Un mondo interconnesso

Nel linguaggio comune la parola italiana rete indica un intreccio di fili, divario genere e materiali, incrociati e annodati tra loro. In un’accezioneleggermente diversa, con rete si indica anche l’ordito di un tessuto o diuna membrana animale (1). Gli inglesi preferiscono usarela parola network per indicare il primo concetto e la parola web per indicareil secondo (2).
In passato la parola rete evocava un mondo di cose semplici. La pesca. La caccia. La raccolta. Con lo sviluppo tecnologico la parola è stata usata per indicare nuove forme di intreccio e di annodi. Sono nate la reteelettrica, la rete telefonica, la rete, sempre più estesa, dellecomunicazioni a distanza. Negli ultimi decenni vecchie parole e vecchi concettisono stati associati a una rete. Mutando, in parte, significato. Cosìl’insieme delle strade è diventata la rete stradale, l’insieme dellelinee ferroviarie è sono diventata la rete ferroviaria. Persino l’insiemeidraulico delle vie d’acqua è diventata la rete idrica. Negli ultimianni la parola ha accompagnato l’evoluzione della società da industrialea post-industriale, o a società dell’informazione, modificando ilsuo significato secondo. E iniziando a evocare un mondo di relazioni semprepiù estese e sempre più complesse. Pur senza perdere i suoisignificati primari, rete è diventato sinonimo di complessità.
Anche in ambito scientifico la parola rete è molto utilizzata. Edè utilizzata con diversi significati. Come, peraltro, cerchiamo didimostrare in queste pagine di Galileo mensile. E’ una parola che attraversatutte le discipline. Abbiamo, infatti, reti cosmiche,reti climatiche, retineurali, reti linguistiche.
Tutti la usano. E tutti pensano che il dirimpettaio la usi a sproposito.Potremmo dire, con un facile gioco di parole, che nella scienza c’èuna rete di significati della parola rete che non è facile dirimere.
Per esempio, in alcuni ambiti la parola rete ha un carattere ben poco flessibilee tutto sommato semplice. In cristallografia, per esempio, evoca un insiemedi componenti, gli atomi di un reticolo, connessi tra loro, mediante precisilegami chimici, in modo (abbastanza) statico e ben definito: il reticolocristallino. Un cristallo di cloruro di sodio, il sale da cucina, puòessere immaginato come una rete di cubi tutti uguali che si succedono inmodo (abbastanza) regolare nelle tre dimensioni.
Tuttavia anche in ambito scientifico la parola rete sta, ultimamente, modificandoil suo significato secondo, per divenire sempre più metafora delconcetto di complessità. Sono molti, ormai, a utilizzare la parolarete per indicare il sistema complesso che intendono studiare. La rete neuralenon è altro che un sistema complesso formato da cellule cerebrali(o da loro sostituiti, naturali o artificiali).
L’evoluzione del significato della parola rete, e il suo adattamento simbiotico,anche nel linguaggio scientifico, con il concetto dinamico di complessità,sarebbero di interesse esclusivo del linguista se non fosse in atto un tentativo,più o meno esplicito, di cercare leggi generali in grado di spiegareil comportamento, ad ogni livello, delle reti e, quindi, dei sistemi complessi.
Il tentativo, interdisciplinare, è di notevole interesse epistemologico,oltre che scientifico. Ed è per questo che vogliamo parlarvene.
Avviso. In questo percorso che vi proponiamo, a zonzo per le reti dellascienza, toccheremo per breve tempo solo alcuni degli approdi possibili,in alcune delle discipline interessate. Non abbiamo pretesa alcuna di completezza.Né abbiamo intenzione di coinvolgere, nella responsabilitàdi questo viaggio tra le discipline, i ricercatori e i gruppi di ricercache, via via, incontreremo.

