raffigurato l’enorme divario tra i due gruppi. In realtà, i disegni sperimentali di chi propone distanze minime di 20-30 metri considerano superfici dei campi GM molto più piccole di quelle dei campi non GM circostanti, e l’interposizione di fasce di coltivazioni tampone di mais isogenico che ricoprono la distanza di separazione. Valutando che l’effetto di una fila equivale a circa 10 metri di distanza a suolo nudo, si può facilmente calcolare (com’è riportato nel grafico 3) che 200 metri di suolo nudo corrispondono, in efficacia, all’interposizione di 20 metri di fascia tampone (circa 18 file di mais non GM).

Va sottolineato che le misure proposte per controllare il flusso genico mediato da polline saranno probabilmente soggette a revisioni poiché derivano da studi che semplificano spesso in modo eccessivo la complessità dei sistemi di coltivazione commerciale reali. Per esempio, il disegno sperimentale adottato in molti casi prevede una sola sorgente di polline GM. In realtà, se nel prossimo futuro la coltivazione di mais GM si espanderà, è verosimile pensare che nella medesima area si potranno trovare contemporaneamente diversi campi coltivati anche con differenti varietà di mais GM, da ognuno dei quali diffonderà polline contenente i relativi transgeni. In tal caso, la dimensione e la disposizione relativa di questi campi influenzerà notevolmente le distanze di isolamento e/o altre misure necessarie per il controllo [21].

Misure per limitare il flusso genico mediato da semi. Come abbiamo visto, il flusso di transgeni può verificarsi anche a causa dell’uso di seminatrici non pulite adeguatamente. Il problema può essere gestito usando seminatrici dedicate per ogni tipo di filiera o procedendo a una accurata pulitura. Bisogna sottolineare che, in un contesto di ampio uso del «contoterzismo», è probabile che in molti casi tale misura non venga adottata. Per gestire il problema delle sementi contaminate si potrebbe prescrivere l’utilizzo di sementi espressamente certificate e garantite rispetto alla totale assenza di semi GM contaminanti, e un controllo di qualità basato su campionamenti e test in grado di escludere la presenza dei tratti GM più probabili (come Bt e Ht). Considerando il carattere aleatorio della contaminazione, tale controllo è sempre utile per mettersi al riparo da ogni eventualità di contaminazione involontaria delle sementi usate.
Infine, anche se le rigerminanti non costituiscono un problema in Italia, è possibile che qualche seme rigermini nell’anno successivo. Per questo motivo è consigliabile rispettare un intervallo di due anni prima di seminare mais non GM in un campo precedentemente coltivato con varietà GM.

Misure per evitare commistione involontaria dei raccolti e dei prodotti. L’utilizzo di macchine e impianti dedicati in modo esclusivo alla raccolta di ogni singola filiera produttiva costituisce una delle misure più efficaci per evitare la commistione. Accordi tra i coltivatori potrebbero favorire la creazione di centri di raccolta e stoccaggio che potrebbero poi fornire strumenti esclusivi per ogni singola filiera. L’approccio più sicuro sarebbe la creazione di isole di produzione attorno a impianti dedicati. Ciò garantirebbe un livello di isolamento relativamente alto e faciliterebbe la tracciabilità del prodotto [1].
In casi di un utilizzo non esclusivo delle macchine per la raccolta
e il trasporto la migliore delle pratiche rimane la pulizia accurata.

Fattibilità della coesistenza
Dai risultati degli studi analizzati emerge che le condizioni della coesistenza tra mais GM e non GM sono differenti e specifiche per le singole filiere non GM (convenzionali, biologiche o comunque GM-free).

