“Asi, più spazio alla ricerca”

Sergio De Julio è presidente dell’Asi, l’Agenzia spaziale italiana, dal 7 novembre scorso. Nato a Napoli nel 1939, ingegnere, Ph. D. all’Università della California a Los Angeles, cattedra di ricerca operativa all’Università della Calabria, deputato per due legislature nella Sinistra indipendente e fra i progressisti, De Julio riunisce in sé l’anima accademica e quella politica: sarà il manager di cui l’Asi – da troppi anni nel mirino per scandali veri o presunti – ha terribilmente bisogno per imboccare la strada del riscatto? Lo abbiamo intervistato all’inizio di questo 1997 che per l’Agenzia spaziale italiana rappresenta un ponte di passaggio verso il nuovo Piano spaziale nazionale 1998-2002.

Professor De Julio: l’Asi intende cambiare la propria politica degli investimenti, intende puntare su “centri di eccellenza” anziché proseguire sulla strada dei finanziamenti a pioggia. Perché questo cambio di rotta?

“Un’agenzia che si occupa di un settore specifico come quello spaziale non può continuare a finanziare una miriade di progetti. Questa è la politica tipica dell’università, dove la ricerca è libera ed è giusto che rimanga così. L’Asi deve esprimere invece una diversa politica della ricerca, appoggiandosi a ‘centri di eccellenza’. Noi (il vertice dell’Asi, ndr) ci limiteremo a dare degli indirizzi specifici per quanto attiene ai settori strategici. E al tempo stesso faciliteremo la selezione e la creazione di centri che abbiano caratteristiche di eccellenza, che raccolgano ricercatori e risultati riconosciuti a livello internazionale”.

Il prossimo Piano spaziale darà forte enfasi alla ricerca di base…

“La legge istitutiva dell’Asi dice che dobbiamo dedicare il 15 per cento delle nostre risorse alla ricerca fondamentale. Io intendo far rispettare questo mandato fino in fondo: un Paese che non fa ricerca è un Paese che non ha futuro. Fare ricerca fondamentale significa avere un rapporto stretto con la comunità scientifica. L’Asi, come agenzia, non può avere la pretesa di fare ricerca scientifica in proprio né di inventarsi che cosa si debba fare: questo lo deve decidere la comunità scientifica. Occorre però quel po’ di organizzazione che dia all’Asi una struttura visibile da parte della comunità scientifica, con la quale deve dialogare, dalla quale deve apprendere e alla quale deve fornire gli indirizzi di fondo. E – cosa ancor più importante, che non mi risulta l’Asi abbia fatto molto in passato – occorre poi seguire lo sviluppo di questa ricerca, valutarne i risultati e cercare di diffonderli anche per le ricadute industriali che la ricerca può dare”.

Ecco, quello delle ricadute industriali è da tempo un punto dolente della nostra politica spaziale. L’Italia spende per lo spazio circa 1000 miliardi all’anno, che in buona parte vanno a finanziare la nostra partecipazione ai progetti dell’Esa, l’Agenzia spaziale europea. Questo è molto più di quanto l’Italia non ne ricavi poi sotto forma di commesse industriali. Le cose cambieranno?

“Le cose sono già cambiate. Io ho la responsabilità dell’Asi da novembre. A quella data l’Italia aveva un deficit di ritorni industriali pari a 400 miliardi. Al 31 dicembre questo deficit era ridotto a 230 miliardi. E’ in corso una serrata trattativa con l’Esa per azzerare questo deficit, se possibile. Ma non si tratta, naturalmente, solo di un problema di contrattazione con l’Esa. Si tratta anche di stimolare le nostre imprese a essere veramente competitive sul piano internazionale. Bisogna far maturare in queste imprese l’idea che anche per le avventure spaziali devono competere e non adagiarsi in uno schema di finanziamenti che l’Esa ormai non ci assicura più. Dobbiamo conquistarceli”.

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