Errori e inganni della statistica

    I parametri statistici tradizionalmente utilizzati per valutare lo stato di salute dell’economia delle diverse nazioni potrebbero non essere più sufficienti a “misurare” mercati e sistemi economici sempre più fluidi e in rapida evoluzione. La mancanza di aggiornamento dei dati potrebbe fornire immagini delle nostre realtà economiche poco precise e con ampi margini di errore. Il settimanale britannico “The Economist” (23 novembre) ha recentemente sollevato la questione. E il dibattito si è subito acceso. Gli statistici peccherebbero, secondo “The Economist”, di tradizionalismo e di eccessiva rigidità nell’uso di metodi di misura datati e inadeguati a valutare i fenomeni economici emergenti. Un esempio? La globalizzazione del mercato. Il peso crescente delle attività e degli investimenti delle multinazionali rende oggettivamente più difficile definire performance economiche particolari. Anche il concetto di prodotto è notevolmente cambiato. Le telecomunicazioni, il software, e le idee stesse – esattamente come il carbone, l’acciaio o il granturco – producono reddito e, benché immateriali o poco visibili, sono dei prodotti, a tutti gli effetti. E dovrebbero poter rientrare nella “misura” di un’economia. Pena l’errore di valutazione. “La realtà economica è un continuum e noi, ora, siamo proprio nel pieno di un profondo cambiamento del rapporto tra teoria, misura e realtà”, afferma Paolo Garonna, direttore generale dell’Istat, l’Istituto nazionale di statistica. “Certo, malgrado i molti progressi fatti, ci sono carenze nella nostra capacità di misurare l’economia”, prosegue Garonna, “ma la statistica si basa proprio sul presupposto che non ci sia misura senza errore. Anzi, l’errore in statistica, come in ogni altra scienza, è una spinta verso il miglioramento continuo e il perfezionamento del dato. E probabilmente c’è anche un po’ di conservatorismo tra gli statistici. Ma così deve essere. Perché la statistica deve poter garantire sempre il confronto dei dati nel tempo, del presente con il passato e con il futuro”. Insomma errori e tradizionalismo nelle metodologie statistiche ci sono, ma sarebbero fisiologici. Anzi, necessari. Quali sono allora le novità in tema di misure? “Ultimamente nella misura del prodotto interno lordo (Pil), l’indicatore più attendibile della ricchezza di un paese, si sono fatti progressi notevoli”, ci informa il direttore dell’Istat. “In Italia come negli altri paesi il concetto di prodotto si è molto esteso. Nelle nostre misure sono stati inclusi il software, il valore dei beni prodotti per l’autoconsumo (gli abiti per esempio), le riserve di materie prime, l’economia informale e molte attività intangibili. Non abbiamo ancora inserito nel calcolo dei conti nazionali l’accumulo di conoscenza e la produzione di idee, perché il rapporto tra capitale umano e produzione di reddito è molto elastico e l’analisi del fenomeno richiede ancora approfondimenti”. “Ma la sfida dei prossimi anni”, conclude Garonna, “sarà l’inserimento di ‘conti satellite’ nella contabilità nazionale. Sostanzialmente si tratta di considerare voci già presenti di fatto nelle economie moderne ma che, fino a oggi, sono sfuggite alla statistica: tra cui l’ambiente e la produzione dei servizi domestici, come anche la cura degli anziani, dei bambini, della casa”.

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