Rete e complessità in matematica. Iniziamo, dunque, il viaggio.E immaginiamo di dover costruire una rete che colleghi, via cavo, le 15capitali dell’Unione Europea. La nostra impresa deve avvenire in assolutaeconomia. Per cui dobbiamo tracciare la rete di lunghezza minima. Ci vienvoglia di farlo così, sulla carta, tanto il problema appare semplice.Ma avendo poco tempo e il calcolatore più potente del mondo a disposizione,ci affidiamo a lui. Dieci secondi. Un minuto, due. Un quarto d’ora. Il programmaal nostro velocissimo calcolatore continua a girare. Ma il risultato nonarriva. Cominciamo a renderci conto che trovare le rete di segmenti di lunghezzacomplessiva minima che colleghi un piccolo insieme di punti assegnati nonè un’impresa banale (3).
Il nostro calcolatore, il più potente del mondo, ci consegna il risultatosolo dopo un’ora dall’avvio. E’ evidente che l’algoritmo con cui ha eseguitoil calcolo non è adeguato. Ci riserviamo di cambiarlo. Nel frattempo,però, il problema si è complicato. Il nostro datore di lavoroci chiede di collegare via cavo le capitali degli oltre 150 stati rappresentatialle Nazioni Unite. E, naturalmente, di trovare la rete di lunghezza minima.
Prima di accendere il nostro calcolatore, decidiamo di contattare tuttii matematici e i teorici dell’informazione che fanno parte della nostracerchia di amici. Non avete per caso un algoritmo migliore? Con nostra meravigliatutti ci rispondono di non avere un algoritmo in grado di risolvere il problemain un tempo accettabile. Con tutta la buona volontà e con tutta lasua velocità di calcolo, il nostro mastodontico cervello elettronicoimpiegherà comunque un tempo superiore alla nostra vita e, forse,a quella dei figli dei nostri figli. Se non alla vita dell’intero sistemasolare.
Anzi, i più pessimisti tra i nostri amici sostengono, scorati, chenessuno sarà mai in grado di approntare un algoritmo efficiente perrisolvere il nostro problema. E che noi dovremo cablare le capitali delpianeta rodendoci nell’insolubile dubbio di stare eccedendo nella spesa.
Il nostro viaggio non è ancora iniziato, che già ci siamoimbattuti nei due motivi di complessità di un’entità matematicache chiamiamo rete: il numero dei nodi e l’intreccio delle fila. O, dettoin modo più rigoroso: il numero delle componenti e l’articolazionedelle loro connessioni.
Il problema della rete di lunghezza minima attiene certo al secondo deimotivi di complessità, l’articolazione delle connessioni. Ma ci siamoanche resi conto che il numero delle componenti è un aspetto importante.In fondo il nostro calcolatore è in grado, in un tempo ragionevole,di risolvere il problema del collegamento più efficiente tra le 15capitali dell’Unione Europea. Ma non è in grado, almeno non nellascala dei tempi biologici, di risolvere il problema del collegamento piùefficiente tra 150 capitali sparse per il pianeta.
Che una rete formata da un numero piccolo di componenti sia tutto sommatouna rete semplice, lo hanno dimostrato, già nel 1640, indipendentementel’uno dall’altro, gli italiani Evangelista Torricelli e Francesco Cavalieri.I due hanno trovato il modo per rendere minima la somme delle distanze traun punto P e altri tre punti assegnati. Se gli angoli al punto P misuranotutti almeno 120 gradi, la somma delle distanze tra i 4 punti viene resaminima.
Quella di Torricelli e di Cavalieri, tuttavia, è una rete troppopiccola per dare il senso della complessità. Se ne accorge, nell’800,il tedesco Jacob Steiner, matematico presso l’Università di Berlino.Che si pone il problema generale di trovare le coordinate di un punto cherenda minima la somma delle distanze tra il punto stesso e i punti di insiemeassegnato. Steiner opera su piccola scala. E trova che ogni soluzione alsuo problema, che da allora diventa noto appunto come il problema di Steiner,genera una rete ad albero.
Steiner si rende conto che il numero dei rami del suo albero è parial numero dei punti meno uno. Che i rami devono formare tra loro angolinon inferiori a 120 gradi. Che, quindi, in ogni punto possono incontrarsial massimo tre segmenti. Che se si sopprime un ramo, ovvero un segmentoqualsiasi della rete, almeno un punto resta isolato. Che, infine, non èpossibile partire da un punto P della rete e ritornarvi, a P, senza percorreredue volte almeno uno dei rami.
