La proprietà dell’informazione

La struttura del nostro patrimonio genetico è struttura combinatoria.
Il DNA di Homo sapiens è costituito (corredo aploide) da 3,5 miliardi di elementi (i nucleotidi) che si combinano tra loro in sequenze lineari. Il risultato della combinazione di un numero tanto elevato di elementi è un valore così vasto da poter essere considerato, dal punto di vista pratico, o “genetico”, infinito.
Questa considerazione pone un problema nuovo. E’ possibile pretendere la proprietà, brevettare una sequenza nucleotidica intesa come combinazione di elementi, per il solo fatto di averla definita? Una risposta univoca ed assoluta non è possibile. Capire però la natura della complessità combinatoria del DNA e il nostro modo di porci di fronte a questa sua qualità può fornirci elementi di valutazione.

La natura casuale e deterministica dell’informazione genetica del DNA

“Una donna greca, che aveva partorito un bambino negro ed era stata quindi accusata d’adulterio, scoprì di discendere, dopo tre generazioni, da un’etiope (…). Allo stesso modo, sovente le prime generazioni nascondono e sommergono i tratti e le passioni dell’anima, ma poi la natura torna a spuntare anche in altre persone e rende loro la parte spettante di virtù e di vizio”. Così Platone interpretava i fatti genetici che piu lo colpivano, due millenni e mezzo fa.
Come sappiamo da gran tempo, dunque, ci portiamo dentro qualcosa che determina il nostro aspetto, il nostro “fenotipo” e che, cosa forse ancora più importante, è causa quasi esclusiva anche del nostro comportamento.
Aver capito da pochi decenni che questo qualcosa è una molecola definita, all’interno della quale è iscritta tutta l’informazione genetica, nel suo essere e nel suo divenire, all’interno dell’individuo e lungo la linea evolutiva della specie, è una grande lezione di libertà individuale ed esistenziale della cui portata non ci rendiamo ancora pienamente conto. Lezione di libertà perché; non dobbiamo nulla a nessuno, siamo autogeniti, creati dal DNA. Il DNA che ciè stato tramandato è frutto di un numero enorme di combinazioni casuali, selezionate lungo un arco lunghissimo di generazioni.
E’ importante dunque capire che la nostra natura più vera ed intima è da un lato casuale, dall’altro rigidamente deterministica. La chiave della comprensione di questa dicotomia è nel primo termine del problema, nella componente casuale della organizzazione della struttura genetica, nel concetto stesso di informazione. Il secondo termine è di più facile comprensione: ogni combinazione genetica attuata (ogni ovulo fecondata da uno sperma definito, per rimanere nell’Homo sapiens) diventa un organismo e viene verificato nell’ambiente. Se l’organismo è adatto all’ambiente nel quale per caso viene a trovarsi, esso riesce a sopravvivere, a rimanere abbastanza a lungo da poter tramandare la propria combinazione; se non lo è, la combinazione viene dimenticata.

Struttura combinatoria

La chiave è dunque nella comprensione della natura combinatoria dell’informazione. Il genoma aploide della specie umanaè composto, come abbiamo visto, da 3,5 miliardi di unità di informazione, distribuite secondo una sequenza rigidamente definita. Una volta compresa l’organizzazione strutturale del genoma (la ripartizione del DNA totale in un numero definito di cromosomi; il modo in cui i cromosomi contengono il filamento costituito dalla successione dei nucleotidi; la divisione funzionale del filamento in unità ben delimitate, i geni; la struttura interna dei geni; la loro corrispondenza con prodotti definiti, RNA o proteine); una volta definito tutto questo, rimane irrisolto il problema principale: come è stato possibile organizzare una macchina genetica tanto complessa e delicata?
E, importanti corollari:
1. cosa diventerà nel futuro questa macchina?
2. Come e fino a che punto possiamo interferire con il nostro materiale genetico, fino a che punto possiamo usarlo?
E’ chiaro che la risposta a questi quesiti non può che essere una sola. Il nostro futuro dipende ora, per la prima volta in modo così totale e chiaro, dal nostro comportamento.

