Alla fonte delle parole

Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di bestie selvatiche e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all’uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l’uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi quello sarebbe stato il suo nome. (Genesi 2:19)

“Non è di ogni uomo saper porre a questa cosa o a quella il suo giusto nome. O no?”(1) Così si rivolge Socrate a Ermogene discutendo di colui il quale per primo aveva posto il nome alle cose. Il Cratilo non è un dialogo sull’origine del linguaggio, ma piuttosto sulla natura delle parole. L’ipotesi però di un “legislatore” che per primo nomina l’universo è uno dei punti di partenza da cui si snoda l’intera discussione tra i protagonisti della conversazione.

La mitologia greca non aveva un Dio che come Indra, la divinità indiana che si dice abbia inventato il linguaggio articolato, donando agli uomini le parole, che si racconta fossero state portate da Cadmo, il mitico fondatore di Tebe. Pare che egli avesse portato alla Grecia “doni provvisti di mente”, le vocali e le consonanti “modello inciso di un silenzio che non tace”. (2)

La questione della natura del linguaggio e quella della sua origine sono due temi quasi sempre inscindibili, spesso legati l’uno all’altro. E’ naturalmente ingenuo credere che un demiurgo abbia forgiato le parole, ma interrogarsi su che cos’è il linguaggio, prima di cercare di capire quandoè nato è estremamente importante per cominciare a capire come gli uomini possano avere iniziato a comunicare.

Possedere un linguaggio non significa associare una parola a una cosa, l’atto del parlare non si esaurisce semplicemente in un atto di designazione. Un linguaggio è l’associazione di un contenuto e di un espressione, per dirla con Hjelmslev, attraverso un’operazione che ha a che fare con un processo più ampio di quello della designazione, e che si inquadra in una più generale funzione segnica. Il rapporto fra i due termini, infatti, non può esaurirsi in un’analisi specificatamente linguistica, poiché; il processo semiotico riguarda una realtà che ha a che fare anche con i comportamenti comunicativi. La stessa nominazione, poi, fa parte di un “gioco” linguistico in cui i segni non verbali e il contesto non riescono ad esaurirsi nell’etichetta di una denominazione. Parlare ha a che fare con una realtà complessa legata all’ambiente, al pensiero, alla rappresentazione e interpretazione del reale e il codice del linguaggio ha tratti comuni con una varietà di altri codici semiologici che rendono estremamente più complessa la domanda sull’origine del linguaggio.La stessa questione della naturalità o convenzionalità delle parole assume una portata diversa e in quest’ottica può essere più appropriato chiedersi se nella lingua ci sia arbitrarietà e quale ne sia il grado.

Nell’800 il tema dell’origine del linguaggio si trasforma nella ricerca della lingua primigenia. Si cerca di rispondere all’antico interrogativo di cui narrano le Historiae di Erodoto, dove un faraone egiziano, per cercare di capire quale fosse la lingua con cui per prima gli uomini si espressero, ebbe l’idea di isolare due neonati da tutti i contatti per vedere quale sarebbe stata la parola che avrebbero pronunciata per prima. La parola fu becos, che in frigio vuol dire “pane”. Per l’ingenuo faraone allora non ci furono dubbi: il frigio era la lingua primigenia dell’umanità. Alla questione delle origini d’altronde, era collegata anche una certa idea di superiorità di una lingua sull’altra. In questo senso i primi scossoni li diedero gli Epicurei: essi riconobbero di fatto la divergenza e la pluralità delle lingue, il fatto che gli uomini organizzarono in modo diverso la loro vita morale, civile, religiosa e che ogni popolo, per esprimere queste realtà, scelse una lingua diversa. Ciò significava riconoscere come non ci fosse un’unica morale e un’unica legge, riconoscere che ogni popolo costruiva insieme alla propria lingua le ragioni della propria storia, diverse da quelle degli altri popoli.
Continuando nella tradizione epicurea, per il poeta latino Lucrezio gli uomini furono spinti verso la costruzione del linguaggio dalla la necessità di ordinare e controllare i mezzi a disposizione. Dunque un bisogno, insieme interno e esterno, biologico e culturale. Un linguaggio che nasce dal bisogno e che si forgia diversamente a seconda delle circostanze cancella le differenze, nega una gerarchia di valori tra i popoli. Per inciso, secondo il linguista Tullio De Mauro si tratta di una dimostrazione di come lo studio di questioni apparentemente innocenti come questa potessero avere in sé un carattere profondamente rivoluzionario rispetto alle convinzioni di cui si nutre il tessuto sociale: “Naturalmente, questa epicurea, non è una dottrina gradita agli establishments intellettuali e politici sia del mondo antico che di quello medievale. In quest’ottica la diversità delle lingue è una prova che non esiste una morale unica, una ragione unica e che la vita delle res pubblicae va regolata ogni volta in modo diverso”.Gli epicurei saranno accusati fino al 700 di essere immorali e sovversivi, ma proprio in quel secolo le loro idee continuano ad espandersi: “Il tabu antiepicureo resiste ma attraverso grandi opere, quelle di Leibniz e dello stesso Locke, le tesi degli epicurei vengono diffuse e, inoltre, un’intenso dibattito sulla diversità delle lingue contribuisce a far luce sulla natura stessa del linguaggio”.