Ovviamente, non tutti gli alberi costruiti da Steiner per un insieme assegnatodi punti sulla base di queste regole formano una rete di lunghezza minima.Steiner si avvede che alcuni alberi, tuttavia, possono essere resi piùcorti con piccoli cambiamenti. Per esempio, un albero costruito sulle 15capitali dell’UE, può essere reso più corto annullando ilcollegamento diretto Londra-Parigi e attivando quello diretto Londra-Bruxelles.In questo caso abbiamo una soluzione localmente minima al nostro problema.Ma nulla ci garantisce di avere in mano la soluzione: ovvero la rete piùcorta possibile.
Per avere questa certezza non possiamo fare altro che prendere in esametutti gli alberi possibili di lunghezza minima e scegliere quello piùcorto. Questa operazione costa tempo. E Steiner si avvede subito che, viavia che crescono i punti da connettere, il tempo di calcolo aumenta in mododisastroso. In un modo così disastroso da rendere quello della ricercadi un algoritmo efficiente per trovare la soluzione del problema di Steineruno dei grandi progetti della matematica computazionale, come propongononel 1934 Milo Kössler e Vojtêch Jarník e, poi, con maggiorclamore Richard Courant e Hebert Robbins nel libro, Che cos’èla matematica?, pubblicato nel 1941. Il guaio è che l’algoritmodi Steiner, e tutti gli altri algoritmi trovati finora per risolvere ilsuo problema, sono algoritmi esponenziali. Il numero delle operazioni crescein modo esponenziale con il numero, n, dei punti da connettere: secondouna funzione del tipo 2n. Con un algoritmo del genere, il problema a 4 puntidi Torricelli e di Cavalieri può essere risolto con 24, ovvero con16 operazioni. Effettuando un’operazione ogni decimo di secondo, un calcolatoreimpiegherebbe appena 1,6 secondi a trovare la soluzione. Per trovare larete minima che unisce le 15 capitali dell’UE, con un algoritmo esponenzialedel genere, occorrono 215, ovvero 32.768 operazioni. Con la medesima velocità,un’operazione ogni decimo di secondo, il nostro calcolatore impiegherebbe54 minuti e 36 secondi.
Per trovare la rete minima che colleghi 150 capitali sparse per il pieneta,occorrerebbero 2150, ovvero 1,4×1045, ovvero 1,4 miliardi di miliardi dimiliardi di miliardi di miliardi di operazioni. Con la medesima velocitàdi prima, il nostro calcolatore impiegherebbe 4,5×1036 anni. Un tempo cheè 10 milioni di miliardi di miliardi di miliardi di volte superiorealla vita di un uomo, e 1000 miliardi di miliardi di volte maggiore dell’etàdello stesso universo. Saranno anche precisi, ma decisamente gli algoritmiesponenziali non sono molto utili per cablare con la massima efficienzale capitali del pianeta.
Il nostro problema, da un punto di vista pratico, può essere risoltoslo addivenendo ad un compromesso. Invece di trovare la rete minima in assoluto,accontentiamoci di trovare una rete di lunghezza ragionevolmente piccolae procediamo più speditamente. Dopo tutto non solo i cavi, ma ancheil tempo è denaro. E, quindi, comunque risparmieremo. Grazie anchead algoritmi semplificati, i nostri calcolatori sono in grado di risolverein modo affidabile problemi con una trentina di punti da connettere. Perle reti più grandi c’è solo da fare, di volta in volta, unbilancio economico tra il tempo di calcolo e la precisione desiderata.
Da un punto di vista teorico, invece, il nostro problema consiste nel cercareun algoritmo che non sia esponenziale, ma polinomiale. Del tipo n2. In questocaso, per trovare la rete minima che colleghi le 150 capitali, occorrerebberosolo 22.500 operazioni. Eseguibili, dal nostro calcolatore, in 37 minutie 30 secondi. Un ordine di tempi decisamente più accettabile.
Il guaio è che questo algoritmo polinomiale per trovare la rete dilunghezza minima non è stato ancora trovato. E nulla lascia sperareche mai lo si ritrovi. Il perchè è presto detto. Ronald GrahamMichael Garey e David Johnson, degli AT&T Bell Laboratories, hanno dimostratoche il problema di Steiner è un problema NP, non polinomiale. E nessuno,finora, è riuscito a trasformare un problema NP in un problema P,risolvibile, cioè, con un algoritmo polinomiale.
In realtà basterebbe che un solo matematico riuscisse nell’impresadi trasformare un qualsiasi problema NP in un problema P. Perchè,come ha dimostrato Stephen Cook, dell’università di Toronto, questometodo potrebbe facilmente essere esteso a tutti i problemi intrattabilidi tipo NP.
Capirete, allora, perchè questo tema, NP=P?, è, oggi, il temapiù importante dell’informatica teorica.