Il difficile sviluppo di una etica soddisfacente

Il futuro della specie umana, e quello di tutte le altre specie viventi, dipende dall’atteggiamento etico che la società contemporanea sarà in grado di sviluppare. All’aspetto etico Ë strettamente legato quello di uso e di proprietà. In pratica, questi concetti stanno prendendo la forma di dibattito sulla brevettabilità dell’informazione. Etica e idea di proprietà si sviluppano in parallelo. Il problema non è astratto né irrilevante. Le scoperte, le definizioni e le acquisizioni teoriche e pratiche della biologia e della genetica molecolare sono rapidissime. Lo sviluppo di un quadro etico soddisfacente non tiene il passo, non riesce a formulare risposte alle domande che le scoperte stesse rendono urgenti.
I problemi etici sono essenzialmente di due tipi:
3) E’ possibile e giusto interferire con i genomi per:
a) ovviarne i casuali difetti (ad es. curare malattie);
b) migliorare una situazione comunque accettabile (ad. es. una modificazione estetica);
c) usare gli altri organismi (ad es. in termini di biotecnologie, di produzioni industriali);
d) intervenire in senso eugenetico o artificialmente selettivo?
Le risposte a questi quesiti sono ovviamente aperte e tendono a distribuirsi lungo un gradiente. Quasi tutti risponderanno positivamente alla domanda a) e negativamente alla d), con diversi gradi di adesione ai quesiti intermedi. Il problema è aperto, anche se si sta affermando abbastanza ragionevolmente una linea che tende ad accettare gli interventi genetici sugli individui ma non sulla specie, sulla linea somatica e non su quella germinale.
4) A chi appartiene l’informazione?
Se trovassimo una risposta eticamente corretta, completa e univoca a questa domanda, risolveremmo automaticamente anche tutti i quesiti dei punti 1., 2. e 3.

La proprietà dell’informazione

Di nuovo il problema è riducibile ad un unico punto chiave: la natura dell’informazione. Per uscire dal vago, e ricondurre il ragionamento a fatti concreti, esaminiamo alcuni aspetti del concetto “informazione” nel DNA.

Collegamenti
Tutta l’umanità è correlata e converge ad alcuni, pochi antenati comuni. L’evento singolo di violenza sessuale su una donna indiana da parte di un avventuriero spagnolo del XVII secolo lega indissolubilmente e irreversibilmente i genomi d’Europa a quelli del Nuovo Mondo. L’informazione passa da un organismo all’altro e si spande lungo i rami della storia. Sapere di chi è un dato carattere è dunque un problema di definizione combinatoria. Sembrerebbe che la risposta ovvia sia: quello specifico carattere genetico trasmesso da quel singolo evento di violenza non appartiene a nessuno; è patrimonio, nel bene e nel male, dell’umanità intera.

Privatizzazione
Craig Venter, un ricercatore dei National Institutes of Health, diventato essenzialmente un industriale, ha fondato a Rockville, Maryland, una Compagnia: la Human Genome Sciences (HGS). Questa compagnia vende informazioni di un tipo particolare.
Quando un essere umano fabbrica una proteina da un gene, per prima cosa viene copiata in RNA una delle due eliche del tratto corrispondente di DNA; l’RNA viene poi tradotto in proteina. In ogni tessuto, soltanto una piccolissima frazione dei 3,5 miliardi di bit d’informazione che costituiscono il genoma intero viene espressa in RNA; per quel tessuto (e in quel momento della vita differenziativa dell’organismo) l’insieme degli RNA costituisce la parte rilevante dell’informazione. Non tutto il DNA genomico porta informazione, non tutta l’informazione viene espressa durante la vita dell’individuo; quello che viene espresso nell’embrione non viene in parte espresso nell’adulto; quello che viene espresso, per esempio, nel fegato non viene in parte espresso nel cervello. Per tutte queste ragioni, isolando gli RNA degli organi in funzione in momenti rappresentativi della vita umana, si può avere a disposizione l’essenza dell’informazione.
Venter ha isolato, sequenziato e trascritto a ritroso 35.000 differenti RNA, ricreando la parte essenziale dei geni corrispondenti, organizzando così una biblioteca rappresentativa delle nostre funzioni genetiche. Il problema nasce dal fatto che la HGS ha brevettato le sequenze determinate, sequenze la cui funzione è in gran parte ignota, annunciando al contempo che ogni ricercatore che vuol usare per ragioni accademiche questo tipo di informazione protetta può farlo senza dover pagare. Ma, condizione posta, se il ricercatore trova qualcosa che possa avere valore commerciale (come un test o un trattamento genetico per una malattia), l’HGS ha priorità di sfruttamento. Sembra un affare, un meccanismo per ripagare in qualche modo i finanziatori (soprattutto la compagnia farmaceutica SmithKline Beecham), ma non lo è. Al punto che le dispute legali sono diventate intricatissime e che altri giganti farmaceutici (Merck) hanno avviato ricerche simili. Queste informazioni (Expressed Sequence Tags = EST) sono preziosissime: servono, oltre che a far soldi, a tracciare le mappe funzionali dei cromosomi, sono fondamentali quindi nel permettere una prima stesura del rapporto sequenza/funzione all’interno della massa di milioni di unità di informazione prodotta nei progetti di sequenziamento del genoma umano.
Ma, se è giusto che qualcuno guadagni denaro in seguito a un lavoro e ad un investimento fatto, è accettabile che le informazioni sviluppate da miliardi di anni di evoluzione siano brevettate? Il conflitto tra profitto privato e interesse pubblico (inteso in questo caso nel senso più ampio, quello dell’umanità intera) è, in questo caso, messo a nudo. La ragione per cui la HGS ha messo a disposizione le informazioni (con le limitazioni e le priorità di sfruttamento ricordate) è che lo US Patent Office ha stabilito che possono essere brevettati soltanto geni completamente sequenziati e la cui funzione sia stata stabilita. Questo la dice lunga sia sul modo di procedere dell’Ufficio Brevetti che sulle pressioni esercitate dalle industrie.