A una supposta “naturalità” del linguaggio si torna, invece, con Herder, la cui visione risente già dello spirito romantico. Per Herder è attraverso la percezione del suono che l’uomo inventa il linguaggio, da lui posseduto in virtù della sua natura animale. L’udito poi favorisce analogie di senso che producono un linguaggio ricco di connotazioni, basato sull’emozionalità e sulla passionalità, denso di elementi poetici nei quali si avverte tutto il sapore dell’imminente romanticismo. Nell’800, quando si costituisce una linguistica scientifica, la diversità delle lingue diventa oggetto di studio appassionato da parte di filologi e i linguisti. Si tenta di ricondurre le diverse lingue a un unico ceppo, di raggrupparle, di cercare tra loro affinità, equivalenze, concordanze. Per far luce sull’origine del linguaggio l’ago della bilancia viene definitivamente spostato verso la comparazione delle lingue diverse e non più sul rapporto tra le parole e le cose. Ma anche qui non tutto è indolore. Quando la linguistica si diffonde e si individuano le diverse famiglie di lingue non è facile accettare i risultati di questo lavoro. Per De Mauro “un altro attentato all’ordine costituito: come far capire agli ebrei, convinti tutti del primato assoluto dell’ebraico che l’ebraico era geneticamente affine alla lingua dei maomettani, degli arabi e delle popolazioni del deserto? D’altra parte ciò significava anche, naturalmente, spiegare al mondo arabo che le sue radici erano linguisticamente e culturalmente le stesse di quelle del mondo ebraico”. (3)

Anche l’esperienza della ricostruzione delle lingue per risalire a un’unica lingua madre fu di grande importanza. Quella lingua madre che, in forme diverse, aveva rappresentato il sogno del secolo dell’utopia, quella lingua universale, perfetta, il cui spirito aveva aleggiato lungo tutto il corso del 700 senza incarnarsi mai. Ma oltre che ricostruire spezzoni di lingue madri non si può andare. Estremamente affascinante, l’idea di arrivare a una “protolingua”, protratta all’infinito rischia di divenire sterile. Il linguaggio, lo abbiamo già detto, è un processo di comunicazione piu ampio di ciò che rimane circoscritto alla linguistica. Le nostre datazioni sulle ricostruzioni delle protolingue risalgono a tre-quattro milleni prima di Cristo ma, al di là del periodo storico, non si sa nulla con certezza. E per circa un secolo ci fu un completo ostracismo riguardo alla questione dell’origine del linguaggio, considerata, appunto, inutile e sterile.

Con l’esplorazione del tempo, che è andata indietro di milioni di anni, e le ricerche sui codici degli animali che appaiono simili a quelli umani perché non possiedono solo una forma e un contenuto, ma anche una loro creatività, le datazioni sulle origini del linguaggio si collocano molto, molto piu indietro e non si limitano a rintracciare le origini in una lingua primigenia.

Per Leroi Gourhan la capacità di costruire degli utensili e quella del linguaggio sono espressione della stessa facoltà dell’uomo. E’ la stessa attrezzatura di base nel cervello a cui fa ricorso l’uomo per fabbricare sia utensili sia simboli: “esiste la possibilità di un linguaggio a partire dal momento in cui la preistoria ci tramanda gli utensili, perché utensile e linguaggio sono collegati neurologicamente e perché l’uno non è dissociabile dall’altro nella struttura dell’umanità“. (4)