Ma lasciamo gli informatici teorici ai loro problemi di calcolo e ritorniamoal nostro problema, che è la rete. Abbiamo visto come la nostra difficoltàa trovare le articolazioni desiderate delle connessioni tra le sue componentisia una misura della complessità della rete. Data una serie neppuremolto numerosa di componenti, è difficile, anzi a tutt’oggi èpraticamente impossibile, trovare la rete più semplice.
E abbiamo anche intuito che non solo le connessioni, ma anche il numerodei componenti della rete è decisamente coinvolto nel suo grado dicomplessità. Infatti, individuare il numero minimo di componentisemplici necessario a formare una rete con un funzionamento non banale èil problema che ha dato origine, addirittura, a una nuova disciplina matematica:la teoria della complessità (4).
Qual è, dunque, il limite inferiore per poter definire complessauna rete?
Che anche questa la domanda non sia banale lo possiamo dimostrare con unesempio. L’esempio di una rete telefonica fa al caso nostro. Consideriamouna centrale che serve 1000 abbonati. La centrale dovrà fornire leconnessioni perchè ciascun abbonato possa chiamare uno qualsiasidegli altri 999. Ovviamente la centrale deve assicurare che le comunicazionitra i suoi clienti possano avvenire in contemporanea. Se Carlo chiama Filippo,ciò non deve impedire a Roberta di parlare con Valeria. Ogni abbonatoè connesso alla rete mediante un interruttore. Quando l’interruttoreè chiuso, c’è comunicazione. Quando è aperto, non c’ècomunicazione.
Bene, il nostro problema è stabilire qual è il numero minimodi interruttori per far funzionare la rete. La risposta più ovviaè: predisponiamo un interruttore per ogni possibile chiamata e larete funzionerà a meraviglia. Ma i matematici sanno che questo èimpossibile. Tutte le connessioni possibili, anche solo tra 1000 abbonati,formano un numero enorme. Praticamente infinito.
Anche trasformando in interruttori tutti i protoni e i neutroni presentinel nostro universo, non riusciremmo a creare le linee necessarie a soddisfaretutte le combinazioni comunicative possibili neppure in un condominio di60 persone.
Una rete totale, in cui tutti sono direttamente in comunicazione con tutti,è impossibile persino da immaginare. La nostra centrale deve dunquecostruire una rete a incrocio: ogni abbonato si collega a una linea principaleche a sua volta lo collega con un altro abbonato. In questo modo ciascunabbonato può comunicare, di volta in volta, con un solo altro abbonato.Perchè una rete che serve n abbonati funzioni sempre, occorrono nlinee principali. Ma in una rete a incrocio di questo genere, per n chiamateavremo n x n = n2 interruttori.
In una rete a incrocio per 1000 utenti, occorrono 1 milione di interruttori.Il numero degli interruttori cresce cioè “a potenza”, conil quadrato di quello degli abbonati. Una rete per 1 milione di utenti,avrebbe bisogno di 1000 miliardi di interruttori. E una rete per metterein comunicazione solo un quinto dell’umanità, avrebbe bisogno diun miliardo di miliardi di interruttori. Insostenibile. Economicamente ematerialmente.
Questa crescita insostenibile delle connessioni tra utenti di una rete sichiama diseconomia di scala. Si intuisce che tutti questi interruttori nonsono necessari. E ci si chiede se non si può diminuirli. Nei fattile società telefoniche li diminuiscono, guadagnando molto in denaroe perdendo poco in capacità di soddisfare tutte la clientela in tuttele sue fluttuazioni di esigenze. Gli interruttori, tuttavia, continuanoa crescere molto più rapidamente degli utenti. Dando luogo a unadiseconomia di scala minore, ma pur sempre indesiderata. Così siai matematici che i manager delle società telefoniche continuano achiedersi come sia possibile ottenere la massima funzionalità dellarete, ovvero il massimo di connessioni, con un numero minimo di interruttori,pari a quello degli utenti.
A tutti ha tolto ogni illusione Claude Shannon, scienziato dei Bell Laboratoriese ideatore di una nota teoria dell’informazione. Nel 1950 Shannon ha dimostratoche vi è un limite minimo, oltre che un limite massimo, agli statiche può assumere ogni rete. E che, pertanto, le diseconomie di scalapossono essere contenute, ma mai annullate. Gli interruttori sono destinatia crescere di più e più velocemente degli utenti.
Alla fine di questo prima escursione nella matematica delle reti, abbiamodunque appreso che difficilmente riusciremo a progettarne una che cresceindefinitamente senza perdere in efficienza. E che nessuna rete, per quantodematerializzata sia, può svilupparsi all’infinito. Perchèal suo estendersi è associata, inevitabilmente, un incremento moltomaggiore dell’entropia.

