Rubbia racconta Galileo divulgatore di scienza

galileo divulgatore di scienza

Il 7 dicembre 1592, Galileo Galilei teneva la sua prima lezione come professore presso l’Università di Padova. Arrivava da Pisa, dove era stato in cattedra per tre anni, e le sue scoperte in matematica, fisica e scienze applicate lo avevano già reso famoso. Si era già servito in maniera eccelsa delle sue straordinarie doti di acuto osservatore, combinando a queste una rigorosa idealizzazione matematica, guadagnandosi così il ruolo di fondatore dell’approccio scientifico moderno. Nel suo libro De motu, che unisce alcune sue opere precedenti, è già chiaro il distacco dal modo di pensare aristotelico e lo stile polemico che gli era proprio traspariva già in alcuni versi molto incisivi.

Galileo a Padova

In una lettera a Fortunio Liceti scritta nel 1640, due anni prima della sua morte, Galileo descriveva i 18 anni trascorsi aPadova come “li anni più belli della mia vita”. Egli apprezzò infatti l’estrema libertà di pensiero che gli scienziati potevanotrovare, all’epoca, nella Repubblica di Venezia. Ebbe molte discussioni scientifiche col collega Cremonini, pur rimanendo in ottima amicizia, egodette della compagnia di molti veneziani di vedute aperte; è infattiin un palazzo veneziano che ambientò l’azione dei suoi Dialoghi,la nota opera che scrisse solo molti anni dopo il suo soggiorno a Padova.Dei tre personaggi che dibattono nel libro, Giovanfrancesco Sagredo èun nobile veneziano illuminato che, benché disinteressato all’inizio,finisce per interessarsi alle idee di Copernico. A Venezia Galileo trscorsemolto tempo all’Arsenale, mosso da un forte interesse per la tecnologiache poteva osservare.
Non distinse mai la scienza dalle sue applicazioni; persino nella sua operamaggiore, i Discorsi, c’è un riferimento esplicito alla suaesperienza nell’Arsenale. A Padova aveva associato alla cattedra anche unlaboratorio, dove realizzò con grande abilità molti deglistrumenti che utilizzò per le sue scoperte. Durante il periodo padovanoscrisse relativamente poco, ma fu proprio a Padova che sviluppò granparte delle sue teorie sulla meccanica e molte delle sue scoperte sui corpinaturalmente accelerati, che espose più tardi in maggior dettaglionelle sue opere principali.

Galileo divulgatore di scienza

Molto si potrebbe dire sull’ereditàdi Galileo al pensiero teorico e alla sperimentazione, e molto si èdetto; non si parla mai abbastanza, invece, del contributo di Galileo alladivulgazione scientifica. Uno dei primi esempi che illustrano questo ruoloè l’opera, scritta a Padova nel 1606 Le operazioni del compasso geometrico militare.
Il principio alla base del funzionamento dello strumento era noto, ma Galileo lo portò ad una forma tale da renderlo effettivamente utilizzabile.Dopo alcuni anni di lezioni sull’argomento ai suoi studenti, scrisse il libro e, cosa eccezionale per l’epoca, utilizzò l’italiano come lingua,scegliendo così di rivolgersi agli studenti e a potenziali utentidello strumento, invece che alla comunità scientifica del tempo.E’ palese il suo desiderio di andare a di là delle cerchie accademiche per far partecipare il maggior numero possibile di persone all’avventura scientifica. La pubblicazione del libro scatenò una serie di polemiche,in particolare quella di Baldassare Capra, sul problema della priorità;ma Capra scriveva in latino.

Il lavoro svolto da Galileo a Padova sui magneti e, a partire dal 1609,quello sul telescopio accademico, sono ulteriori manifestazioni del suo desiderio costante di allargare l’uso degli strumenti scientifici graziea brillanti innovazioni che li rendevano degli strumenti assolutamente affidabili da utilizzare per ulteriori applicazioni e scoperte scientifiche. Lo avrebbe divertito scoprire che la luce ultravioletta sarebbe stata utilizzata in futuro per verificare l’autenticità degli archivi del suo stesso processo! Se è vero che la teoria completa del telescopio astronomico è da trovarsi nella Diottrica di Keplero, scritta nel 1611,è anche vero che si deve al genio di Galileo la costruzione dei primi telescopi affidabili di una certa potenza, nonché il loro uso per una esplorazione astronomica rigorosa. La fiducia di Galileo nello strumento poggiava sui suoi numerosi successi nelle osservazioni terrestri; è così che egli giustificava lo strumento per altre utilizzazioni,ad esempio per esplorare i cieli. E non fu facile dimostrare a tutti chelo strumento serviva a migliorare la percezione umana, piuttosto che a deformarla!

