E in principio era la proboscide

All’inizio era il verbo. E il verbo era Dio.

Funziona nella Bibbia, in diversi altri racconti, non più per la linguistica. La capacità di usare le parole o altri segni organizzandoli in modo complesso non coincide con l’origine del Tutto o con un principio creatore. Ma soprattutto, non si distingue da altre abilità od organi sofisticati sviluppati dalle diverse specie del mondo animale. Insomma, comunicare così come lo facciamo noi, uomini sapienti, sembra non essere molto diverso, se non altro in termini evolutivi, dal possedere una proboscide per gli elefanti.
Per rendere conto dell’origine del verbo non è necessario avventurarsi molto oltre le spiegazioni elaborate dai seguaci di Sir Charles Darwin quando rintracciano le origini della presenza sulla Terra di coralli costruttori di isole o dei batteri produttori di ossigeno che hanno reso il pianeta un ambiente ospitale anche per altre forme di vita.

La capacità linguistica innata all’Homo sapiens, così diversa dalle forme di comunicazione usate de tutte le altre specie presenti sul pianeta, si è sviluppata gradualmente nel tempo attraverso il meccanismo della selezione naturale, esattamente come è accaduto per la proboscide dell’elefante, un organo altrettanto utile, complesso e unico fra le diverse specie animali non estinte. Una delle teorie più interessanti (anche se ben lontana dall’aver raccolto il consenso generale) sull’origine del linguaggio è quella formulata da Steven Pinker, un allievo di Noam Chomsky. Con le sue ipotesi, si è distaccato dal maestro con cui invece continua a condividere l’idea che la capacità umana di comunicare sia comunque un istinto. Un istinto che tutti condividiamo, e che traduciamo in diverse forme caratterizzate da un’unico insieme di regole che costituiscono la grammatica universale.

Steven Pinker, direttore del Centro di Neuroscienze Cognitive del Massachusetts Institute of Technology, la stessa universita’ americana dove lavora Chomsky, ha dedicato all’origine del linguaggio alcune pagine del libro The Language Instinct. How the mind creates language, edito dalla Harper Collins nel1994. Anche se il capitolo in cui ne parla si intitola “The Big Bang”, uno dei miti che Pinker si preoccupa subito di distruggere è proprio quello di una origine “istantanea” della capacità di comunicare, paragonabile a quella che secondo il Modello Standard della fisica spiega l’origine dell’Universo.

Difficilmente si potrebbe mettere in dubbio, ad esempio, lo sviluppo graduale del sonar nei pipistrelli, risultato del lento lavorio sulle generazioni da parte della selezione naturale. Pinker invita a fare altrettanto con l’istinto del linguaggio, che non è una capacità di ordine superiore o di natura particolare. Con i suoi 60 mila muscoli, la proboscide consente all’elefante di disegnare le lettere dell’alfabeto su un foglio di carta da lettere, stappare bottiglie, sradicare tronchi, fargli da boccaglio mentre nuota sott’acqua per chilometri, comunicare con i barriti o colpi sordi sul terreno, annusare la presenza di un pitone nascosto nell’erba a più di un chilometro di distanza. “Gli elefanti sono gli unici animali esistenti a possedere questo organo straordinario” scrive Pinker, parafrasando tutti coloro che identificano l’unicità del caso umano nella capacità linguistica di cui sono dotati i suoi esemplari. “Se ci fossero dei biologi della specie degli elefanti, sarebbero ossessionati dall’unicità della proboscide in natura”. Proprio come lo è la nostra specie con il linguaggio.

“Ipotizzare un istinto per il linguaggio, unico per gli umani moderni, non è più paradossale di quanto non lo sia l’unicità della proboscide per gli elefanti contemporanei. Nessuna contraddizione, nessun Creatore, nessun big bang”. Esclusa la capacità linguistica dei primati, a cui per decenni si è inutilmente tentato di fare imparare una qualche forma di linguaggio umano, la seconda domanda a cui Pinker risponde è quella che riguarda il periodo in cui potrebbe essere emerso l’istinto. I primati non sono nostri antenati diretti, piuttosto nostri cugini. Dopo la biforcazione che ha separato il nostro ramo evolutivo dal loro, cinque-sette milioni di anni fa, si sono sviluppate, sulla linea discendente al cui estremo ci troviamo noi, diverse specie, ora scomparse, che hanno sviluppato una qualche forma di protolinguaggio. Nessun big bang, quindi ma un’infinità di tentativi più o meno di successo, ora scomparsi. “Vi sono stati molti organismi con capacita’ linguistiche intermedie, ma ora sono tutti morti”. La “specie vivente a noi piu’ vicina, lo schimpanzè, non ha nessuno status speciale”. Per quanto DNA possiamo condividere con lei, non vi è nessuna ragione perché i vari Koko, Kanzi, Nim, i “forzati del linguaggio” addestrati nei laboratori americani, debbano presentare caratterisitche complesse uguali alle nostre. Pinker ipotizza la datazione del “big bang” biologico (un istante che occupa migliaia di anni) prima dello svilppo di Australopithecus africanus, robustus e afarensis, dove quest’ultimo è quello che porta all’Homo abilis, all’erectus e infine a noi. Il linguista non esclude che le prime tracce di linguaggio siano comparse quattro milioni di anni fa (se non cinque o sette milioni), molto prima dei 30 mila anni stimati nella letteratura ufficiale, che situa nel Paleolitico superiore l’origine del verbo. Periodo a cui risalgono le prime prove della capacità di rappresentazione simbolica testimoniate dai disegni degli uomini di Cro Magnon. Ma, secondo Pinker, l’istinto del linguaggio non ha bisogno della capacità di rappresentazione simbolica, come dimostrano alcuni pazienti neurologici con facoltà intellettuali assai limitate, capaci però di esprimersi in modo sorprendentemente articolato e fluido.

Contrariamernte a Chomsky, Pinker sostiene che l’istinto per il linguaggio sia un effetto della selezione naturale. Senza nascondere le difficoltà di dimostrare la sua ipotesi, lo studioso americano risponde a tutti i quesiti che gli sono stati posti in un saggio scritto insieme a A.H. Bloom (Pinker and Bloom, “Natural language and natural selection”, Behaviural and brain science, 13, 707-784, 1990). “Ciò che fa funzionare tanto bene il linguaggio è che si è sviluppato da una lunga linea di antenati che usavano un linguaggio un poco migliore dei loro rivali, fatto che consentiva loro di riprodursi più degli altri”. Non è neanche difficile pensare a quelle che devono essere state le forme intermedie di linguaggio, meno complesse della nostra, protolinguaggi come quello degli afasici, dei telegrammi, dei bambini e di alcuni dialetti. “Gli sforzi che sono stati fatti per rappresentare il linguaggio come innato, complesso, e utile, ma non come prodotto dell’unica forza in natura capace di produrre capacità complesse, innate e utili – aggiunge Pinker riferendosi alla selezione naturale – è fonte di grande ironia. Ma perché al linguaggio deve essere data tutta questa importanza?”

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here