Rete e complessità in fisica. Il concetto di entropia ci rimandadirettamente alla termodinamica e al suo Secondo Principio. Ai vincoli,quindi, cui è sottoposta una qualsiasi rete nel mondo fisico reale.Ma anche alla possibilità che un insieme, più o meno vasto,di semplici elementi riesca a formare spontaneamente, in determinate condizioni,una rete tale di connessioni da renderne complesso il comportamento.
Un esempio, il più semplice degli esempi, chiarirà il concetto.
Immaginiamo un sottile strato di acqua contenuto tra due grosse piastredi metallo. Immaginiamo che le dimensioni delle piastre sia molto maggioredell’altezza dello strato di acqua. E immaginiamo, infine, che l’interosistema sia in una condizione che i termodinamici amano definire di equilibrio.Ogni regione del liquido si trova alla medesima temperatura, mettiamo 20gradi Celsius, e alla medesima pressione, per esempio 1 atmosfera. Le molecoled’acqua si muovono per agitazione termica in modo del tutto casuale in ognidirezione. Se trascuriamo gli aggregati formati grazie a quei legami a cortoraggio tra le molecole d’acqua allo stato liquido che i chimici chiamanolegami a idrogeno, in questo sistema omogeneo ogni punto, nello spazio enel tempo, è indistinguibile dall’altro. Abbiamo così un numeropiuttosto elevato di elementi semplici, le molecole di acqua, che interagisconofisicamente tra loro senza creare alcuna struttura stabile organizzata.Insomma, senza creare alcuna rete.
Un sistema del genere, dicono sempre i fisici, è asintoticamentestabile. Anche se viene perturbato, ritorna piuttosto rapidamente alle suecondizioni di originale omogeneità. Se, per esempio, prendiamo trale dita le piastre e il liquido tra esse contenuto, la temperatura saltada 20 a 36 °C. Ma appena lo lasciamo, l’intero sistema ritorna nellesue condizioni iniziali.
Le cose andranno diversamente se, invece, poniamo l’intero sistema su unfornello. Ovvero, se gli imponiamo un vincolo esterno, fornendo un flussocontinuo e direzionato di energia sottoforma di calore. Allora la piastrainferiore esposta alla fiamma avrà una temperatura stabilmente maggioredella piastra superiore. E il sistema si troverà in condizioni dinon equilibrio. Le molecole di acqua daranno origine al fenomeno della conduzionetermica e comincieranno a trasportare il calore dalla piastra inferioreverso la piastra superiore, creando un gradiente di temperatura, di densitàe di pressione. Il sistema non è più omogeneo. E tuttavia,se la differenza di temperatura tra le due piastre è ancora piuttostopiccola, al suo interno le variazioni sono perfettamente lineari. Come notaGregoire Nicolis (5) il sistema si comporta ancorain modo semplice.
Continuiamo, allora, ad allontanarlo dall’equilibrio, aumentando la fiammache riscalda la piastra inferiore. Vedremo le differenze del sistema aumentare,ma variare ancora con linearità. Il sistema si comporta ancora inmodo semplice. Almeno fino a quando la differenza di temperatura tra ledue piastre non raggiunge un valore critico DTc. All’improvviso, raggiuntoquesto valore soglia, il movimento delle singole molecole di acqua cessadi essere indipendente e del tutto disordinato. Per diventare organizzatoe coordinato in una rete di connessioni a grandissima distanza. In breve:nello strato di liquido si formano tante piccole celle di convenzione termica,le celle di Bénard, e il sistema inizia ad avere un comportamentocomplesso.
Le forze intermolecolari hanno raggi d’azione nell’ordine degli ångstrom(10-10 metri). Ma all’improvviso, in ciascuna cella di Bénard, nasconocorrelazioni a grande distanza (una cella di Bénard ha le dimensionimacroscopiche di qualche millimetro) tra centinaia di miliardi di miliardi(1020) di molecole. Queste enorme quantità di elementi semplici iniziaa ruotare in modo coerente dal basso verso l’alto e viceversa, dando luogoa una stabile cella di convenzione. Tutte le celle di Bénard apparsenel liquido, a loro volta, sono correlate, perchè si muovono, alternativamente,in senso orario e in senso antiorario. Il senso di rotazione della primacella di Bénard che si instaura è del tutto casuale, determinatoda imprevedibili condizioni iniziali. Il senso di rotazione di tutte lealtre celle è, invece, univocamente determinato dal primo. Siamoin condizioni di (modesta) dinamica non lineare, perché il sistemapuò assumere alcune configurazioni diverse a parità di ognialtra condizione.
La transizione dal semplice al complesso avviene nel pieno rispetto delleleggi fisiche. E può essere facilmente spiegata (5).D’altra parte la complessità di questo sistema è piuttostomodesta, se paragonata a quella di un ecosistema, di una cellula o anchedel sistema climatico. Ma quello che a noi interessa è aver verificatocome, all’improvviso, in un semplice sistema fisico, possa nascere spontaneamentee auto-organizzarsi, una rete molecolare. E come questa rete di molecoleconferisca ordine e struttura ad un insieme di componenti che fino a unattimo prima era quasi del tutto disordinato e destrutturato. Condizionenecessaria per veder emergere una rete di correlazioni non banali e un comportamentocomplesso tra gli elementi di un sistema è, sostengono GrégoireNicolie e Ilya Prigogine (6), che esso segua una dinamicanon lineare in condizioni lontane dall’equilibrio. E in realtà tuttele reti fisiche complesse, sono sistemi lontani dall’equilibrio termodinamicoche seguono dinamiche non lineari.
Ma è questa, della dinamica non lineare di non equilibrio, una condizionesufficiente, oltre che necessaria, perchè si auto-organizzi una retecomplessa di correlazioni tra gli elementi numerosi di un qualsiasi sistemafisico?
Probabilmente no, sostiene il danese Per Bak, del Brookhaven National Laboratorye coa-autore, insieme a Kurt Wiesenfeld e a Chao Tang, di un altro approcciofisico-matematico, quello della criticità auto-organizzata, allostudio dei sistemi complessi (7). Secondo Bak una retecomplessa di correlazioni si auto-organizza perchè evolve, seguendouna dinamica non lineare, verso uno stato critico. Questo stato critico,particolarmente creativo, si verifica, certo, in condizioni lontane dalpiatto equilibrio termodinamico. Ma anche in condizioni lontane dalle turbolenzedi uno stato completamente caotico.
Insomma, alla fine di questa seconda tappa del nostro viaggio abbiamo appresoquali sono i limiti affinchè una rete fisica complessa si auto-organizzi,secondo precise leggi matematiche: il sistema deve essere lontano dall’equilibrioe ai margini del caos.
Tutto sommato sono limiti modesti. Il che lascia intuire che nel mondo realevi siano svariate situazioni dove si formano spontaneamente reti complesse.Questi blandi limiti, direte voi, saranno validi per reti di modesta complessità,come quelle molecolari delle celle di Bénard. Potranno, forse, andarbene anche per reti fisiche ad elevata complessità, come quella delclima terrestre. Ma saranno sufficienti per la nascita e l’auto-organizzazionedi quelle reti a straordinaria complessità che caratterizzano lavita e la sua evoluzione?