Filiera di mais convenzionale (soglia 0,9 per cento). Anche in sistemi di coltivazione intensiva, come molti di quelli italiani, la coesistenza tra mais GM (Bt o Ht) e mais convenzionale (per cui vale la soglia dello 0,9 per cento) dovrebbe essere possibile adottando alcune misure di segregazione delle filiere (in aggiunta alle good manifacturer practices, le buone pratiche agricole e di lavorazione).
Ricapitolando in modo schematico, le misure da adottare suggerite
sono le seguenti:
• utilizzo di sementi certificate esenti da contaminazione da OGM.
• pulizia accurata delle macchine di semina, trasporto e raccolta
nonché degli impianti di trasformazione e stoccaggio, soprattutto
quando si passa dalla manipolazione del mais GM al mais convenzionale o biologico.
• adozione e gestione di un sistema di identificazione univoco
dei lotti di produzione per la certificazione e la tracciabilità di filiera del prodotto.
• almeno due controlli analitici, per valutare il contenuto in contaminanti GM (uno sulle sementi utilizzate e l’altro relativo ai lotti del prodotto finale).
• adozione e gestione di distanze di separazione, fasce di coltivazioni
tampone e/o coltivazioni di mais GM con fioritura anticipata rispetto a quella delle coltivazioni convenzionali, per controllare la fecondazione incrociata durante la crescita in campo.

Filiere di mais OGM-free: biologica o comunque certificata OGM-free (soglia 0,1 per cento). Tutta la letteratura analizzata indica che è praticamente impossibile mantenere sotto la soglia di 0,1 per cento la contaminazione della granella di mais non GM, quando nella  stessa area agricola viene coltivato mais GM anche in piccola quota (10 per cento). La coltivazione in aree vaste OGM-free (aree in cui non esistono coltivazioni di mais GM) è la sola misura che permette di ottenere mais biologico o comunque con soglia di contaminazione
sotto lo 0,1 per cento [1]. In conclusione si ricorda che, ai fini della coesistenza nella stessa area o azienda, è molto importante la prevalenza della superficie coltivata a mais convenzionale rispetto a quella dedicata al mais GM [1].

Conclusioni
Allo stato attuale delle conoscenze la coesistenza tra mais GM e mais convenzionale (per cui si accetta la soglia di contaminazione massima dello 0,9 per cento) sembra possibile a condizione che si adottino misure di controllo e contenimento del flusso dei transgeni, insieme a misure di risarcimento in caso di danno da  contaminazione.
Queste misure andranno man mano ridefinite alla luce   dell’esperienza che si farà nella gestione della coesistenza nei  complessi sistemi di coltivazione commerciale reali. In ogni caso,
comporteranno un costo di produzione aggiuntivo (legato principalmente alle operazioni di pulizia, all’uso dedicato di macchine e impianti, a programmi di monitoraggio, a sementi garantite OGM-free e a eventuali assicurazioni, difficilmente quantificabile a priori), che potrebbe riflettersi sul prezzo al consumo dei prodotti biologici, tipici o comunque GM-free.
La coesistenza tra mais GM e mais GM-free (per cui potrebbe essere accettata la soglia di contaminazione massima dello 0,1 per cento) è, invece, praticamente impossibile se si esclude la realizzazione di vaste aree OGM-free. Sulla base di tale considerazione, che vale in generale per le altre specie coltivate, molte regioni europee (4) e molti comuni hanno dichiarato il loro territorio OGM-free al fine di
salvaguardare le colture tradizionali e i prodotti tipici e biologici alla contaminazione transgenica. 

NOTE
(1) Nel mese di settembre del 2004 sono state iscritte nel Catalogo
Comune dell’Unione Europea delle varietà di piante agrarie, 17 varietà di mais GM derivate dall’evento MON810; altre varietà di mais
GM sono in attesa di autorizzazione per la coltivazione commerciale
da parte della Commissione Europea.
(2) La curtosi è il grado di altezza raggiunto da una distribuzione di valori. Una distribuzione che assume una forma alta e stretta è detta leptocurtica. Nel nostro caso valori relativamente alti di ibridazione diminuiscono rapidamente nella parte iniziale della curva (entro qualche decina di metri dalla sorgente del polline), mentre declinano sempre più lentamente con l’aumentare della distanza.
(3) La dormienza è una fase di riposo che consente ai semi maturi di
alcune specie vegetali di germinare solo quando sussistono le condizioni ambientali favorevoli. A seconda della specie, la dormienza, se presente, può durare da qualche mese a molti anni.
(4) Rete delle regioni europee OGM-free: www.gmo-free-regions.org/.

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