Strumento di calcolo
Il DNA non è informazione simile a quella che siamo abituati a pensare iscritta in un microchip. Il DNA non codifica simboli per qualcuno che li leggerà. La memoria in un computer aderisce alla definizione classica di significato usata in semiologia, stabilita già da Agostino (“non est signum nisi aliquid aliquo significet”). La memoria nel DNA è al contrario valida e significativa in sé, tanto è vero che può essere trasmessa da genitore a figlio senza essere letta.
Per capire meglio questo concetto è utile considerare come il DNA sia un oggetto in sé, dotato di propri comportamenti molecolari autonomi. Questo significa che il DNA come oggetto, come fenotipo, può essere usato per gli scopi piu diversi. Un esempio: i computer convenzionali eseguono operazioni su simboli logici, rappresentati all’interno della macchina dal flusso di elettroni.
Leonard Adleman, un ricercatore della University of South California, ha invece organizzato un sistema di simboli la cui espressione tangibile nonè data dagli elettroni ma dalle unità chimiche del DNA. Nella provetta di Adleman viene replicato DNA a partire da una sequenza nota, imponendo costrizioni biochimiche (per esempio, cambiando la concentrazione dei reagenti, i parametri della reazione, e così via) allo stesso modo in cui vengono imposte nello sviluppo di calcoli limitazioni dovute ai risultati dei calcoli precedenti. Viene alla fine dell’esperimento determinata la sequenza di DNA risultante, quella ottenuta in seguito alle pressioni selettive esercitate e in seguito alla risposta delle molecole alle condizioni di reazione.
Il problema di calcolo specifico sviluppato da Adleman è la ricerca della soluzione di un problema di tracciato Hamiltoniano direzionato (directed Hamiltonian path). In termini semplici un tracciato in un grafico è Hamiltoniano se tocca ogni vertice soltanto una volta. La determinazione di questi tracciatiè, dal punto di vista del calcolo, molto complessa; dal punto di vista pratico è un problema rilevante, ad esempio per definire la via più breve tra punti definiti (un caso classico è quello che si presenta nello stabilire una rotta aerea ottimale). Il modo in cui Adleman ha trasferito il problema matematico in un problema biologico analizzabile in provetta è stato quello di rappresentare ogni vertice ed ogni lato del tracciato con una corta sequenza oligonucleotidica (una molecola a singolo filamento di DNA a sequenza nota sintetizzata chimicamente).
Usando enzimi che legano tra loro questi oligonucleotidi e sfruttando la loro reattività (di reazione nella interazione reciproca e di replicazione preferenziale) si dà avvio ad una serie di reazioni che portano a prodotti definiti diversi, in termini di frequenza di popolazione, da quelli originari. Su questi prodotti è stata cioè esercitata una selezione chimica, una evoluzione. Il risultato dell’evoluzione chimica costituisce il risultato del calcolo.Il concetto generale che sottende questo approccio è che la selettività di ligazione delle molecole di DNA può sviluppare una scelta tra un numero enorme di varianti, trasformando in calcolo una reazione chimica in soluzione.
I risultati sono strabilianti. Con questo sistema il DNA risolve in modo rapidissimo, cambiando ed adattando la propria sequenza (o meglio la frequenza con cui una o più sottoclassi di sequenze sono rappresentate), problemi matematici estremamente complessi. Non c’è dubbio che quando saranno stati risolti problemi pratici relativamente semplici, quali la determinazione rapida della sequenza risultante, il DNA diventerà un calcolatore ideale. Oggi questi risultati indicano ai biologi che anche sistemi molecolari semplici hanno la capacità di calcolare in modi inattesi e che i meccanismi che sono alla base di sistemi biologici importanti quali l’evoluzione ed il sistema immunitario ci riservano ancora molte sorprese.
Una considerazione accessoria: non è un caso che di tutti i sistemi macromolecolari (proteine, lipidi, etc.) quello che si presta ad essere usato come calcolatore è il DNA. I primi sono prodotti, sono strutture tridimensionali, non adatte al calcolo, sono il fenotipo. Il DNA è struttura lineare, è il genotipo,è l’informazione che si può automodificare. Non è un caso quindi: nel calcolo, il DNA viene usato esattamente per lo scopo per cui si è evoluto.
Il DNA è dunque un oggetto di semplicità e complessità estrema allo stesso tempo, dotato di informazione infinita, infinitamente variabile ed adattabile, informazione che non può e non deve essere definita e costretta nei limiti angusti di un brevetto.

Per approfondire

Leonard M. Adleman, “Molecular computation of solutions to combinatorial problems”, Science, 1994, 266, 1021-1024

Daniel E. Rozen, Steve McGrew and Andrew D. Ellington “Molecular computing: Does DNA compute?” , Current Biology, 1996, 6, 254-257

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