Rete e complessità in biologia . Uno che si è postoquesta domanda e, soprattutto, uno che ne ha colto l’implicita sfida, ècerto il biologo Stuart Kauffmann, punta di diamante dell’Istituto che aSanta Fe, nel New Mexico, studia, appunto, i sistemi complessi (8).
La curiosità di Kauffmann nasce già negli anni ‘60, dopo ilavori sulle reti genetiche che fruttarono a François Jacob e a JacquesMonod un meritato Premio Nobel. Kauffmann è colpito dal fatto cheil genoma è, appunto, una rete dove alcuni geni, come in una retetelefonica, fungono da interruttori, attivando questa linea o disattivandoquell’altra linea.
Il problema è che il funzionamento della rete genetica non puòessere lineare come quello di una rete telefonica. Se così fosse,un semplice errore, un interruttore che funziona male, sarebbe disastrosoper la cellula e, magari, per l’intero organismo. Un interruttore che funzionamale in una rete telefonica lineare compromette una conversazione. Un interruttoreche funziona male in una rete genetica lineare compromette la produzionedi una proteina essenziale o, addirittura, può innescare la reazionea catena di un processo canceroso. No, conclude Kauffmann, la rete geneticadeve funzionare in parallelo. Con un gran numero di geni regolatori cheagiscono in contemporanea. Tuttavia i geni reglatori non possono funzionarein modo del tutto caotico, accendendosi e spegnendosi a caso: ne verrebbefuori un comportamento della cellula nel suo complesso disordinato e pococoerente.
E’ probabile, allora, che la rete genetica abbia alcune configurazioni stabili,autocoesive, con alcuni geni regolatori che si attivano in modo coerente.La vita cellulare, allora, procede attraverso passaggi tra le molte, differenticonfigurazioni che Per Bak chiamerebbe metastabili. I percorsi altrnatividevono essere molti. Dopotutto le configurazioni metastabili di un neuronesono sensibilmente diverse da quelle di una cellula epatica.
Il problema, continua a rimuginare Kauffmann, è che l’evoluzioneche ha portato alle configurazioni stabili (o metastabili) delle reti genetichenon può avere quale principi ordinatori solo la necessitàdelle leggi biochimiche e il caso delle mutazioni genetiche. Ancorchènon lineare, un siffatto ordine non può essere frutto di una selezionea valle del caso. Quest’ordine non può essere un pasto gratuito.Deve essere, in qualche modo, naturale. Il che vuol dire che le configurazionistabili (o metastabili) della rete genetica devono essere più probabilidi quelle instabili e poco significative.
Inutile dire che per molti anni Stuart Kauffmann ha studiato le possibilicorrelazioni tra veri interruttori elettrici e la possibilità, chein una rete più o meno estesa di lampadine che si accendono e sispengono, emergano spontaneamente configurazioni stabili e significative.Inutile dire, inoltre, che si è imbattuto nei problemi della complessitàmatematica delle reti e che li ha superati.
In definitiva i suoi giochi di simulazione delle reti genetiche e dellavita hanno avuto (almeno in apparenza) successo. E nelle reti simulate alcomputer ha visto emergere spontanemante configurazioni stabili e significativenon appena il sistema supera una soglia di complessità e di interconnessione.E’ come se, superata quella soglia, la rete subisse una transizione di fase.Ciò vale anche, e forse soprattutto, in biologia. Superata la soglia,le molecole di una rete chimica iniziano a combinarsi spontaneamente performare non solo molecole più grandi e complesse, ma autocatalitiche.Capaci, cioè come le reti genetiche, di accelerare la propria formazione.
Ci sono davvero, quindi, dei punti di criticità auto-organizzata,degli attrattori, verso cui tendono, in modo spontaneo e inevitabile, seguendole leggi matematiche della dinamica non lineare, sia le reti fisiche chele reti biologiche. E questi punti sono, proprio come sostiene Per Bak,certo lontani dall’equilibrio termodinamico, ma anche dal totale disordine.Questi punti sono to the edge of chaos, ai margini del caos.