Galileo rompeva incessantemente le mura di compartimentalizzazione della conoscenza scientifica, che la separavano dalle applicazioni di più vasta portata, il più delle volte rivolgendosi ad un pubblico il più vasto possibile nella lingua vernacolare. Per questo èun grande esempio nell’arte del divulgare; da questo punto di vista, egli fu l’abile iniziatore di un processo di cui c’è oggi una grande esigenza.

Nel libro Sidereus nuncius, pubblicato nel 1610, egli riferisce alla comunità scientifica delle sue famose scoperte astronomiche fatte a Padova; la dedica al Duca di Toscana della scoperta dei satelliti di Giove,che egli battezza “pianeti medicei”, la dice lunga sul suo desiderio di allargare la cerchia degli interessati e dei sostenitori della ricerca.Nonostante le insormontabili difficoltà tecniche, egli insistette a lungo sul fatto che la sua scoperta avesse un’applicazione pratica nella misurazione delle longitudini.
Verso la fine del suo soggiorno a Padova, Galileo sentì la responsabilità di far diventare le scoperte del suo tempo, alle quali aveva già grandemente contribuito, parte integrante del pensiero della societànel suo complesso, e non solo parte delle applicazioni tecnologiche utiizzate dalla società. Questa volontà si fondava sul lavoro profondo ed intenso che aveva svolto a Padova, in particolare lo studio, la descrizione e la comprensione della caduta libera, ove si osserva un distacco nettodalla tradizionale distinzione aristotelica dei due moti, verso l’alto e verso il basso, per arrivare al concetto di universalità nella caduta libera, nonché alla notevole associazione della legge del moto all’aritmetica e alla geometria, apportando così precisione e rigore matematici allo studio di un fenomeno naturale. Con i brillanti esperimenti sul pianoinclinato, egli dimostrò con maestria il potere dell’approccio scientifico,un approccio fondato sull’osservazione, la spiegazione, la predizione e la verifica.
Sempre a Padova, mentre insegnava doverosamente il sistema tolemaico, si convinse della validità di quello copernicano. Come scrisse a Kepleronel 1597, “Diversi anni or sono mi convertii alla dottrina di Copernico,grazie alla quale scopersi le cause di un gran numero di effetti naturali per i quali, senza dubbio alcuno, le ipotesi comunemente ammesse sono intenibili.”
La presentazione della nuova dinamica del cosmo avrebbe inevitabilmente suscitato grande interesse, simile a quello suscitato oggi quando si parla del Big Bang; tuttavia, all’epoca era anche un grande rischio, dato chela cultura dominante operava una scissione netta tra i fenomeni terreni e quelli propri ai cieli. Eppure Galileo volle condividere con altri un approccio fondato sul ragionamento scientifico, che egli considerava schiacciante e che, a suo avviso, andava esteso all’intero cosmo.
Galileo voleva infatti mettere alla portata del pubblico più vasto possibile non solo le applicazioni della scienza, ma anche la grande e potente bellezza del metodo scientifico, basato sull’osservazione, il ragionamento e la realizzazione di esperimenti specifici decisivi. Voleva dimostrare l’interazione tra teoria e sperimentazione che, singolarmente, hanno un valore limitato, ma che, unite, diventano la via di accesso alla conoscenza.Voleva dimostrare perché è necessario inserire la nostra conoscenza nel contesto di una serie di principi, in quanto, come egli stesso diceva:”La comprensione di un singolo effetto a partire dalla sua causa propria ci consente di capire e prevedere altri effetti senza dover ripetere ogni volta l’esperimento”.
Dall’osservazione non scaturiscono dunque regole empiriche bensì concettuali! Galileo voleva anche dimostrare che la scienza non era un’attività ristretta, limitata agli scienziati, ma un fenomeno di interesse generaleche doveva raggiungere tutti gli strati sociali. Nei Dialoghi manifestò il suo sostegno per il sistema Copernicano, ma solo fra le righe, come la logica conclusione che il lettore doveva raggiungere da solo, attraverso la comprensione del metodo scientifico, metodo che andava applicato, secondo Galileo, ad ogni caso della vita. Probabilmente proprio questo punto spaventò molti, ben più della teoria eliocentrica.
Galileo godeva già di grande prestigio, ma per la sua opera principale aveva bisogno di tempo e di sostegno e fu questo uno dei motivi per cui decise di trasferirsi a Firenze. A Padova, infatti, come egli diceva, “era contrario all’uso comune nelle repubbliche, per quanto ricche e generose,riuscire ad ottenere uno stipendio senza dover svolgere un importante incarico pubblico”.
Nel Sidereus nuncius aveva annunciato una grande opera, il Systema mundi, ma doveva ancora scriverla e sarebbero dovuti passare molti anni prima che la portasse a compimento, nel 1630. Ma già in quegli anni aveva avuto qualche poblema con le autorità ecclesiastiche, in particolare nel 1616. Dopo la pubblicazione dei Dialoghi, nel 1633, i suoi rapporti con le autorità ecclesiastche peggiorarono. Alla fine, come sappiamo,riuscì ad avere ragione, ma trascorse qualche anno in più rispetto a quanto si aspettava quando aveva lasciato Padova!
Nei Dialoghi Galileo insegna una lezione ai divulgatori di oggi.Egli non solo illustra i sistemi tolemaico e copernicano, ma fa partecipare il lettore al processo della ricerca. E non si rivolge solo ad un pubblico di scienziati. Il libro è scritto, infatti, in italiano per raggiungere un pubblico colto più vasto possibile. Per la prima volta la scienza veniva presentata con la chiarezza necessaria, diversamente da tutte le altre opere scientifiche fino a quel momento, non comprensibili ai non-scienziati.La scienza presentata nei Dialoghi non è semplificata eccessivamente,ma è semplicemente resa accessibile! Galileo ricorre ad un capolavoro di strategia retorica per convincere il lettore a condividere con lui l’emozione della scoperta attraverso il ragionamento logico e l’osservazione critica.Tuttavia, come sappiamo, l’aria fresca e illuminata che si respira nelle opere di Galileo scatenò una tempesta all’epoca.

