In volo sul grande schermo

Oche delle nevi. Dalla Groenlandia all’America del Sud. Rondini e Chiurli. Dalle foreste europee fino alle coste africane. Sterne artiche. Dal polo Nord al polo Sud. Due volte l’anno novemila specie di uccelli migratori sorvolano lande desolate e città, catene montuose e mari aperti e, obbedendo a una misteriosa legge di natura, tagliano la Terra dall’emisfero Nord a quello Sud, dividendosi lungo quattro grandi rotte principali. Una storia incredibile, lunga migliaia di chilometri, piena di pericoli e di insidie. Una storia che Jacques Perrin, autore e produttore di molte pellicole a metà strada tra il documentario e il film (tra cui Microcosmos, uscito nel 1996), ha raccontato nella sua ultima fatica, “Il popolo migratore” presentato ieri a Roma al cinema Embassy, grazie anche all’impegno di Lipu e Wwf. Per realizzare quest’opera il regista francese non ha badato a spese. Ha percorso in lungo e in largo i cinque continenti accompagnato da sei troupe cinematografiche, quindici operatori, dodici piloti e decine di consulenti. Tre anni di riprese e uno di montaggio. Oltre 450 persone coinvolte e un budget di circa 25 milioni di euro. Senza dubbio un progetto titanico che però ha dato i suoi frutti. Usando bracci mobili sospesi nel vuoto e stani trabiccoli volanti, Perrin è riuscito infatti a ottenere delle inquadrature straordinarie. La sensazione è quella di volare assieme all’oca selvatica e all’albatro, e di cadere in picchiata con gli Uri dell’Islanda. Ma il film è anche un’ode appassionata dell’autore verso la bellezza della natura. Come ha sottolineato Danilo Mainardi, presidente della Lipu, che era alla presentazione del film assieme al Presidente del Wwf, Fulco Pratesi, e a Licia Colò giornalista e presentatrice televisiva, “questi uccelli ci spiegano una cosa fondamentale dal punto di vista dell’ecologia: essi sono del mondo. Con i loro viaggi transoceanici, ci spiegano meglio di qualsiasi altro essere vivente che proteggere la natura è un problema globale che non ha confini. Inoltre, il loro ruolo strettamente ecologico è fondamentale per un “antropocentrismo illuminato” che ponga la tutela della biodiversità come compito centrale per una qualità della vita autentica e ricca”. “Il popolo migratore”, ha spiegato a Galileo Jacques Perrin, “potrà magari aiutarci a capire che le nostre frontiere non esistono, che la terra non è che un solo e unico spazio… e se imparassimo a essere liberi come un uccello?”Ma da dove nasce l’idea di fare questo film?“Dalla voglia di realizzare un sogno. E’ stata la prima volta che una troupe cinematografica è riuscita ad avvicinare gli uccelli migratori durante i loro viaggi. Abbiamo girato gran parte delle scene a pochi metri di distanza, in volo. Questo è un film, non un documentario, ma è senza commento e senza attori umani. Non è un thriller, non è una storia d’amore, ma sono sicuro che il pubblico ne amerà la trama”. C’è quindi un messaggio ecologista nel film?“Sì, ma non abbiamo scelto un approccio militante, con messaggi esplicitamente ambientalisti. Abbiamo semplicemente presentato la vita. L’idea chiave alla base del film è che bisogna amare per conoscere e che bisogna conoscere per proteggere. La nostra preoccupazione è che la prossima generazione potrebbe essere la generazione “dell’assenza”. Ma, come si è detto più volte, non c’è niente di più inumano di un mondo fatto da soli uomini”.Qual è stato l’aiuto della scienza nella realizzazione de “Il Popolo migratore”?“Abbiamo lavorato a stretto contatto con il Museo di Storia Naturale di Parigi. Anzi, abbiamo realizzato un loro antico desiderio, quello di seguire gli uccelli nel loro lungo e faticoso viaggio. Le ostilità contro cui devono combattere gli uccelli sono tantissime e non solo dovute all’essere umano. Intemperie, predatori, selezione naturale fanno sì che la metà degli animali che emigrano non arrivino a destinazione. Gli scienziati che hanno partecipato al film sono stati essenziali. Insieme a loro abbiamo valutato le specie più adatte al progetto, le abbiamo allevate e cresciute secondo i principi comportamentali, elaborati nel corso degli anni Trenta dal famoso etologo austriaco Konrad Lorenz”.Com’è stato possibile girare sequenze tanto difficili con “attori” così particolari?“La strategia è stata quella di vivere a stretto contatto con molti di loro per almeno un anno, prima di iniziare a girare. Abbiamo scelto le uova, li abbiamo visti nascere e li abbiamo sottoposti al processo di “imprinting”. In questo siamo stati aiutati dallo straordinario contributo di molti studenti e ricercatori. Vestiti di giallo, con fischietti per i richiami, abbiamo svezzato gli uccelli e li abbiamo addestrati al volo, quasi come una madre. Li abbiamo fatti abituare alla nostra presenza e al rumore del motore dei deltaplani che abbiamo utilizzato per le riprese in aria. In qualche caso abbiamo perfino dormito con loro, nelle gabbie”.Ha già in mente qualche altro progetto per il futuro?“Il prossimo “viaggio” sarà nel mondo subacqueo. I film sulla natura sono un territorio cinematografico ancora inesplorato, una terra incognita. Per quanto riguarda gli uccelli abbiamo filmato solo 50 specie su 9000. Certo, la mole di documentari televisivi è notevole, ma non si è ancora sviluppato un linguaggio veramente cinematografico che esplori il mondo vivente. Andare sott’acqua sarà forse una sfida ancora più complessa, ma ne varrà la pena perché inizieremo a esplorare e a vedere questo magnifico mondo che a poca distanza dalla costa è già sconosciuto”.Dove sono ora oggi gli uccelli protagonisti del film?“Quelli che sono stati allevati da noi stanno bene e si trovano attualmente in una località della Normandia. Almeno fino al prossimo viaggio”.

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