Rete e complessità nelle scienze sociali. Siamo, dunque, riuscitia delimitare gli ambiti in cui sia una rete fisica che una rete biologicaemergono e funzionano in modo complesso. Il discorso è decisamentepiù articolato per alcune reti biologiche, particolarmente complesse,come le reti neurali. Ma in generale gli ambiti in cui emergono e si auto-organizzanole reti sono (sembrano essere) caratterizzati da vincoli precisi e, quindi,analizzabili in modo matematico.
La metafora della rete, tuttavia, non si è imposta, con la sua capacitàevocativa ed esplicativa del concetto di complessità, nelle disciplinematematiche, fisiche, chimiche e biologiche. Anzi, da tempo ha attrattoantropologi e sociologi. Che, a partire dagli anni ‘50, hanno cercato dispiegare la complessità delle società umane con un approcciocompletamente nuovo. Un approccio chiamato, appunto, network analysis:letteralmente analisi della rete (9).
La network analysis nasce negli anni ‘50 tra un gruppo di antropologiinglesi alle prese con lo studio delle varie comunità umane nell’Africaaustrale: Zambia (allora Nord Rhodesia), Malawi (allora Nyasaland), SudAfrica. Gli antropologi, della Scuola di Manchester, sono insoddisfattidel paradigma struttral-funzionalista che domina la loro disciplina. E cherisulta inadeguato a spiegare la forte dinamica, l’assenza di confini precisi,di gruppi e istituzioni stabili, di ruoli cristallizzati, di norme rigidein molte di quelle comunità. Si avvedono, quegli antropologi, chei rapporti sociali e politici interni a molte comunità, e ai moltilivelli di interazione tra le varie comunità, dell’Africa australeformano un’intelaiatura, una rete, molto complessa. Così inizianoa studiare “l’individuo come centro di legami che attraversano ambitidiversi, come soggetto di adattamenti e strategie innovative capaci di farluce sul cambiamento sociale” Introducendo così il concettodi uomo “come essere sociale interagente, capace di manipolare glialtri così come di essere manipolato da loro” (9).
Il postulato fondamentale del nuovo approccio, scrive Jeremy Boissevain,uno dei suoi propugnatori, è che le persone sono viste come altrepersone, alcune delle quali a loro volta interagiscono fra loro e con altriancora, e che la rete totale di relazioni che così si forma, èin uno stato di estrema fluidità.
Gli antropologi inglesi, che hanno una formazione socio-politica che potremmodefinire di sinistra, si rendono conto che il nuovo approccio non ha successosolo nell’Africa sub-sahariana, ma ha una forte capacità esplicativaanche nelle più algide comunità del Nord Europa. Giungendo,in breve, a rivedere l’interpretazione più statica del concetto marxianodi classe sociale. Intesa non più quale aggregazione che si determinain base alle differenze di reddito o di collocazione nel mondo del lavoro.Ma come: “un network di relazioni tra coppie di persone che,all’incirca, si attribuiscono lo stesso status sociale”.
Se i nodi della rete sociale sono gli individui, le connessioni tra i nodisono, almeno, di tre tipi. Le relazioni, abbastanza stabili, che si stabilisconoin base all’appartenenza territoriale; le relazioni, abbastanza stabili,che si stabiliscono in base all’integrazione nel sistema produttivo; lerelazioni, talvolta abbastanza aleatorie, di natura personale, che intersecanoi due campi precedenti e che sono costituite dai legami di parentela, diamicizia, di conoscenze che ciascun uomo in parte eredità e in paresi costruisce da solo. E’ questo tipo di relazioni, flessibili e discrezionali,che rendono unico ciascun nodo e conferiscono dinamicità alla interarete sociale.
Ben presto il concetto di rete cessa di essere una mera metafora della complessitàsociale, per divenire una metodologia d’analisi matematizzata (gli antropologiinglesi utilizzano la matematica dei grafi). Mentre gli studi si rivolgonosia ai singoli componenti della rete e alle connessioni che instaurano,sia alla rete nella sua globalità. Anche se ci si rende conto diquanto sia arbitrario definire una rete sociale locale. In realtàesiste una sola rete sociale dai confini precisi, ed è la rete, essasì globale, formata dagli abitanti dell’intero pianeta.
Un altro tipo di interessi riguarda le reti di comunicazione, che si sovrappongonoalla rete sociale e che coinvolgono, da un lato, il flusso di informazionee, dall’altro, il flusso di beni e di servizi che si propagano per la retesociale. Ci sono poi gli studi sulle reti di scambio, rivolti all’uso strumentaledei legami personali instaurati in una rete sociale. Una classica rete discambio è quella politica.
Negli anni ‘70 la network analysis conquista la sociologia americana.Che la interpreta, però, in modo affatto diverso, se non opposto,a quello dell’antropologia manchesteriana. Non solo perchè gli americanienfatizzano l’analisi quantitativa, puntando sull’uso di strumenti matematicialgebrici. Ma anche perchè tendono in qualche modo a “toglierel’anima” ai nodi della rete. E’ un po’ come se la rete si spersonalizzasse.Per i sociologi americani, infatti, le strutture sociali possono sì”essere rappresentate come networks, cioè come insieme di nodi(o membri del sistema sociale) e come insiemi di legami che indicano leloro interconnessioni”. Ma quei nodi, perfettamente intercambiabilise le loro connessioni con gli altri nodi sono identiche in base al principiodella equivalenza strutturale, possono rappresentare non solo persone, maanche “gruppi, grandi società, aggregati domestici, stati-nazioneo altre collettività”. Mentre i legami possono rappresentareflussi di risorse, relazioni di amicizia simmetrica, trasferimenti, relazionistrutturate tra nodi (9).
Insomma, la network analysis in salsa americana viene applicata all’analisidelle proprietà delle reti in ogni campo, dalla famiglia agli stati,dalle piccole comunità al mercato globale. Anzi, all’inizio deglianni ‘80 Harrison White utilizza la network analysis per proporreun modello di mercato alternativo a quello della teoria economica classica,che tiene in maggior conto quelle che gli economisti chiamano “esternalità”e che non sono sempre riconducibili alla razionalità lineare dell’economia.
In sintesi, la network analysis ha avuto, e per certi versi ha tuttora,un notevole successo nello studio delle società umane e della lorocomplessità. Evita gli economicismi. Dà conto, anche, dellaflessibilità. Ma, in questa fiduciosa ricerca delle proprietàgenerali, delle regolarità strutturali, la network analysis mostrai suoi limiti.
Limiti che, come scrive Fortunata Piselli, “sono strettamente legatia un punto chiave: l’assenza della storia” (9).La network analysis riesce, infatti, a descrivere il comportamento,anche dinamico, di una rete sociale nel tempo breve, ma non è ingrado di prevederne l’evoluzione in un tempo più profondo. Nei tempi,cioè, dove i fenomeni non lineari assumono il sopravvento.
La network analysis non riesce a cogliere l’unicità di ciascunarete sociale. Unicità dovuta al fatto che sono unici i suoi attorie sono uniche le relazioni tra gli attori. Attori dotati, peraltro, di liberoarbitrio e, quindi, portati ad avere relazioni di natura non precisamentealgoritmica.
In definitiva: l’evoluzione di una rete sociale avviene, certo, entro ilimiti di leggi generali. Ma è modellata dalla contingenza storicae dalla libera volontà dei suoi nodi. E sia la storia che il liberoarbitrio si rifiutano, spesso, di farsi racchiudere in una formula.