Galileo e l’insegnamento della fisica

 Dobbiamo riconoscere che oggi,gran parte dei nostri libri di testo, non solo a livello di scuola superiore ma anche di università, non offrono una buona descrizione della pratica scientifica. Come disse Thomas Kuhn: “Scienza generalmente significa ricerca con salde basi su uno o più risultati scientifici passati,riconosciuti da una particolare comunità scientifica come base per la loro pratica scientifica. Oggi questi risultati sono raccontati, benché raramente nella loro forma originale, da libri di testo, elementari o avanzati. Essi estendono l’insieme delle teorie accettate, ne illustrano molte o tutte le applicazioni, e le confrontano con osservazioni ed esperimenti esemplari”.Il formato dei libri di testo risulta molto utile per lo sviluppo di capacità tecniche per risolvere problemi già definiti, quelli che si affronteranno agli esami. Tuttavia, essi di solito non trasmettono l’idea dell’indifferenziato,cioè il modo in cui si presentavano i fenomeni prima che la fisica mettesse ordine. Non danno neanche un’idea del gioco di concetti e presupposizioni che intervengono nell’interpretazione di una realtà poco chiara.Non insegnano ad osservare e pensare, e osservare ancora, che è il modo in cui funziona la ricerca. Il ruolo del soggetto è fondamentale nella ricerca, ma scompare in classe! L’approccio spesso faticoso che alla fine porta risultati è lasciato agli storici della scienza, perché si considera pratica normale eliminare ogni parte soggettiva dalla formulazione della scienza. La scienza è in effetti vista come un insieme di conoscenze che si accumulano gradualmente e dove il ruolo dei molti soggetti che hanno contribuito ad essa si confonde nel tutto. E’ vero, la formulazione che oggi possiamo dare a molti capitoli della fisica è ben più chiara, compatta e penetrante rispetto al momento in cui questi capitoli furono scritti, quando la certezza vinse il dubbio solo gradualmente. Si ritiene sia meglio dimenticare il sudore, le lacrime, ma anche i momenti di gioia (!) della fisica in divenire. Eppure il ruolo del singolo nel processo di creazione resta fondamentale. Come disse Pauli, “Il ponte che porta dai dati inizialmente disordinati dell’esperienza alle idee è fatto di alcune immagini primordiali pre-esistenti nell’animo: gli archetipi di Keplero. Queste immagini primordiali non si trovano nella coscienza, né sono legate a idee razionalmente formulabili. Si tratta piuttosto di forme appartenenti alla regione inconscia dell’animo umano, immagini di grande contenuto emotivo, che non sono pensieri, ma sono piuttosto possedute in maniera quasi pittorica. Il piacere che si prova quando si comprendono nuove conoscenze deriva dalla corrispondenza che queste immagini pre-esistenti vengono a trovare col comportamento di oggetti esterni”. Questo punto è estremamente importante nel processo di concettualizzazione, ma non si trova nei libri di testo. Lo sforzo da fare è quindi cercare di trasmettere meglio i processi che intervengono nella creazione della fisica.
Il “soggetto” in realtà compare nei libri di testo, malgrado tutti gli sforzi di eliminarlo. Come nota Fabio Bevilacqua, i più famosi manuali di elettrodinamica classica, da Planck a Sommerfeld, da Pauli a Landaue a Feynman, presentano l’argomento in maniera eccelsa. Eppure,ci sono notevoli differenze di interpretazione metodologica e fisica. Tutti naturalmente descrivono gli stessi fatti fondamentali e risultati, ma mentre alcuni enfatizzano un approccio deduttivo, altri privilegiano quello induttivo.E’ evidente quindi che queste grandi menti affrontarono lo stesso insieme di conoscenze in modi diversi. Questo fa parte delle grandi ricchezze della fisica, eppure non è indispensabile per risolvere i problemi degliesami. Galileo ci insegna molto da questo punto di vista.

