I mille percorsi della guarigione

Il sapere della guarigione
a cura di Pino Donghi
Laterza, Bari 1996, pp. 159, lire 30.000

Non ci piacciono gli atti di convegni o tavole rotonde, sono un inutile spreco giacché un libro deve contenere qualcosa di utile e originale. E promettiamo di non citarli mai più. Ma questa volta dobbiamo fare un’eccezione. Perché se è vero che questo libro raccoglie gli interventi della settima edizione di Spoleto Scienza (curata nel 1995 dalla fondazione Sigma-Tau) che aveva per titolo proprio Il sapere della guarigione, è anche vero che le cose scritte qui si inseriscono in un discorso organico, molto originale e pieno di stimoli.

A garantire la qualità della lettura sono gli autori dei singoli saggi: Marc Augé, Byron Good, Oliver Sacks, Tobie Nathan e Mary Jo Del Vecchio Good. E a salvare il curatore dal peccato della frammentarietà, inevitabile quando si assemblano interventi di diversi studiosi, è il tema stesso del volume.

Insomma, parlare del sapere della guarigione significa chiamare in causa gli stregoni del Mali come i biotecnologi di Stanford o i medici di base della periferia napoletana. La parola guarire, come quella ammalarsi, ha significati differenti a seconda del luogo o del tempo in cui viene pronunciata. Ma nell’universalizzazione delle pratiche, oggi i frammenti del sapere della guarigione finiscono spesso per entrare l’uno nell’altro e costituiscono altri frammenti. Ad esempio: mentre in Europa e in America, roccaforte della medicina allopatica supertecnologizzata, il ricorso a saperi d’altri luoghi è sempre più massiccio, in Cina si aprono le porte ai medici occidentali, e nelle stesse pianure della remota Africa lo stregone, quando non sa che pesci pigliare, invia il paziente alla missione dove trova gli antibiotici. Questo movimento di frammenti è forse la più grande rivoluzione culturale globale mai avvenuta. E nessuno sa che “sapere” ne verrà fuori.

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