Siamo a un milione e mezzo di anni fa, una datazione molto piu antica di quella del Liebermann, che utilizza un criterio anatomo-fisiologico per datare l’origine del linguaggio e cioè l’abbassamento della laringe che si ottiene solo con la statura eretta, cosa che avveniva intorno ai 50 mila anni fa. Si passò comunque da codici piu semplici a codici via via più complessi fino alla costruzione di una lingua. La ricostruzione della filogenesi del linguaggio, dunque, ha portato la ricerca ad esplorare epoche lontanissime, alla ricerca di un linguaggio originario. La ricerca costante di regolarità linguistiche, il sogno di catturare l’essenza di una lingua attraverso caratteristiche che la definissero, ha creato un bivio tra questi due filoni di ricerca che hanno scelto di andare ognuno per proprio conto. Il tentativo di definire cos’è una lingua umana e decidere come criterio la combinatorietà ha significato escludere tutta una parte della lingua che non si riconnetteva entro quegli schemi e che poteva, invece, gettare luce sulla ricostruzione filogenetica del linguaggio: “trascurarono importanti sezioni della realtà di una lingua (ciò che in una lingua non è doppiamente articolato (5), come spesso i fondamentali fonosimboli e, in piu, segni dittici e onimici, enumerazioni ed elenchi, frasi puramente nominali; e si ricorderà che per intere lingue non ha senso la distinzione di nome e verbo) (…) Se una lingua è solo una combinatoria o, se si vuole, un’algebra, se il suo unico obiettivo è accoppiare classi di sensi e classi di suoni, perché mai questa facoltà non si realizza con una sola e unica specie?” (6).Capire che cos’è una lingua e considerare tutti i suoi aspetti, anche quelli non strutturati, considerare anche codici semiologici più generali, anche il balbettio del bambino, la produzione delle sue prime frasi, tutto ciò che non è chiaramente articolato aiuta, secondo De Mauro a far luce su tutta l’evoluzione del linguaggio. “Non significa, questo, riproporre la tesi secondo cui l’ontogenesi ricapitola la filogenesi, ma piuttosto una considerazione piu ampia di ciò che dobbiamo cercare per capire da dove nascono e quali possano essere stati i primi linguaggi con cui ci siamo scambiati messaggi”.

La ricerca dell’origine del linguaggio a volte è stata solo un pretesto, ma nella storia si è dimostrata un prezioso strumento di ricerca che ci ha fatti risalire ai complessi rapporti che stabiliamo con la realtà e ci ha fatto capire qualcosa di più della nostra cultura, del modo in cui ci organizziamo e riordiniamo la realtà.
Andando alla ricerca della lingua primigenia abbiamo ritrovato origini che credevamo non ci appartenessero, popoli lontani e anche nemici hanno scoperto di avere radici comuni. Adesso, però, la domanda sulle origini del linguaggio è mutata, e coinvolge biologi antropologi e linguisti. “Ciò che è interessante, oggi, è domandarsi quando la specie è stata in condizione di produrre un linguaggio, quando ne abbia acquisito i requisiti anatomici e neurologici. Chiedersi, inoltre, da un punto di vista culturale, quali forme di attività economiche e sociali presuppongano l’uso del linguaggio e ciò vuol dire anche capire la funzione del linguaggio nell’organizzazione delle attività mentali e quelle della società”.

Queste domande nascondono di nuovo tante questioni, quella dell’arbitrarietà, diversamente da come la intendevano i greci, come aderenza dei suoni e delle parole alle strutture biologiche dell’uomo, quella del complesso rapporto tra il linguaggio e il pensiero, ma anche quella di quanto il genere uomano sia capace di produrre senso reinterpretando la realtà.

Nel saggio Le parole e le cose Michel Foucault parla di un linguaggio che è tale quando desta la rappresentazione delle cose e pone oltre il dibattito antico tra legge e natura il problema della nascita del linguaggio. “La genesi del linguaggio a partire dal linguaggio d’azione, sfugge interamente all’alternativa tra l’imitazione naturale e la convenzione arbitraria (…) la natura giustappone le differenze e le connette forzatamente; la riflessione scopre le somiglianze, le analizza e le sviluppa”. (7)

Le parole, per Foucault, sono diverse dalle cose, proprio perché non vi è linguaggio se non vi è rappresentazione, se non c’è differenza con la cosa designata. Nella natura ci sono tutti gli strumenti per fabbricare le parole, maè solo l’accordo con gli altri uomini che le consacra come segni. Andare a ritroso nel tempo per Foucault, ricostruire le radici, le genealogie, vuol dire navigare in un universo di costruzioni logiche in cui a un certo punto ogni cosa si arresta. Tutte, tranne una: l’unità di senso, la capacità dell’uomo di scavalcare le cose e riuscire, dalla materialità fonica delle parole, a rappresentarle dentro di sé anche in assenza della cosa designata. Ed è da quando l’uomo ha incominciato a produrre senso che è iniziato questo gioco in cui qualcuno ha prodotto un segno che l’altro gli ha restituito, incominciando con il gioco del linguaggio anche quello piu difficile di cercare di capirsi.

Bibliografia

(1) Cratilo 391b, in Platone Opere complete, Laterza,1991

(2) Roberto Calasso, Le nozze di Cadmo e Armonia, Adelphi, 1991

(3) Sara Fortuna, L’origine del linguaggio, Intervista a Tullio de Mauro per L’Enciclopedia multimediale di Scienze Filosofiche, a cura di Renato Parascandolo.

(4) André Leroi-Gourhan, Il gesto e la parola, Einaudi, 1977

(5) Si riferisce alla definizione di lingua data da André Martinet in base alla quale “la lingua è uno strumento di comunicazione doppiamente articolato”, André Martinet Sintassi generale, Laterza, 1985

(6) Tullio De Mauro, “Alle origini del linguaggio” in Capire le parole, Laterza, 1994

(7) Michel Foucault, Le parole e le cose, Rizzoli, 1985

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