Nei Dialoghi Galileo vuole spiegare come funziona la mente scientifica e insegnare come combinare le riflessione e l’osservazione. Pur sostenendo Copernico, non cerca di provare che Copernico ha ragione. Questa è una conclusione che il lettore può trarre da sé. Galileo vuole dimostrare che tutte le grandi obiezioni mosse contro il moto della Terra non resistono ad una comprensione corretta della meccanica. Vuole sottolineare che il buon senso può a volte essere fuorviante. Non è forse vero che si riteneva che una Terra in moto si lasciasse dietro gli oggetti,quando invece si sapeva che gli oggetti cadono verticalmente? La meccanica non era stata ancora affrontata nel modo logico quantitativo che egli aveva seguito. Galileo fa notare continuamente che molti fenomeni possono essere considerati in modi diversi. Il moto della Terra attorno al Sole doveva essere dedotto dall’astronomia. La caduta libera, se capita bene, non aveva nulla a che vedere con esso. La Terra poteva essere immobile ma poteva anche muoversi. Egli confutò pazientemente ogni obiezione casuale dell’epoca,ritenuta ovvia verità da molti. Il libro è scritto in stile narrativo, sotto forma di una discussione tra tre personaggi, in Italiano,per la gente del suo tempo. E’ una satira della distinzione, spesso citata,fra cultura umanistica e cultura scientifica. E riesce anche ad essere molto profondo. Il principio di inerzia e quello della relatività sono perfettamente introdotti e formulati. Si potrebbe obbiettare che questa vivace presentazione delle scoperte scientifiche, nel 1630, era diversa da quella che Galileo visse realmente a Padova nel 1604, e che molti degli esperimenti di cui riferisce fossero già pensati e maturati. Ma questo non è importante. Il fatto importante è che il libro descrive cos’è la fisica e come si fa fisica: raggiungendo la verità attraverso un ingegnoso cammino fatto di osservazioni, induzioni, deduzioni e altre osservazioni. Come disse Galileo dei suoi potenziali lettori: “Voglio che essi capiscano che la Natura, così come ha dato loro occhi pervedere le sue realizzazioni, ha anche dato loro un cervello per studiarle e capirle“.