Conclusioni. Siamo giunti, dunque, alla fine del nostro breve viaggiotra le reti della scienza. Abbiamo saltato molti possibili approdi. Alcunidei quali oltremodo interessanti, come quello ecologico. Dove avremmo incontrato,in un unico ecosistema, una rete fatta di reti co-evolutive.
Ma, ancorchè largamente incompleto, questo nostro viaggio ci ha consentitodi trarre alcuni insegnamenti. Quella di rete è una potente metafora,in grado di illuminare lo studio dell’auto-organizzazione e dell’evoluzionedei sistemi complessi a tutti i livelli. Di più, quella della reteè una metafora che, di volta in volta, precisando il contesto (ele aspettative), può essere tradotta in numeri. E’ una metafora matematizzabile.E, quindi, il suo uso in diverse discipline e a più propositi, quasimai è un abuso.
Anzi, uniformando i linguaggi e calibrando le definizioni, è possibilegiungere anche a “teorie generali delle reti”, utilizzabili inambiti anche molto diversi tra loro.
Molto difficilmente, però, potremo giungere a un’unica teoria generale,in grado di spiegare il comportamento di tutte le reti e, soprattutto, diprevederne l’evoluzione. Non solo perchè ogni rete, come ci insegnala matematica, ha una sua irriducibile complessità che le èfornita dai suoi nodi e dalle loro correlazioni. Ma anche e soprattuttoperchè ogni rete, come ogni sistema complesso, ha una sua irripetibilestoria. Un passato, un presente e anche un futuro fatti di circostanze contingentie imprevedibili.
E’ questo “pregiudizio a favore della storia naturale”, per dirlacon Philip Anderson, fisico della materia condensata a Princeton e membrodel consiglio dell’Istituto di Santa Fè (10),che ci impedisce di credere in una teoria generale delle reti. E, a maggiorragione, in una qualsiasi teoria generale in grado di spiegare e di prevederela crescita della complessità e dell’auto-organizzazione che purevediamo affermarsi ad ogni livello nell’universo.
La ricerca di leggi generali, d’altra parte, ha avuto straordinari successiin fisica. Ma, alla fin fine, è sempre fallita in biologia. Perchè,come sostiene da tempo Ernst Mayr, professore emerito di biologia evolutivaad Harvard, nei fatti della vita ci si imbatte in un numero cosìgrande di fenomeni unici da frustrare ogni tentativo di ricondurli nell’alveodi leggi universali (11)

Bibliografia

 

(1)Vocabolario della lingua italiana, Istitutodella Enciclopedia Italiana, 1987

(2)Webster’s Third New International Dictionary,Encyclopædia Britannica, 1986

(3) Marshall W. Bern e Ronald L. Graham, “Il problemadella rete di lunghezza minima”, Le Scienze, marzo 1989

(4) Nicholas Pippenger, “La teoria della complessità”,Le Scienze, agosto 1978

(5) Grégoire Nicolis, “Fisica dei sistemilontani dall’equilibrio e auto-organizzazione”, in: Paul Davies (acura di), La Nuova Fisica, Bollati Boringhieri, 1992

(6) Grégoire Nicolis e Ilya Prigogine, La Complessità,Einaudi, 1991

(7) Per Bak e Kan Chen, “La criticità autorganizzata”,Le Scienze, marzo 1991

(8) Morris Mitchell Waldrop, Complessità,Instar Libri, 1995

(9) Fortunata Piselli (a cura di), Reti. L’analisidi network nelle scienze sociali, Donzelli, 1995

(10) John Horgan, “Dalla complessità allaperplessità”, Le Scienze, agosto 1995

(11) Ernst Mayr, Storia del pensiero biologico,Bollati Boringhieri, 1990

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here