La sua descrizione del principio della relatività partendo da tutto ciò che si può osservare dentro una nave, indipendentemente dal fatto che la nave sia ferma o si muova a velocità costante, èun capolavoro. In particulare, la caduta libera è la stessa in entrambi i casi. Se avesse preso in considerazione la velocità della lucedentro la nave (oltrepassando di gran lunga le capacità strumentali del suo tempo!), avrebbe potuto raggiungere il principio della relatività speciale di Einstein. La lezione principale insegnataci dalle due grandi menti è la stessa: bisogna basarsi sui principi e non sul buon senso,che lascia il tempo che trova. I principi devono essere formulati liberamente,ma assumono valore solo attraverso un confronto oggettivo con l’osservazione.
Potremmo immaginare un’ “ora” moderna dei Dialoghi di un dibattito fra Bohr e Pauli sul risultato di difficile interpretazione dello spettro del decadimento beta. Secondo Bohr questo nuovo processo potrebbe benissimo non obbedire alle leggi di conservazione dell’energia, considerato fino a quel momento un principio, ma mai messo alla prova in questo particolare tipo di processi. Secondo Pauli, il principio andava mantenuto con tuttala sua forza, e quindi doveva esistere una nuova particella, con proprietà di penetrazione sorprendenti. Questo succedeva nel 1931. Fu solo nel 1956 che Pauli poté affermare: “Cowan e Reines sono finalmente riusciti a superare le straordinarie difficoltà tecniche della dimostrazione sperimentale di questa reazione”. Oggi insegniamo che esistono tre e solo tre specie di neutrini dopo gli esperimenti al LEP. I neutrini sono estremamente importanti in fisica e astrofisica ma il modo in cui si insegnala fisica potrebbe far diventare completamente ignota a molti la lunga marciache ha trasformato un’ipotesi controversa in un fatto scientifico.
I Dialoghi sono un capolavoro di rigore e chiarezza. E lo furono anche troppo. Troppi riuscirono a leggere quelle righe, ma anche fra le righe. Galileo, come sappiamo, ebbe molti problemi. La scienza non è”bianca o nera”, e questo è un aspetto che molto spesso non piace all’opinione pubblica, che vuole certezze, mentre una delle grandi virtù della scienza è proprio mantenere vivi il dubbio e le domande, come illustra con magnificenza Dürer nella sua Malinconia..Galileo lo sapeva già meglio di altri, eppure le sue affermazioni furono spesso deformate in dichiarazioni (Domenicane) “bianche o nere”,per finire con l’alimentare una polemica amplificata dal contesto politico del tempo. Galileo aveva in realtà dimostrato che il sistema copernicanonon contraddiceva fatti noti, bensì un’interpretazione troppo cruda e erronea di quei fatti noti. Eppure il sistema copernicano cadde sottoun malvagio attacco, tanto che Keplero doveva lamentare che “personaggi competenti non potettero più lavorarci in pace, quando avevano avutola possibilità di farlo per 80 anni”.
Infatti, quando Galileo pubblicò i suoi Discorsi nel 1638,nonostante il terribile colpo del suo processo, non incontra ulteriori problemi.Eppure i Discorsi sono, fra le righe, altrettanto pro-copernicani dei Dialoghi, hanno lo stesso approccio narrativo e la stessa forma discorsiva. Ma, per lo stile ed il contenuto, si rivolgono molto piùa scienziati specializzati che ad un pubblico generale. Sono un testo difisica con molti dati sulle teorie, gli esperimenti, soprattutto quelli sul piano inclinato, e la loro sottile interazione. Si può affermare che il libro non fu condannato perché coloro che avrebbero potuto condannarlo non lo capirono? E’ certamente più complesso. I Dialoghi furono condannati da persone che pensavano di aver capito troppo bene cosa c’era dietro, ma che invece avevano frainteso cose c’era esplicitamente in essi.

Dobbiamo seguire l’esempio del Galileo divulgatore di scienza?

In un momento di grande necessità di divulgazione scientifica, Galileova certamente ammirato come un grande. Il suo modo esemplare di spiegarecome procede la scienza dovrebbe invogliarci a scrivere di più discienza, sfruttando i numerosissimi esempi a cui pensiamo. Non èforse entusiasmante condividere questa nostra conoscenza con il pubblicopiuttosto che elencare semplicemente una serie di risultati? Per i non scienziatisono certamente più utili gli esempi che una serie di formule elencateper essere usate come ricette. La storia non si ripete, ma a volte inciampa.Se non informiamo adeguatamente il pubblico su cos’è veramente lascienza, rischiamo seriamente di trovarci di fronte a reazioni irrazionalied emotive contro la scienza. Non dobbiamo dimenticare che viviamo in unmondo (moderno) in cui libri di astrologia sono estremamente popolari! Alcuniaspetti mal compresi delle scienze ambientali o, peggio ancora, dell’ingegneriagenetica potrebbero sferrare un brutto colpo al sostegno per la scienza.La missione di Galileo nel lasciare Padova, andando incontro alla lungalotta che seguì ,è molto simile alla nostra missione di divulgazioneche ci attende oggi, e forse anche alle difficoltà che potremmo incontrareun giorno, benché il contesto sia molto diverso. Quindo dobbiamocertamente imparare dai successi e l’abilità di Galileo, ma anche dai suoi errori e fallimenti.
Galileo aveva ragione su molti argomenti, ma non su tutti. Era estremamente sicuro di sé e, per questo motivo, amava troppo entrare in polemiche,certo com’era di vincere sempre. Questo è particolarmente vero quandosi trovava a Roma nel 1615, prima che cominciassero i problemi seri nel1616. Come riportato nella cronaca di quegli anni, “prima di ribattere alle obezioni, egli era uso amplificarle e rafforzarle con nuovi argomenti che le facessero sembrare molto forti, per poi farle cadere all’improvviso portando ulteriore ridicolo sui suoi detrattori”. Nelle sue opere più polemiche, e in particolare ne Il Saggiatore, si allontana alquanto dalla logica attenta delle opere puramente scientifiche. Ad esempio, la distinzione tra qualità primarie e qualità secondarie del linguaggio, che caratterizzano la formulazione della scienza (primaria!),destinata a restare per sempre, dal linguaggio comune (secondario), utilizzato solo per descrizioni intuitive, destinato a scomparire una volta ottenutala conoscenza scientifica, è eccessiva. Galileo sosteneva che Dio, che conosce perfettamente le due lingue, avrebbe preferito usare la seconda quando rivelò per la prima volta alcuni aspetti del creato all’uomo, ma che le immagini meramente allegoriche di questa lingua avrebbero dovuto essere sostituite gradualmente dalla vera lingua di Dio, sempre più accessibile attraverso la logica della scienza. Sperava così di raccogliere il sostegno della Chiesa, ma non fece che provocarne l’ira. Infatti, pur rimanendo il più grande scienziato, incontrò oratori di maggior talento quanto a pura metodologia.

Ma possiamo ammirarlo anche quando sbaglia. Mentre sosteneva su basi deboli la sua teoria delle maree, e anche quando mancò la capillarità nella sua teoria dei galleggianti, la sua logica nella definizione corretta del sistema al quale applicare le proprietà resta una pietra miliare della scienza moderna. E che dire del suo commento conclusivo al dibattito sulla perfetta sfericità della Luna, come si doveva per ogni corpo celeste, nonostante le montagne che aveva visto, e che non erano più messe in discussione come risultato artificiale del telescopio? A chi aveva obbiettato che poteva esserci una sostanza trasparente sulla Luna, che la rendeva perfettamente sferica, rispondeva: “Bellissima invenzione.Purtroppo le manca la proprietà di essere provata o solo quella di essere provabile”.
Nel divulgare la scienza Galileo cercava di risvegliare lo spirito scientifico moderno nelle menti del maggior numero possibile di persone. Cercò di portare la scienza fuori dalla cerchia ristretta degli scienziati facendo neun fenomeno di interesse generale che permeasse tutti ilivelli della società.E mise un’energia straordinaria in questo suo tentativo. Fu coraggioso,spesso anche troppo temerario per i suoi tempi e per le sue conoscenze.Ma rimane un esempio splendido di quanto possa e debba essere fatto nel nostro compito di promuovere la scienza. Imitiamolo in maniera più umile ma ugualmente infaticabile.

2 Commenti

  1. Dopo un lungo e scrupoloso esame dei numeri primi, ho elaborato una semplicissima teoria sulla loro natura. Un numero primo non deve mai essere multiplo di 3 e di 5; inoltre, la somma delle cifre di un dato numero intero, per diventare un numero primo, deve essere maggiore o uguale a 10.

    In fede, Francesco Mauri.

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